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martedì 30 giugno 2020

Lo Sapevate Che: LA MENTE PRIGIONIERA – CZESLAW MILOSZ






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“Quello che cerco di mostrare è come operi il pensiero umano nelle democrazie popolari. E poichè l’ambiente che ho avuto modo di osservare più da vicino è quello degli artisti e degli scrittori, questo libro è soprattutto uno studio su tale ambiente, che a Varsavia come a Budapest, a Praga come a Bucarest ha un ruolo importante.”
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Czesław Miłosz (1911-2004), poeta, romanziere, saggista, traduttore, lituano di cultura polacca, Premio Nobel per la letteratura 1980,visse la tragedia nazista, l’occupazione tedesca della Polonia, e fu testimone oculare della brutalità delle armate di Hitler. Dopo la guerra diventa addetto culturale all’ambasciata polacca a Washington e successivamente a Parigi, nel 1951. Fortemente critico rispetto alla condotta governativa e al clima culturale imposto da un’élite politica e intellettuale formatasi a Mosca, in seguito alla rottura con il partito comunista, chiede asilo politico in Francia, per trasferirsi successivamente negli Stati Uniti. A Berkeley, in California, insegna letteratura polacca, continua la propria opera poetica dedicandosi anche alla traduzione, per diffondere la poesia polacca in ambito anglo-americano e poi europeo.
Tema fondamentale di tutti gli scritti di Miłosz è sempre la salvaguardia della dignità intellettuale dell’uomo. Non per nulla, nella motivazione per l’assegnazione del Nobel si legge: « Who with uncompromising clear-sightedness voices man’s exposed condition in a world of severe conflicts. » (« A chi, con voce lungimirante e senza compromessi, ha esposto la condizione dell’uomo in un mondo di duri conflitti. »)
I testi di questo libro, raccolti sotto il titolo La mente prigioniera sono fondamentali per comprendere il suo pensiero.
Nei primi tre capitoli, l’autore racconta l’esperienza dell’occupazione nazista in Polonia e le durezze della guerra nel suo paese: l’ordine delle cose, considerato naturale, viene spezzato da un evento di portata tragica che ribalta tutto quanto prima era scontato.
“In generale l’uomo è incline a considerare naturale l’ordine nel quale vive. […] Quale dei mondi è «naturale»? Quello di prima della guerra o quello durante? «Entrambi lo sono» pensa l’uomo al quale è stato dato di conoscerli entrambi. Non esiste istituzione, usanza o abitudine che non possa subire cambiamenti. Tutto ciò di cui la gente vive le viene dal contesto storico in cui si è venuta a trovare. La fluidità e il mutamento costante sono una caratteristica dei fenomeni, e l’uomo è una creatura così plasmabile che si può anche ipotizzare il giorno in cui attributo del cittadino soddisfatto di sé sarà il camminare a quattro zampe con un ciuffo di piume colorate sul didietro”.
Si passa poi ad approfondire il tema del condizionamento del modo di pensare e di agire in un regime dittatoriale. Cosa utilizza il regime per installare nelle persone “…la paura di pensare per proprio conto…”? La censura e la minaccia, certo, ma anche la messa in atto di dinamiche e meccanismi di condizionamento più sottili ( “Il problema è troppo serio per essere ridotto a una semplice questione di violenza.”)
A Miłosz interessa soprattutto analizzare il comportamento degli intellettuali in genere ma soprattutto quello di “una specie particolare: quella degli intellettuali che si adattano”, ammettendo innanzitutto, con molta sincerità, di essere stato lui stesso, almeno all’inizio, uno di quelli che hanno cercato di adattarsi:
“Io ho fatto parte della categoria probabilmente più numerosa, cioè di coloro che a partire dal momento in cui il loro paese è finito sotto l’egemonia di Mosca si sono sforzati di fare atto di obbedienza e sono stati strumentalizzati dal nuovo regime.”Dice anche, però, di essersi presto reso conto del fatto che “Via via che nelle democrazie popolari la situazione si evolveva, lo spazio di manovra concessomi come scrittore diventava sempre più ristretto”
Miłosz esamina le tecniche – esteriori e interiori – con cui gli intellettuali, spesso volontariamente, si adattavano, accettavano gli insegnamenti più radicali dell’Unione Sovietica, che lui definisce il “Centro”, da cui provengono i dettami di quello che lui chiama “Metodo”, e cioè il marxismo-leninismo o meglio il “marxismo-leninismo in salsa russa”.
