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lunedì 30 settembre 2019

Lo Sapevate Che: Cultura: TEX WILLER/ Il 30 settembre 1948 usciva il primo albo del celebre fumetto della Bonelli


Il 30 settembre 1948 usciva il primo albo a fumetti di Tex Willer. A ottobre nelle edicole il numero 600
Il 30 settembre di 62 anni fa usciva nelle edicole il primo albo a fumetti di Tex Willer, il cowboy “made in Italy” creato dalla Sergio Bonelli Editore. Da allora le storie di Tex Willer non hanno mai smesso di appassionare i lettori italiani di tante generazioni diverse, caso unico in Italia e tra i maggiori esempi di successo in tutto il mondo.

Il primo albo uscito il 30 settembre 1948 era di formato cosiddetto “a striscia” come si usava allora, cioè il formato era di 16,5 centimetri x otto. Furono pubblicate 36 serie tra il 1948 e il 1967. Le varie serie venivano periodicamente rilegate in raccolte con una nuova copertina disegnata appositamente dal celebre disegnatore di Tex, Galep. La prima vide luce tra il 1949 e il 1950 per un totale di soli sette albi; la seconda (detta serie bianca) uscì tra il 1950 e il 1966 e conta 132 albi; la terza (detta serie rossa) è composta da 194 albi usciti a partire dal 1956.

Dopo un primo tentativo, a partire dal 1959 viene pubblicata la seconda serie gigante, cioè quel formato con cui Tex Willer viene pubblicato ancora oggi. I primi 95 numeri comprendevano la ristampa di quanto già pubblicato della serie a strisce. A ottobre si festeggerà l’uscita del numero 600 di Tex Willer: un evento straordinario nel mondo dei fumetti che verrà celebrato con diverse iniziative.

Speciale: Di tutto un pò!...


Polpettine di Vitello al vapore accompagnate da Salsa Chutney di Pomodori e Cipolle

Per 4 persone

Ingredienti:

Per le polpette: 600 gr di carne di vitello tritata, 1 cipollotto, 1 spicchio d’aglio, olio, zucchero, bicarbonato, sale.

Per le verdure: 1 zucchina, 1 carota, una costa di sedano, 1 peperone rosso, 1 spicchio d’aglio, 1 cipollotto, salsa di soia, maizena, olio, sale.


Mettete la carne tritata, il cipollotto a pezzi, l’aglio a fette nel mixer. Aggiungete 1 cucchiaino di sale, 1 di zucchero e una puntina di bicarbonato, 3 cucchiai d’olio e 3 cucchiai di acqua gelata. Frullate rapidamente e trasferite il tutto in una terrina. Coprite con pellicola e lasciate in frigorifero per un’ora.
Nel frattempo preparate le verdure, lavatele, asciugatele, tagliatele a bastoncini sottili. Tritate il cipollotto e l’aglio. Formate con l’impasto di carne delle polpette grandi come una pallina da ping-pong.
Ungete una griglia per la cottura a vapore, appoggiatevi le polpettine e cuocetele a vapore per 12 minuti.
In una grande padella con 4 cucchiai d’olio, cuocetevi le verdure, facendole rosolare per 5 minuti, a fiamma media, mescolandole Mescolate ½ bicchiere di acqua con 1 cucchiaio di salsa di soia. Aggiungete un pizzico di sale e stemperateci un cucchiaino di maizena. Versate la salsina nella padella e fate addensare per 1 minuto. Accompagnate le polpette con le verdure preparate e la salsa Chutney di Pomodori e Cipolle (segue ricetta per farla e anche conservarla…)


Salsa Chutney di Pomodori e Cipolle
Per 5 vasetti


Ingredienti:

750 gr di pomodori maturi e sodi, 500 gr di cipolle, 500 gr di mele renette, 225 gr di uvetta sultanina, 325 gr di zucchero di canna integrale, 3 spicchi d’aglio, 6 grani di pepe di Cayenna, 1 cucchiaino di zenzero in polvere, ½ cucchiaino di sale, ½ cucchiaino di semi di coriandolo e mezzo di semi di senape, 4 chiodi di garofano, 2 foglie di alloro, 800 cl di aceto di vino bianco.


Tagliare a pezzetti i pomodori e affettare le cipolle pelate. Togliere il torsolo alle mele senza pelarle.
Con l’aiuto di un tagliere e della mezzaluna, sminuzzare il tutto. Versare il tutto in una capace casseruola, possibilmente di acciaio e unirvi l’uvetta, gli spicchi d’aglio, il pepe, lo zenzero, il sale, i semi di coriandolo e i semi di senape, i chiodi di garofano, le foglie di alloro, l’uvetta e lo zucchero di canna. Mescolare delicatamente tutti gli ingredienti con un cucchiaio di legno e unirvi l’aceto.
Mettere sul fuoco e quando raggiunge il bollore, ridurre al minimo la fiamma e fare sobbollire dolcemente, schiumando in superficie quando necessario. Cuocere per circa 3 ore senza coperchio.
Attenzione a mescolare sovente affinché il composto non attacchi sul fondo. Quando il liquido sarà completamente evaporato la salsa chutney sarà pronta. Versare ancora bollente in vasetti caldi e sterilizzati.
Chiudere i vasetti ermeticamente e conservare al fresco e al buio. Ottima salsa per accompagnare carni e formaggi.


