In Crisi Di
Autorevolezza, credibilità,
rappresentanza. E pure costosa. Non per le casse pubbliche, per fortuna. Ma per
il portafoglio degli imprenditori associati. “Potere forte” per antonomasia.
Confindustria ha di pesante, ormai da nni, soltanto il suo bilancio: 500
milioni all’anno di costi, coperti con soldi privati ma non per questo cifra
meno impressionante. (..). L’influenza di Confindustria sulla politica
nazionale è andata calando di pari passo alla sua capacità di offrire visioni
dei crescita e di sviluppo del paese. Gli anni del fiancheggiamento entusiasta
verso il berlusconismo trionfante, interpretati da Antonio D’Amato nei primi
anni 2000, si sono poi conclusi con l’irrilevanza attuale. Anche quest’anno
Matteo Renzi ha fatto sapere che diserterà l’invito del presidente Squinzi: ha
altro da fare. (..). Oggi Confindustria, complice anche la lunga crisi
economica, a stento riesce a tenere insieme i propri aderenti. Tra le critiche
mosse a Renzi, ricorre anche quella secondo cui il premier-segretario tende a
disarticolare i cosiddetti corpi intermedi, organizzazioni o istituzioni che
siano, deputati a svolgere un ruolo di rappresentanza e di ricomposizione di
interessi diffusi presenti nella società.(..). Tuttavia la facilità con cui
Renzi procede nello scavalcarli e delegittimarli è favorita dalla crisi di
identità di questi stessi organismi. Che è ben precedente all’ascesa a Palazzo
Chigi del sindaco di Firenze. Renzi, con la spregiudicatezza che lo contraddistingue,
ne prende semplicemente atto e ratifica l’abolizione di una liturgia senza più
significato. Così il “sindacato dei padroni” finisce per essere ignorato alla
stregua dello storico rivale, il sindacato dei lavoratori. E’ il leaderismo
politico che ha bisogno fi ridurre le distanze tra l’eletto e gli elettori. Una
democrazia accorciata, potremmo definirla. Con le incognite di una prassi
finora sconosciuta. Tuttavia il renzismo non è la causa di questo ribaltamento
dei rapporti di forza all’interno delle pratiche repubblicane, bensì l’effetto
di un trentennio di immobilismo in tutti i campi. Ulteriore Esempio della degenerazione della
rappresentanza viene dalle Regioni. Se la Confindustria è un organismo privato,
queste sono espressione della volontà popolare. Nel tempo le Regioni invece si
sono rivelate il distillato di una democrazia sfibrata dalla cattiva politica.
Da enti di programmazione e di indirizzo, dunque “leggeri”-come era nelle
intenzioni dei costituenti – si sono trasformate in macchine burocratiche
onnivore, sempre più costose, invasive: Stati nello Stato, pessima
interpretazione di un federalismo inconcludente e mazzettaro. Alle Regioni
Dedichiamo la copertina di questo numero con i servizi di Bruno Manfellotto,
Marco Damilano e Roberto Di Caro, invista delle elezioni di domenica 31 maggio
in sette di esse (Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Campania e Puglia).
Ho già espresso la mia opinione sulla necessità di rifondare e rioensare le
loro funzioni così come si sono configurate dopo la sciagurata riforma
costituzionale del 2001, governo D’Alema e Amato. Perché hanno assunto la
consistenza di una inutile sovrastruttura (anzi 20 tanti quanti sono gli enti
regionali ordinari e speciali in Italia) delegittimata dalla sua inefficienza.
Tutte le previsioni indicano una bassa affluenza. E’ come se l’abrogazione
delle Regioni venisse di fatto sancita dall’astensione di massa. irrilevante
dal punto di vista costituzionale, perché – va da sé – esisteranno ugualmente
anche se dovesse votare meno della metà degli elettori. Ma indicativo dello
spirito del tempo. Ancora una democrazia accorciata, stavolta per volontà
popolare. Che inquietante modo di festeggiare l’anniversario della Repubblica….
Luigi Vicinanza – Editoriale www.lespresso.it- @vicinanzal – 28 maggio
2015
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