Certo, chi non è d’accordo con il regime può (sempre che il regime  glielo consenta) abbandonare tutto ed emigrare. Scegliere l’esilio volontario. Ma si tratta di una scelta difficile e dolorosa che non tutti vivono allo stesso modo, perchè
“Ci sono persone che sopportano bene l’esilio. Altre invece lo sentono come una grande sventura e sono disposte ad andare lontano sulla strada del compromesso pur di non perdere la patria.”
Come sopravvivere, dunque, se non si ha la forza e/o la possibilità di andarsene?
Simulando, mentendo, indossando una maschera. Sempre. Ogni giorno. Ogni minuto di ogni giornata.
Per illustrare questa condizione divisa dell’individuo all’interno di un regime totalitario e all’unica forma di difesa possibile per l’individuo che si trovi in questa condizione, Czesław  Miłoz ricorre a quello che l’autore chiama Ketman, prendendo a prestito un termine usato da Gobineau in un suo libro sulle religioni e le filosofie nell’Asia Centrale: si tratta in sostanza di aderire solo esteriormente ai dettami della religione (nel caso descritto da Gobineau, l’Islam), professando però interiormente quella che viene considerata la verità, oppressa dalla fede esteriore.
In buona sostanza: il Ketman di cui parla Miłosz (ed a cui dedica un intero lungo capitolo) è l’arte del mascherarsi, del costante mascherarsi, una teatralità quotidiana in cui tutti recitano con tutti e ne sono consapevoli; consiste nel fingere una perfetta identificazione con il ruolo imposto.
Se ci si riesce, questo procura sollievo e permette di allentare la tensione e la vigilanza; significa avere i riflessi giusti al momento giusto, significa un’arte del teatro praticato su scala di massa… Il Ketman è l’arte della dissimulazione, significa riuscire a non esporre la propria persona, riuscire a porre sotto silenzio le proprie più autentiche convinzioni. Miłosz enumera vari tipi di Ketman: quello nazionale (manifestare ad alta voce e di continuo la propria ammirazione per le conquiste della Russia nei vari campi, portare sottobraccio riviste e libri russi, canticchiare canzoni russe, applaudire freneticamente i musicisti e gli attori russi e così via), il Ketman della purezza rivoluzionaria, il Ketman estetico (disprezzare in pubblico le espressioni artistiche considerate borghesi, cosa che l’intellettuale può fare in privato ma solo a condizione che l’attività creativa da lui svolta pubblicamente produca gli effetti propagandistici desiderati). Il Ketman professionale, il Ketman scettico, il Ketman metafisico.
Coloro che gravitano nel mondo della letteratura e dell’arte possono cercare anche di ricorrere a forme di evasione che non facciano correre rischi. Ecco allora scrittori che si sprofondano in testi antichi, commentano e traducono vecchi autori, scrivono volentieri libri per bambini nei quali la fantasia gode di una più ampia libertà. Molti di loro scelgono la carriera universitaria, poichè le ricerche di storia della letteratura offrono un pretesto incontestabile per immergersi nel passato e avere a che fare con opere di grande valore estetico. Si moltiplica anche il numero dei traduttori di poesia e prosa antiche. I pittori cercano uno sbocco ai loro interessi illustrando libri per bambini, poichè la scelta di colori vivi può essere giustificata rifacendosi all’´ ingenua ‘ fantasia infantile’.
“Quanto alla poesia, siccome le sue fonti difficilmente si distinguono da quelle della religione, essa è particolarmente esposta al rischio della persecuzione. Certo il poeta può descrivere le montagne, gli alberi e i fiori. Ma basta che provi di fronte alla natura quel trasporto indefinibile che s’impadronì di Wordsworth durante l’escursione a Tintern Abbey, perchè venga bollato e, in caso di resistenza, scompaia dal mondo della vita letteraria. Questo è un ottimo mezzo per annientare legioni di cattivi poeti che adorano far pubblico sfoggio dei loro voli panteistici, ma lo è anche per annientare la poesia in generale sostituendola con opere che hanno lo stesso valore delle canzoncine-rèclame trasmesse dalla radio negli Stati Uniti.”
Leggendo queste righe, come non pensare a Mandel’stam, alla Achmatova, a tutti quei poeti russi perseguitati e finiti nei gulag staliniani…a tutti gli scrittori di cui ci parla Rachel Polonsky ne La lanterna magica di Molotov i cui libri trova nella biblioteca dell’ex appartamento di Molotov? Gran parte dei loro autori fu lo stesso Molotov a spedirli nei gulag, durante il Grande Terrore…
“Il musicista dovrebbe fare in modo che le sue composizioni siano facilmente traducibili nella lingua dell’agire quotidiano entusiasmo per il lavoro, feste popolari e così via e che non rimanga nulla di difficile da cogliere, vale a dire di sospetto.”