Caponata di Melanzane. Un modo di conservare le Melanzane
Per 4 persone

Ingredienti:

1 kg di melanzane, 300 gr di sedano, 400 gr di pomodori, 1 cipolla, 1 etto di olive nere snocciolate, un cucchiaio di pinoli, 50 gr di capperi, qualche foglia di basilico, 1 cucchiaio di zucchero, un bicchiere di aceto, sale e pepe.

Lavate le melanzane e senza spellarle, riducetele a dadini. Friggetele in olio d’olive e scolatele su carta assorbente da cucina. Tenetele da parte. Tagliate a pezzetti il sedano, togliete pelle e semi ai pomodori e spezzettateli. Fate rosolare la cipolla tritata finemente con 3 cucchiai d’olio, unite i pomodori e lasciate cuocere per 10 minuti. Aggiungete il sedano, le olive nere, i pinoli, i capperi, un cucchiaio di zucchero sciolto in un bicchiere di aceto. Salate e pepate, fate cuocere per 20 minuti. Unite le melanzane e fate cuocere a fuoco basso per pochi minuti. Servite tiepido, con basilico spezzettato.

Ecco una ricetta per conservare questa meravigliosa verdura:


Melanzane alla Napoletana

Occorrono melanzane di qualità lunga (napoletane), aceto bianco, acqua, origano, sale, aglio, peperoncino rosso tritato.


Pelare le melanzane, farle a fettine di circa mezzo centimetro.
Portare a bollore acqua e aceto bianco in parti uguali, q.b. secondo la quantità delle vostre melanzane. Quando il liquido bolle, versare poco a poco le fette, facendole bollire per 3 minuti, e togliendole subito dopo dal liquido scolandole.
Appoggiarle su un piano di legno, coperto da un canovaccio, finché siano ben asciugate. Fare un trito di aglio, peperoncino, con l’aggiunta di sale fino ed origano.
Sistemare a strati in vasi di vetro sterilizzati le fette, mettendo in ogni strato un po’ del trito preparato. Ricoprire con olio e chiuderle ermeticamente.

domenica 29 settembre 2019

Lo Sapevate Che: Cultura - Le foreste sono l’anima della nostra civiltà?

Perderle non significa "soltanto" la crisi di ecosistemi e biodiversità, ma anche negare se stessi

 Le foreste sono anche un patrimonio culturale, psicologico. Gli alberi sono preziosi non solo perché producono ossigeno (poco più che anidride carbonica, ma il bilancio è positivo), ma soprattutto perché alle radici dei boschi è saldamente ancorato tutto il pensiero dell' Occidente, in un rapporto fitto di negazioni e riconoscimenti, così profondo da non poter essere impunemente violato. La civiltà occidentale si è fatta spazio nel cuore delle foreste, in opposizione alle foreste. Per Socrate la città rappresentava il trionfo della radura, del luogo in cui la luce della ragione dissipava le ombre della minaccia dionisiaca, del feroce Dioniso, che come insegnano le Baccanti di Euripide è il dio dell'istinto, dell'estasi, dell'annullamento, del "fuori-di-sé", ovvero della morte, l’unica condizione non negoziabile della nostra esistenza.

Non siamo solo razionalità, siamo mistero, come lo è la natura, che viene prima degli uomini e prima delle loro leggi. Chiamiamola Madre Terra, Terra madre, Creato, ma rispettiamola. Rispettiamo il nostro istinto vitale. Perdere le foreste non significa "soltanto" la perdita degli ecosistemi, della biodiversità, di una fabbrica immensa di medicinali (certo, se le foreste restano intatte e non bruciano non sale la temperatura globale), significa anche negare se stessi, ferire profondamente il nostro lato più istintivo e irrazionale, l'immaginario e il mistero che conteniamo.

