Una paura mi attanaglia, nata dalle reazioni alle rivelazioni
delle torture operate dalla Cia. Possibile che tutti si interroghino sulla loro
utilità e non sulla loro legalità? E che nessuno ponga il problema della
violazione di una morale, di un’etica umana? Possibile che oggi non esista più
una morale a cui far riferimento per le azioni degli uomini? Possibile che
tutto venga ricondotto all’utilità, all’efficienza di un’azione, senza
domandarsi se questa sia giusta o ingiusta, bella o brutta, sacra o profana, se
viola o no quelli che dovrebbero essere i principi di giustizia, amore,
solidarietà, fondamentali e caratteristici dell’essere umano? Sono uno studente
di fisica per cui non riesco a comprendere appieno il suo pensiero filosofico,
ma mi chiedo, e per questo Le ho scritto, se queste mie domande non abbiano a
che fare con la contrapposizione che lei spesso fa fra l’uomo e la tecnica.
Riccardo Marrocchio riccardomarrocchio@live.com
Sì, hanno a che fare, perché, a differenza dell’uomo, la
tecnica non promuove un senso, non si pone problemi etici, non apre scenari di
salvezza, non redime, non svela la verità: la tecnica “funziona”. E siccome il
suo funzionamento sta diventando planetario, la razionalità della tecnica, che
prevede il conseguimento del massimo dei risultati con l’impiego minimo dei
mezzi, sta diventando l’unica espressione di razionalità. A essa l’uomo non può
sottrarsi, se non vuol essere marginalizzato o confinato in mondi umanistici,
che la tecnica vede come impedimenti alla sua efficienza nel conseguire
risultati con minor costi. A questo punto, come lei giustamente osserva, la
categoria dell’”utilità”, a cui la tecnica fa riferimento, finisce per mettere
in secondo piano fino a ridurre alla quasi insignificanza tutte quelle
categorie umanistiche che chiedono che cosa è giusto, che cosa è buono, che
cosa è vero, che cosa è bello, che cosa è santo, perché in primo piano resta
solo “che cosa è utile”. A questo punto il bene e il male non riguardano più il
contenuto delle nostre azioni, ma la perfetta esecuzione di quanto l’apparato
tecnico ci prescrive. (..). Se la razionalità della tecnica limita i suoi
giudizi di valore, ossia il bene e il male, alla buona o cattiva esecuzione del
compito prescritto dall’apparato tecnico, a prescindere dal contenuto del
compito assegnato, la tecnica ci sgrava da ogni responsabilità etica in ordine
alle nostre azioni e alle loro conseguenze, perché limita la responsabilità
alla buona esecuzione dell’ordine impartito dai superiori, che si concreta nel
mansionario assegnato a ciascun subordinato. Del resto quante volte davanti o a
uno sportello ci siamo sentiti dire: “Non rientra nel mio mansionario”, oppure:
“Non è di mia competenza”. Capisce allora perché le torture rivelate dalla Cia
sono giudicate negative non per la loro illegalità o immoralità, ma per la loro
inutilità, in quanto non hanno portato alcun risultato tra quelli che ci si
proponeva.
umbertogalimberto@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 23 maggio 2015
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