… ed io penso a Shostakovich, con il quale Stalin ha giocato sempre come il gatto con il topo, esaltandolo un giorno elargendogli lodi sperticate, assegnandogli prestigiose onorificenze e gettando nel terrore lui e la sua famiglia il giorno dopo quando gli sembrava che la musica che componeva non fosse abbastanza orecchiabile e popolare…
Per farla breve: il concetto è che è bene tutto quello che serve agli interessi della rivoluzione mentre è male tutto ciò che a tali interessi nuoce.
Chi pratica il Ketman deve mentire, ma paradossalmente, è proprio il Ketman che consente di realizzare se stessi malgrado qualcosa.
Dopo questi capitoli di taglio generale, Miłosz passa a raccontare — a scopo esemplificativo — le vicende di quattro persone, tutti intellettuali – romanzieri o poeti – che chiama, senza meglio precisare i loro veri nomi, AlfaBetaGamma e Delta, i quali, per i più svariati motivi, finiscono per accettare la Nuova Fede e per servire gli scopi del Centro in quella nuova Repubblica Popolare che è la Polonia del dopoguerra. Attraverso queste quattro, emblematiche storie, Miłosz ci fa rivivere da grande narratore tutta un’epoca, le sue contraddizioni, i suoi conflitti.
L’ultimo, bellissimo capitolo del libro è intitolato I popoli baltici in cui Miłosz ripercorre, in una lunga e dolente carrellata, la travagliata storia di EstoniaLettonia e Lituania di cui tra l’altro dice:
“La prima luce che ho visto, il primo profumo di terra e il primo albero che ho conosciuto sono di quei luoghi, perchè è in quelle regioni che sono nato da una famiglia di lingua polacca sulle rive di un fiume dal nome lituano. E quegli avvenimenti sono per me vivi come lo è soltanto ciò che si legge sul volto e negli occhi delle persone che si conoscono bene.”
Miłosz era anche, ricordiamolo, non solo saggista ma anche romanziere e soprattutto grande poeta, e in La mente prigioniera ci sono pagine e pagine in cui la sua arte del narrare avvince e commuove. Non solo quando traccia i ritratti di Alfa, Beta, Gamma, Delta ma soprattutto quando rievoca le tragiche giornate della caduta della Polonia, della guerra e della fallita insurrezione di Varsavia contro i Nazisti mentre l’Armata Rossa, poco lontana, si limitava a guardare senza intervenire.
Miłosz era lì, era nella Varsavia distrutta dal fallimento di un’insurrezione decisa dal governo polacco a Londra, fallimento che costò almeno 200mila morti e la distruzione della città. Le pagine in cui lo scrittore racconta tutto questo sono terribili e difficili da dimenticare.
La mente prigioniera inoltre, indagando su quello che succedeva nelle menti degli intellettuali che “si adattavano” era, considerando l’epoca in cui venne scritto molto, forse anche troppo, in anticipo sui tempi. Gli anni ’50 non erano ancora pronti per comprenderlo appieno ed apprezzarlo.
Leggiamo quello che lo stesso Miłosz  scrive nella Premessa all’edizione italiana scritta a Berkley nel 1981 (i grassetti sono miei):
“Questo libro fu scritto a Parigi nel 1951-52, cioè in un periodo in cui gli intellettuali francesi, nella loro maggioranza, risentivano la dipendenza del loro Paese dall’aiuto americano e riponevano le loro speranze in un mondo nuovo all’Est, governato da un leader di incomparabile saggezza e virtù: Stalin. Quei loro compatrioti che, come Albert Camus, osavano affermare che il fondamento stesso di un sistema presumibilmente socialista era in realtà una vasta rete di campi di concentramento, venivano vilipesi e ostracizzati dai loro colleghi. Quando fu pubblicato nel 1953, il mio libro spiacque praticamente a tutti. Gli ammiratori del comunismo sovietico lo giudicavano insultante, mentre gli anticomunisti sostenevano che mancava di una posizione politica chiaramente definita e sospettavano l’autore di essere ancora, in fondo al cuore, un marxista. Un’impresa solitaria, dunque, che però è stata in seguito giustificata dai fatti e che si difende bene dalle critiche di entrambe le parti.”
ed avverte:
“l’argomento del libro è la vulnerabilità della mente, nel nostro secolo, alla seduzione delle dottrine socio-politiche, e la prontezza con cui essa accetta il terrore totalitario in cambio di un futuro ipotetico. Come tale, esso trascende i limiti di luogo e di tempo in quanto esplora le ragioni più profonde dell’odierno desiderio di sicurezza, anche la più illusoria. […] la forza di attrazione esercitata nel mondo dal pensiero totalitario, sia di destra sia di sinistra, non appartiene affatto al passato; al contrario, essa sembra crescere di giorno in giorno.”