Roma, paradossalmente, diventa impero cancellando le foreste delle sue origini (Romolo e Remo, la lupa, i lupercali), la condanna di Roma sarà pronunciata nelle foreste del Nord, a cominciare da Teutoburgo. Dobbiamo entrare nel bosco interiore senza paura, nell’”ombra della civiltà” come scrive Pogue Harrison (Foreste. L'ombra della civiltà, Garzanti) e così incontreremo l'"ombra", come diceva Jung. Ognuno di noi ne ha una e non va rifiutata ma conosciuta, per quanto è possibile. Dobbiamo incontrare le nostre contraddizioni e i nostri limiti. Là sono visionari, poeti e mistici, come Thoreau e Walt Whitman... e Dioniso, che abita quel buio.
Città e foresta, ragione e istinto hanno leggi diverse, entrambe legittime. Ma la più antica è quella della foresta. Distruggere la selva, scacciare Dioniso sostituendolo con il mito del progresso indefinito non servirà a nulla, perché la doppiezza della nostra natura resterà, e se non la accettiamo andremo alla perdizione: "Chi può costringere la foresta a prestar servizio come soldato arruolato? » si chiede Macbeth, il nemico della legge naturale. La foresta che gli muove contro è la risposta, la vendetta della natura. Dobbiamo abitare con la natura, non contro la natura.
La penombra, lo sfumato, la "vaghezza" e le risonanze sono per Leopardi e Baudelaire vitali dal punto di vista artistico ed esistenziale... E lo sono ancora oggi per un'"ecologia della mente" contro il troppo esibito, lo spocchioso, il narcisistico dominante, contro la deprivazione sensoriale e i mondi vituali, gli schermi che ci inghiottono. Contro il consumismo degli oggetti, la mercificazione, la "roba" del Verga. Leopardi parla di queste risonanze, nel suo "Infinito" il "naufragar m'è dolce" cos'è altro, se non una forma di estasi dionisiaca?
Questo dare importanza alle cose e ai luoghi, non più interscambiabili, questa foresta di simboli che illumina le regioni interne della nostra psiche amplifica l'orizzonte della nostra percezione... "Mi si magnifica l'intelletto", direbbe Giordano Bruno. Come il gusto della madeleine proustiano, noi abitiamo la nostra memoria, è lei che definisce la nostra esistenza, non il surfare sulle cose e sugli impulsi. Se perdiamo questa profondità, schiacciati nel presente, perdiamo le nostre radici, andiamo incontro a una morte spirituale. Anche Baudelaire descrive le conseguenze di questa alienazione, l'annientamento della memoria, l'essere separati dall'esperienza profonda. La sua disperazione nel vedere che il mondo perde risonanze, gusto, tatto, "visione" e musica, è lo "Spleen".
Nell'epopea mesopotamica di Gilgamesh, la più antica opera letteraria della storia (che ha ispirato Omero e la Bibbia), l'eroe Gilgamesh esce dalle mura della città, (esce dalla razza, dalla religione, dall'identità, dalla civiltà, dai confini invalicabili della storia, insomma) e sale sulla montagna dei cedri per uccidere il mostro Humbaba, custode del bosco sacro. Ha guardato sopra le mura della Storia e ha visto la trascendenza inesorabile della natura, che tramuta i re e i potenti in cadaveri. Sente "il richiamo della foresta". Gilgamesh e l'amico Enkidu uccidono il custode dei cedri, gli tagliano la testa e lui li maledice, per tale misfatto Enkidu è condannato a morte dagli dei. Gilgamesh cade in uno stato di tristezza mortale, non valgono onori e monumenti, capisce che la morte è invincibile, le nostre mura non servono.
Noi continuiamo a fare come Gilgamesh: non possiamo abbracciare la terra ma possiamo spogliarla. Ci accaniamo contro la natura e gli animali con rabbia, come volessimo vendicarci, con hubris, del nostro essere ostaggio della morte. Ma la natura, la nostra irrazionalità (come Dioniso nelle Baccanti) si vendicano di chi la devasta. Marciano contro di noi: molte commedie di Shakespeare  sono ambientate nelle foreste (A piacer vostro, Sogno di una notte dí mezza estate), ma il Macbeth ci offre la metafora  più potente: la grande foresta di Birnam che muove verso il castello di Macbeth e condanna chi ha violato il diritto naturale. La legge della terra si ritorce contro chi l'ha violata.

È ora di dire: "caro creato, "I care", "Il faut cultiver son jardin"; da Voltaire a Kennedy diciamo "Mi interessa", esattamente il contrario del fascista "Me ne frego". È tempo di abbandonare l'esasperato materialismo e abitare con la natura, non contro la natura. Altrimenti quella stessa luce della fiamma che illumina a giorno la penombra vitale delle foreste e le incendia, distruggerà anche noi.

CARLO GRANDE - CULTURA - 28 Settembre 2019 – https://www.lastampa.it/cultura/2019/09/28/news/le-foreste-sono-l-anima-della-nostra-civilta-1.37541035

Speciale: Carrellata di Antipasti e…un dolcetto!...


Gazpacho Andaluso con Verdure miste
Per 4 persone:

Ingredienti:

500 gr. di pomodori, 1 peperone, 1 cetriolo, 100 gr. di mollica di pane, 3 cucchiai di olio di oliva, 3 cucchiai di aceto, 1 cipollotto, latte, sale.

