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giovedì 14 maggio 2015

Lo Sapevate Che: Sull'anima delle bestie...



Einaudi Pubblica nei Millenni una bella antologia di “scritti antichi su “L’anima degli animali” (..). Non siamo solo ni contemporanei che ci preoccupiamo del nostro cane o addirittura ci diamo a una dieta vegana per non uccidere esseri animati. Già gli antichi si ponevano il problema di quanto un animale potesse ragionare. Aristotele nella “Historia animalium” dice che in molti animali vi sono tracce di qualità psichiche, per cui le bestie dimostrano gentilezza e coraggio, timidezza, timore e astuzia, e spesso qualcosa di simile alla sagacia. E’ in un ambiente stoico che appare un argomento unanimemente attribuito a Crisippo, destinato ad avere una grande popolarità. Ne esistono due versioni, ma citiamo la più nota, quella di Sesto Empirico dove si racconta di un cane che, arrivato a un trivio, e avendo riconosciuto con l’odorato che la preda non ha imboccato due di quelle vie, ne deduce che il cane sa ragionare secondo principi logici. Un Altro Testo fondamentale è il “De sollertia animalium” di Plutarco, dove si ammette che la razionalità animale sia meno perfetta di quella umana, ma si nota che diversi gradi di perfezione si trovano anche tra gli esseri umani (un modo elegante di insinuare che ci siano esseri umani che ragionano come delle bestie). In un altro testo, “Bruta animalia ratione uti”, a chi obiettava come non si potesse attribuire la ragione a esseri che non avevano una nozione innata della divinità, Plutarco rispondeva ricordando che anche Sisifo era ateo. Di qui il rifiuto (sia pure con molte eccezioni) di un’alimentazione carnivora. Una tesi radicalmente “vegetariana” si ha con il “De abstinentia” di Porfirio. Per Porfirio gli animali esprimono i propri stati interiori e il fatto che noi non li comprendiamo non è più imbarazzante del fatto che non capiamo ne il linguaggio né il pensiero degli Indiani o degli Sciti. (..). Una posizione meccanicistica poteva evitare molti rovelli morali circa la crudeltà verso gli animali, dato che non si può essere crudeli nei confronti di una macchina, ma tra Seicento e Settecento molti obiettano come la differenza tra uomini e bestie sia solo di grado, aprendo una prospettiva che è stata vista come proto-evoluzionista: la vita sarebbe un continuum che evolve, senza interruzione e gradualmente tra “res extensa” e “res cogitans”. Tra Gli Aspetti più curiosi di questa discussione ricorderò il gesuita Bougeant che nel 1739 aveva pubblicato un “Amusement Philosophique sur les Langages des Betes”. Bougeant sembrava  parlare per gioco, comunque la tesi è curiosa: se si ammette che le bestie manifestino un  comportamento intelligente, che si parlino tra loro e che comunichino con noi, saranno riservati anche a loro un paradiso e un inferno? La risposta di Bougeant era che le bestie sono demoni, introdotti nei corpi animali così da recar seco il loro proprio inferno. Questo spiega anche perché gli animali siano cattivi (i gatti sono inaffidabili, i leoni crudeli, gli insetti si divorano a vicenda) e perché siano condannati a soffrire della crudeltà umana. L’Idea di Bougeant verrà contraddetta indirettamente ai giorni nostri da Paolo De Benedetti (in “Teologia degli animali”) dove si reclama per gli animali un diritto alla vita eterna. De Benedetti ha un giorno osservato che la cosa ardua da credere è che esista un paradiso, non che, una volta là, io non possa tenere il mio gatto sulle ginocchia.
Umberto Eco – La bustina di Minerva  www.lespresso.it – 7 maggio 2015

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