Einaudi Pubblica nei Millenni una bella antologia di
“scritti antichi su “L’anima degli animali” (..). Non siamo solo ni
contemporanei che ci preoccupiamo del nostro cane o addirittura ci diamo a una
dieta vegana per non uccidere esseri animati. Già gli antichi si ponevano il
problema di quanto un animale potesse ragionare. Aristotele nella “Historia
animalium” dice che in molti animali vi sono tracce di qualità psichiche, per
cui le bestie dimostrano gentilezza e coraggio, timidezza, timore e astuzia, e
spesso qualcosa di simile alla sagacia. E’ in un ambiente stoico che appare un
argomento unanimemente attribuito a Crisippo, destinato ad avere una grande
popolarità. Ne esistono due versioni, ma citiamo la più nota, quella di Sesto Empirico
dove si racconta di un cane che, arrivato a un trivio, e avendo riconosciuto
con l’odorato che la preda non ha imboccato due di quelle vie, ne deduce che il
cane sa ragionare secondo principi logici. Un Altro Testo fondamentale è il “De sollertia animalium”
di Plutarco, dove si ammette che la razionalità animale sia meno perfetta di
quella umana, ma si nota che diversi gradi di perfezione si trovano anche tra
gli esseri umani (un modo elegante di insinuare che ci siano esseri umani che
ragionano come delle bestie). In un altro testo, “Bruta animalia ratione uti”,
a chi obiettava come non si potesse attribuire la ragione a esseri che non
avevano una nozione innata della divinità, Plutarco rispondeva ricordando che
anche Sisifo era ateo. Di qui il rifiuto (sia pure con molte eccezioni) di
un’alimentazione carnivora. Una tesi radicalmente “vegetariana” si ha con il
“De abstinentia” di Porfirio. Per Porfirio gli animali esprimono i propri stati
interiori e il fatto che noi non li comprendiamo non è più imbarazzante del
fatto che non capiamo ne il linguaggio né il pensiero degli Indiani o degli
Sciti. (..). Una posizione meccanicistica poteva evitare molti rovelli morali
circa la crudeltà verso gli animali, dato che non si può essere crudeli nei
confronti di una macchina, ma tra Seicento e Settecento molti obiettano come la
differenza tra uomini e bestie sia solo di grado, aprendo una prospettiva che è
stata vista come proto-evoluzionista: la vita sarebbe un continuum che evolve,
senza interruzione e gradualmente tra “res extensa” e “res cogitans”. Tra Gli Aspetti
più curiosi di questa discussione ricorderò il gesuita Bougeant che nel 1739
aveva pubblicato un “Amusement Philosophique sur les Langages des Betes”.
Bougeant sembrava parlare per gioco,
comunque la tesi è curiosa: se si ammette che le bestie manifestino un comportamento intelligente, che si parlino
tra loro e che comunichino con noi, saranno riservati anche a loro un paradiso
e un inferno? La risposta di Bougeant era che le bestie sono demoni, introdotti
nei corpi animali così da recar seco il loro proprio inferno. Questo spiega
anche perché gli animali siano cattivi (i gatti sono inaffidabili, i leoni
crudeli, gli insetti si divorano a vicenda) e perché siano condannati a
soffrire della crudeltà umana. L’Idea di Bougeant verrà contraddetta indirettamente ai
giorni nostri da Paolo De Benedetti (in “Teologia degli animali”) dove si
reclama per gli animali un diritto alla vita eterna. De Benedetti ha un giorno
osservato che la cosa ardua da credere è che esista un paradiso, non che, una
volta là, io non possa tenere il mio gatto sulle ginocchia.
Umberto Eco – La bustina di Minerva www.lespresso.it
– 7 maggio 2015
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