Per accompagnare: 1 peperone, 1 cipolla, 2 uova sode, 2 carote, gambi di sedano.
Pelate i pomodori e privateli dei semi, quindi metteteli nel frullatore, insieme al peperone, al cetriolo e al cipollotto, ridotti a pezzetti.
Frullate bene il tutto, unite in pane, bagnato in un poco di latte e frullate ancora fino ad avere una crema omogenea.
Se necessario salate e poi condite con olio e aceto.
Versate il composto in una zuppiera capace, accompagnando con la verdura a pezzetti e le uova sgusciate a fettine. Delizioso!


Fagottini al Granoturco
Per 4 persone

Ingredienti:

2 uova, gr 150 di farina, 6 dl di latte, gr 300 di grani di granoturco in scatola, gr 60 di parmigiano grattugiato, gr 200 di ricotta, 1 cipolla, la scorza grattugiata e il succo di 1 limone, 1 porro, finocchietto selvatico, 100 gr di burro, sale e pepe.


In una scodella, sbattete le uova con il sale, la farina e dl3 di latte, fino a ottenere una pastella liscia, poi fatela riposare in luogo tiepido per 30 minuti.
In un padellino, fatevi dorare 30 gr di burro, quando sarà caldo, versatevi un mestolino di pastella, facendola spandere uniformemente sul fondo. Non appena la crepe sarà cotta da un lato, giratela dall’altro lato. Continuate fino a esaurimento della pastella.
In una casseruola con 50 gr di burro, aggiungetevi la cipolla tritata, fatela rosolare, unitevi i chicchi di granoturco, scolati del liquido di vegetazione, salate e pepate. Aggiungete 50 gr di farina, mescolando. Togliete la casseruola dal fuoco e versatevi a filo il latte rimasto, rimettete la pentola sul fuoco, portate a ebollizione, continuando a mescolare, facendo addensare. Incorporate la ricotta, il parmigiano grattugiato, la scorza e il succo di limone, insaporite con sale e pepe.
Distribuite questo composto sulle crêpes che legherete a fagottino con le foglie di porro tagliate per lungo a strisce, dopo averlo sbollentato per pochi minuti in acqua bollente. Decorate con i rametti di finocchio.

p.s. Il granoturco si può realizzare, se è stagione, con le pannocchie con grani maturi ma non ancora giunti a maturazione completa: Pulire le pannocchie delle barbe e delle foglie e farle bollire in acqua salata per almeno mezz’ora. Farle raffreddare leggermente e sgranarle. Asciugare prima dell’uso i grani di granoturco con l’aiuto di carta da cucina assorbente.


Cake al Formaggio e Prosciutto crudo
Per 6 persone

Ingredienti:

150 gr di prosciutto crudo, 350 gr di farina, 100 gr di parmigiano grattugiato, 100 gr di Gruyère, una bustina di lievito di birra liofilizzato, 2 uova intere e 1 tuorlo, rosmarino, zucchero, olio, sale e pepe.

Versate la farina a fontana su un piano da lavoro. Uniteci nel centro il lievito liofilizzato, un pizzico di sale, un cucchiaino di zucchero, un cucchiaio di olio, 50 gr di parmigiano grattugiato e unite 40 gr di farina.
Impastate gli ingredienti, unendo poco alla volta 1 dl di acqua tiepida. Incorporatevi le uova battute, il Gruyère grattugiato e il parmigiano rimasto. Una macinata di pepe, un pizzico di aghi di rosmarino e il prosciutto tritato grossolanamente. Lavorate a lungo la pasta, finché non risulti elastica ed omogenea.
Con l’impasto formate una palla, incidetela a croce sulla superficie, copritela con un canovaccio e lasciatela lievitare per un’ora a temperatura ambiente. Impastatela di nuovo e mettetela in uno stampo da plumcake da 1 litro, unto di olio e infarinato. Coprite con un canovaccio e lasciate lievitare nuovamente l’impasto per circa un’ora. Diluite il tuorlo rimasto con un cucchiaio d’acqua. Sbattete leggermente con una forchetta e usatelo per spennellare la superficie della pasta.
Cuocete in forno preriscaldato a 200° per un’ora. Spegnete e attendete qualche minuto prima di sformare il cake. Servite tiepido, tagliato a fette.


Piccoli Muffin al Cioccolato e Zenzero
Per 4 persone

Ingredienti:
375 gr di farina, 2 uova, 2,5 dl di latte, 4 cucchiai di zucchero semolato, 150 gr di cioccolato fondente, 1 cucchiaino di zenzero grattugiato, 1 bustina di lievito in polvere, 100 gr di burro. Per guarnire zucchero a velo e zenzeri candito.

Spezzettare il cioccolato e metterlo in una piccola casseruola con 75 gr di burro tagliato a piccoli pezzetti.
Fare fondere il tutto a bagnomaria mescolando di tanto in tanto. Mescolare la farina col lievito, mettendola in una terrina unire pure il cacao e lo zucchero e mescolare il tutto formando una fontana dove nel centro verserete la crema di cioccolato e le uova sbattute con lo zenzero e il latte. Amalgamare gli ingredienti senza lavorarli troppo. L’impasto dovrà risultare un po’ grumoso. Fare fondere il burro rimasto e spennellare gli stampini per 12 muffin.
Versare il composto in ogni formina sino a ¾ della loro altezza. Infornare a forno preriscaldato a 210° per 20 minuti. Controllare la cottura infilando uno stecchino al centro di un muffin; dovrà risultare asciutto.
Lasciare riposare per 5 minuti, poi sformare i muffin e spolverizzarli con lo zucchero a velo e guarnirli con qualche pezzettino di zenzero candito.

sabato 28 settembre 2019

Lo Sapevate Che: “L’infinito” di Giacomo Leopardi ci spinge ad andare oltre i confini


L'”Infinito” di Giacomo Leopardi
 Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.



MILANO – L’Infinito di Giacomo Leopardi compie quest’anno 200 anni: non si tratta solo di una bellissima poesia, ma ritrae perfettamente uno stato d’animo dell’Uomo. Spazio e tempo come entità non limitabili, che si concretizza nell’alternarsi delle stagioni, nello scorrere del tempo, nella vita che muore e rinasce senza soluzione di continuità. Sono questi i concetti cardine de “L’infinito” di Giacomo Leopardi, una delle poesie più amate di sempre e che molti ricordano ancora a memoria.
 La grandezza della natura
Leopardi volge lo sguardo ad elementi paesaggistici a lui familiari, che gli provocano una profonda riflessione sui misteri dell’esistenza. Gli elementi naturali protagonisti nei primi versi sono un colle, una siepe che interferisce con lo sguardo. Pochi elementi che permettono all’autore di riflettere su spazio e tempo, su passato e presente, e il loro infinito dilatarsi che lo pone piccolo piccolo di fronte alla grandezza di questi elementi.
Andare oltre i limiti
Verso dopo verso lo sgomento lascia spazio alla dolcezza, con le riflessioni “infinite” che diventano modo per l’autore trovare il significato del suo passato e del suo presente, rappresentato nelle parole “io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura”. I limiti di Leopardi diventano quindi un’opportunità per andare oltre, usando la propria immaginazione. Un’esperienza personale ed intima a cui il poeta di Recanati si abbandona, ben rappresentata nei versi “tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.”-



MILANO – Prende il via a Napoli il “Comitato Nazionale per il bicentenario dell’Infinito di Leopardi” istituito dal Mibac con l’inaugurazione Giovedi 21 Marzo 2019 ore 16.00 alla Biblioteca Nazionale – Palazzo Reale della mostra “Il corpo dell’idea. Immaginazione e linguaggio in Vico e Leopardi“. L’inaugurazione sara preceduta  da una prolusione di Antonio Prete, trai massimi esperti dell’opera leopardiana, e dagli interventi delle autorità  e dei rappresentanti degli istituti scientifici ed accademici.

Preziosi autografi

In mostra  una vasta  selezione di preziosi autografi: dalla Scienza Nuova, allo Zibaldone di pensieri, alle Operette Morali, dalla Primavera, allo Stratone da Lampsaco, con  un posto di rilievo per l ‘lnfinito nella sua prima versione del 1819 che riporta le correzioni ed i ripensamenti di Leopardi. Si aggiungono 29 rari testi del’500 e 700, ed il prezioso Globo di Vincenzo Coronelli (1650 1718),  geografo, attivo a Venezia, poi alla corte dei Re Sole, tutti provenienti dalla Biblioteca Nazionale. L’itinerario nel mito si avvale  dell’esposizione di statue provenienti dal Museo di Palazzo Reale di Napoli e dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Mitologia e poesia

“La mostra è stata realizzata nel segno della proficua sinergia tra gli istituti del MIBAC .- spiega il direttore della Biblioteca Nazionale di Napol Francesco Mercurio – La narrazione  si sviluppa a partire dalle origini del mondo, attraverso un itinerario tra gli Dei, gli Eroi e gli Uomini. Mitologia, filologia e poesia si intrecciano attraverso le parole di Vico e Leopardi in un dialogo tra i due che sembra non appartenere ad un tempo e uno spazio finito, ma prosegue oltre, in un flusso senza soluzione di continuità che giunge fino a noi, uomini del XXI https://libreriamo.it/libri/infinito-leopardi-mostra-napoli/secolo.”

Speciale: Gradevole menù del sabato!


Pollo al forno con besciamella accompagnato da Riso pilaf
Per 4 persone


Ingredienti:

1 pollo, gr 100 di Emmental, gr 100 di burro, ½ lt di latte, gr 50 di farina, dl 2 di panna, noce moscata, olio, sale, pepe. Riso Patna 300 gr.( per il riso pilaf)

Adagiate il pollo in un tegame con olio e gr 50 di burro.
Fate rosolare, pepate, salate e cuocete per un’ora a fiamma bassa. Fate con latte, burro, farina e sale, una besciamella densa. Togliete dal fuoco e incorporate l’Emmental grattugiato e la panna, un pizzico di noce moscata.
Tagliate a pezzi il pollo, e adagiate i pezzi, in una teglia imburrata e ricopriteli con la besciamella. Infornate a calore moderato per 20 minuti e appena si sarà formata sulla superficie una crosticina dorata, togliete dal forno e servite accompagnandolo col riso pilaf. (segue ricetta riso pilaf)


Per il riso pilaf:

In una pirofila da forno che si possa coprire, fate appassire una cipolla bianca in 50 gr di burro (attenzione che se la pirofila fosse di vetro, dovete mettere sotto, sul fuoco, uno spargi fiamma), aggiungete il riso e sempre mescolando, cuocetelo per 4 minuti. Unite il brodo caldo e mescolate, portate a ebollizione, coprite la pirofila perfettamente e mettetela in forno preriscaldato a 180°, fate cuocere per 16 minuti, finché l’acqua sia completamente assorbita.


Flan di Cavolfiore e pancetta con Insalata mista
Per 4 persone

1 cavolfiore da 1 kg, 60 gr di pancetta a dadini, 60 gr di parmigiano grattugiato, 100 gr di panna, 2 uova, burro, noce moscata, sale.

Fare lessare il cavolfiore, ridotto in cimette, a vapore per 25 minuti. Poi passarlo al passaverdura. In una padella con 20 gr di burro, fare rosolare i dadini di pancetta e aggiungere il passato di cavolfiore, lasciare insaporire e salare. Sbattere le uova, aggiungere la panna, una grattata di noce moscata, il parmigiano grattugiato, salare e mescolare. Unire al composto di cavolfiore.
Imburrare una pirofila rettangolare, versare il composto, livellarlo. Fare cuocere in forno preriscaldato a 170° per 40 minuti, coprendo lo stampo con carta di alluminio, da togliere dopo 20 minuti. Sformare o servire nella stessa pirofila, quando sarà tiepido. Si accompagna con salsa di pomodoro.
Una variante può essere quella di usare i broccoli verdi, con lo stesso procedimento per la preparazione.

Per finire frutta a volontà! Buon sabato a tutti!

venerdì 27 settembre 2019

Lo Sapevate Che: Cultura: Mario Calabresi: il giorno che incontrai Pietrostefani


Anticipiamo un capitolo del nuovo libro di Mario Calabresi, in uscita il 17 settembre. L’ex direttore di “Repubblica” racconta di quando a Parigi guarda negli occhi l’uomo condannato per la morte del padre di MARIO CALABRESI


Rimaneva una cosa da fare, per mettere ordine e fare i conti con il passato. Il giorno dopo finisce quando i conti sono regolati, quando ti fai una ragione delle cose e puoi provare a guardare avanti, anche se quel davanti magari è molto diverso da quello che avevi immaginato. Dovevo fare un incontro che avevo evitato diciassette anni prima. Volevo tornare a Parigi per parlare con Giorgio Pietrostefani, l’uomo che è stato condannato per aver organizzato l’omicidio di mio padre.



Lo ricordo ai processi, la faccia dura, mai una parola, mai un’emozione. Un oggetto misterioso, sembrava fatto di pietra, non rilasciava dichiarazioni alla stampa, sfuggiva i microfoni e si rifugiava dietro occhiali da sole con la montatura quadrata. Mi provocava molto disagio. A un certo punto dei processi andò a vivere in Francia. Dopo la sentenza di Cassazione che confermò la condanna definitiva tornò in Italia e passò due anni nel carcere di Pisa. Poi venne accordata una revisione del processo, che si tenne a Mestre. Prima della sentenza della Corte d’appello di Venezia, la quindicesima di un percorso durato dodici anni, che rigettava la richiesta di revisione e confermava le condanne, fuggì a Parigi. Non è mai più tornato. E nessuno lo ha mai chiesto indietro con convinzione.



Così ha vissuto libero in Francia per più di vent’anni. Nell’estate del 2002, nei giorni in cui si giocavano i mondiali di calcio di Giappone e Corea del Sud, ero a Parigi per seguire le elezioni politiche. Una sera un collega mi invitò a casa sua per vedere la partita dell’Italia, ma prima di accettare venni a sapere che in quel salotto, nella poltrona di fronte alla televisione, ci sarebbe stato Giorgio Pietrostefani. L’idea di trovarmelo davanti, in un contesto di svago, non era sopportabile, cosi non andai. Pensai che era curioso che tanti lo conoscessero e lo frequentassero ma per lo Stato italiano fosse un latitante. Anni dopo avremmo saputo anche che riceve regolarmente una pensione grazie ai contributi versati quando lavorava in Italia. Ogni volta che sono stato in Francia in questi anni ho immaginato di andare a cercarlo, c’erano molte cose che avrei voluto chiedergli e volevo guardarlo negli occhi, oltre quegli occhiali. Poi c’era sempre qualcosa da fare capace di esentarmi da quella fatica.



Finché l’arresto e l’estradizione di Cesare Battisti, il terrorista dei Pac fuggito prima in Francia e poi in Brasile, hanno riportato il tema dei latitanti della stagione del terrorismo nel dibattito politico e sulle prime pagine dei giornali. Nei miei ultimi giorni di lavoro a Repubblica ho saputo che il suo nome era in cima alla lista della dozzina di ex terroristi di cui il ministero della Giustizia chiede finisca la latitanza parigina. Era stato anche lui protetto in nome della “dottrina Mitterrand”. Ma l’accoglienza garantita da quel presidente francese, che regnò per tutti gli anni Ottanta e per ben metà del decennio successivo, si sarebbe dovuta applicare solo a chi non aveva le mani sporche di sangue. Ho trovato il tempo per andare a cercare i documenti e le interviste di François Mitterrand e non ci sono molte cose da interpretare.



Ho cercato allora di capire che fine avesse fatto Pietrostefani, ormai aveva passato la metà dei settanta, e dove vivesse. Ho scoperto che aveva avuto un trapianto di fegato e che viveva quasi più negli ospedali che a casa. Allora ho sentito che era tempo di farlo. Non c’erano più impegni urgenti e pressanti. E avevo chiara la sensazione che se l’avessi evitato di nuovo e l’incontro non ci fosse stato, un giorno avrei considerato tutto questo un’occasione perduta.



Ho cercato un contatto che non desse spettacolo, che fosse riservato. L’ho trovato e ci ho messo due mesi per arrivare in fondo. Ho avvisato mia madre, che mi ha chiesto cosa mi aspettassi e mi ha aiutato a trovare lo spirito giusto. Lei ci aveva pensato molto e alla fine mi ha ripetuto tre volte la stessa frase: «Digli che io ho perdonato, sono in pace e così voglio vivere il resto della mia vita».



Quella mattina esco all’alba, cammino per più di due ore per Parigi, facendo il giro di tutti i posti che hanno qualcosa da dirmi. Il ristorante dove Tonino ci ha fatto provare per la prima volta le ostriche, nell’unico viaggio che abbiamo fatto tutti insieme fuori dall’Italia. Resta una foto bellissima con tutti e quattro i figli appoggiati al muretto di un ponte sulla Senna. Vado in Rue Mouffetard dove il mio amico Corso mi portava a prendere delle gigantesche crêpe salate e scendo a Notre-Dame. Non ci sono ancora turisti ma è tutto transennato, la cattedrale ferita si può guardare solo da lontano. È ancora in piedi e le due torri della facciata danno un senso di forza e di appartenenza che va oltre la cronaca e appartiene alla Storia.



Poi arriva il primo pullman di turisti, scarica un fiume di asiatici che cominciano a farsi selfie con uno degli sfondi più famosi del mondo. È tempo di andare. Si alza un vento fortissimo, annuncia tempesta. Ho imparato la puntualità, arrivare in anticipo mi sembra una delle più belle conquiste di questo tempo nuovo. L’uomo che mi trovo di fronte ha la barba bianca, è talmente magro da sembrare la metà di quello di un tempo. Ha quasi 76 anni, ne aveva 28 quel 17 maggio 1972 quando spararono a mio padre. Io avevo due anni e mezzo.



Infagottato in un giubbotto verde, con gli occhiali da sole quadrati che aveva anche ai tempi del processo. Lo vedo che cammina avanti e indietro di fronte all’albergo, guarda continuamente l’ora, è anche lui in anticipo.



Allora esco e gli vado incontro, anche se non sono sicuro che sia lui perché è irriconoscibile. Solo gli occhi, noto dopo, ricordano chi era. È teso. Deve aver dormito peggio di me. Incontrare uno che somiglia cosi tanto a quel poliziotto contro cui scatenarono una delle più violente campagne di odio della storia del nostro paese, fino al suo omicidio, non deve essere facile. Fare i conti con la Storia nemmeno. Parliamo per mezz’ora, seduti nella hall di un anonimo albergo popolato solo di turisti americani. C’è stato un momento, molti anni fa, in cui mia madre decise che pubblico e privato si sarebbero separati per sempre. Che non avremmo più parlato di processi. Chiedevamo giustizia e, seppur dopo tanti anni, l’abbiamo ottenuta, tutto il resto — dall’esecuzione delle pene, ai permessi, all’estradizione fino alle grazie — non spettava a noi ma allo Stato.



Ricordo l’esatto momento in cui mia madre mi disse che era giusto fare cosi. Eravamo seduti in macchina sotto casa della nonna, chissà perché. Forse perché lei era l’unica ad avere il computer e la stampante, nonostante i suoi ottant’anni. Dovevamo compilare un modulo per dare il nostro parere sulla richiesta di grazia per Ovidio Bompressi, condannato per aver sparato a mio padre, il presidente della Repubblica era Carlo Azeglio Ciampi.



Il modulo prevedeva che noi potessimo dire sì o no. Mia madre si rifiutò e ragionò: non siamo nel Medioevo che una famiglia decide se una persona deve stare o meno in carcere, la giustizia non può essere un fatto privato, tanto che viene amministrata in nome del popolo italiano. Lo Stato deve avere il coraggio delle sue decisioni, assumendosene la responsabilità. Non può nascondersi dietro una famiglia. Noi ci rimettiamo all’interesse generale, non ci metteremo di traverso e non commenteremo in alcun modo, faccia il presidente della Repubblica quello che ritiene giusto per l’Italia. Da quel momento mia madre non ha più detto una parola sulle vicende e ha intrapreso con convinzione un processo di pacificazione interiore. Un percorso privato, con cui ha sempre cercato di contaminare me e i miei fratelli. Questi percorsi sono fatti di passi avanti e marce indietro, ma sono fondamentali per trovare una pace interiore. Cosi sono andato a incontrare quell’uomo che non aveva più nulla dei suoi vent’anni. Dovevo farlo.



Adesso, il mio giorno dopo era finito davvero.

Speciale: Piatti golosi di Pesce, senza colesterolo!...


Spaghetti con Vongole, in bianco
Per 4 persone

Ingredienti:

gr 400 di spaghetti o vermicelli, 4 spicchi d’aglio, un ciuffo generoso di prezzemolo tritato finemente, olio evo, sale peperoncino.


Spazzolare bene i gusci delle vongole e lavarle accuratamente in un contenitore sotto l’acqua corrente, cambiando sovente l’acqua, o se si dispone di più tempo lasciandole più a lungo nell’acqua che cambierete sovente.
Fare imbiondire 3 spicchi d’aglio in un capiente tegame in 3 cucchiai d’olio. Aggiungere le vongole ben scolate e fare cuocere a fuoco vivo per 3 minuti, fino a che siano tutte aperte (quelle rimaste chiuse si eliminano).
Sgusciarne la metà, lasciando da parte le altre per la decorazione. Rimettere le vongole sgusciate nella padella e aggiungere il prezzemolo tritato finemente, salare se occorre e aggiungere una punta di peperoncino.
Nel mentre avrete fatto cuocere e scolato molto al dente, in acqua bollente salata, gli spaghetti o i vermicelli. Ben scolati versarli nella padella con le vongole preparate.
Fare insaporire mescolando delicatamente per qualche minuto, decorare con le vongole non sgusciate e servire subito.

P.s. Se volete aggiungere il sugo di pomodoro:

Gli ingredienti sono uguali alla preparazione delle vongole in bianco, con l’aggiunta di mezzo chilo di pomodori da sugo.


Fregula con Arselle, piatto originale Sardo
Per 4 persone

Ingredienti:

1 kg di arselle, 150 gr di semolino, ½ kg di pomodori pelati, 2 lt di brodo vegetale, 3 spicchi d’aglio, un ciuffo di prezzemolo, un pizzico di zafferano, olio, sale, pepe.

Lavare con cura le arselle ripetutamente in acqua corrente. Mettere il brodo in una casseruola e portarlo a bollore. Prima che raggiunga il bollore, gettarvi a pioggia il semolino e mescolando bene, fare cuocere a fuoco dolce, mescolando ogni tanto per circa 10 minuti, verso fine cottura unire il pizzico di zafferano sciolto in pochissima acqua calda.
Nel mentre in una capiente padella, fare imbiondire gli spicchi d’aglio in 3 cucchiai d’olio, unire i pelati tagliati a dadini, salare e pepare. Fare cuocere per 10 minuti. Aggiungere le arselle ben scolate e asciugate con carta da cucina, il prezzemolo pulito e tritato. Mescolare delicatamente fino a che le arselle siano aperte. Eliminare eventualmente quelle rimaste chiuse.
Versare il tutto nella casseruola con semolino, mescolare per poco e servire immediatamente.


Orata con Patate alla Mediterranea
Per 4 persone

Ingredienti:

1 orata di 1 kg, un ciuffo di prezzemolo, 6 patate medie, 6 pomodorini ciliegia, 80 gr di pecorino grattugiato, olio, sale e pepe.

Squamate, eviscerate, lavate e asciugate un’orata di circa 1 kg.
Tritate un ciuffo di prezzemolo, pelate, lavate e asciugate 6 patate medie, affettatele sottilmente, tagliate a metà 6 pomodorini ciliegia.
Versate in una teglia 4 cucchiai d’olio, distribuite sul fondo metà del prezzemolo tritato, metà delle fettine di patate e 40 gr di pecorino grattugiato. Mettetevi sopra il pesce e copritelo con il prezzemolo e le patate rimaste. Distribuitevi intorno i pomodorini, bagnate il tutto con 6 cucchiai d’olio e cospargete con altri 40 gr di pecorino grattugiato. Salate, pepate e fate cuocere in forno a 200° per 35 minuti.