Come potrei non essere (tristemente) d’accordo ?
Tutta da leggere, infine, la Prefazione del filosofo tedesco Karl Jaspers che, ricordando quella “servitù dello spirito” negli Stati totalitari sperimentato dai tedeschi all’epoca del nazionalsocialismo definisce la raccolta dei testi contenuta in La mente prigioniera “un documento e al tempo stesso un’interpretazione di prim’ordine” e risulta, scrive ancora Jaspers ” veramente commovente, per noi tedeschi, forse, più ancora che per gli altri popoli occidentali, dato che noi stessi abbiamo vissuto quel che qui è mostrato nella variante polacca. “

Note a margine
Devo soprattutto a Jan Brokken prima e a Francesco M. Cataluccio dopo il desiderio di approfondire il pensiero di questo grande scrittore polacco-lituano, di cui in precedenza avevo letto, è vero, La mia Europa, ma — mi sono resa conto con Brokken e Cataluccio — non ne avevo colto che solo in piccola parte sfumature e implicazioni.
Proprio a causa di quella mia lettura troppo superficiale di La mia Europa, molto probabilmente non avrei mai letto questo La mente prigioniera se Jan Brokken non avesse posto come epigrafe al suo splendido Anime baltiche lo stralcio di La mia Europa di Czesław Miłosz e non lo avesse in seguito citato più e più volte nel corso della narrazione.
Il caso (ma davvero ha senso, in questo caso, parlare di “caso”?) ha voluto poi che, proprio appena completata la rilettura di La mia Europa e la lettura di La mente prigioniera mi sia messa a rileggere quel libro affascinante che per me è Vado a vedere se di là è meglio di Francesco M. Cataluccio, vera e propria ricchissima miniera di informazioni, personaggi, storie, curiosità sulla cultura dell’Europa orientale con particolare attenzione alla cultura polacca.
Di Miłosz, Cataluccio parla spesso, nel suo libro, rivelando tra l’altro anche la vera identità di uno dei quattro personaggi dei quali in La mente prigioniera viene raccontata la storia; ma in particolare dedica a lui le pagine 91-103 del capitolo Vilna.
I libri chiamano altri libri. La mente prigioniera me ne ha richiamati parecchi, che sarebbe troppo lungo elencare qui, argomentando anche il perchè.
Chissà, forse a queste evocazioni e legami intertestuali dedicherò un post successivo. Chissà.

Lo Sapevate Che: Mike Tyson, ex pugile nella categoria pesi massimi, noto nelle cronache per la sua vita sregolata...


 Iron Mike
Michael Gerard Tyson nasce il 30 giugno 1966 a Southington, Ohio (USA), in un ghetto nero di Brooklyn. Approda nel settore professionistico del pugilato a diciannove anni. Il suo primo incontro è datato 23 marzo 1985: alla fine del primo round batte Hector Mercedes. E' esploso nel mondo della boxe fin dai sui primi incontri, nei quali esprimeva tutta la selvaggia energia che le sue misere e difficili origini avevano contribuito ad inasprire.
Il Mike Tyson degli esordi faceva impressione per quanto era aggressivo ed efficace, lasciando i commentatori esterrefatti per la potenza che era in grado di esprimere. Dopo una serie di mirabolanti vittorie arriva inarrestabile al suo primo successo davvero importante. Solo un anno dopo l'esordio ufficiale diviene il più giovane campione del mondo dei pesi massimi nella storia del pugilato. Un rapido sguardo a questo primo carnet-record di vittorie la dice lunga: 46 incontri vinti, di cui 40 per k.o., e sole tre sconfitte.
Da questi dati sbalorditivi inizia la sua inarrestabile ascesa che lo porterà a diventare uno dei più celebri pugili di tutti i tempi, anche se a tutt'oggi il suo declino sembra inesorabile. Una cosa è certa: per tutta la metà degli anni '80 Tyson domina la categoria mettendo fuori combattimento tutti i migliori pesi massimi dell'epoca: Trevor Berbick, Tyrell Biggs, Larry Holmes, Frank Bruno, Buster Douglas. A mettere un freno a questa corsa all'inserimento a forza negli albi dei record ci pensa per la prima volta James Douglas nel 1990, che lo mette al tappeto alla decima ripresa, a sorpresa e contro tutte le aspettative dei bookmakers. Lo stop è brusco ma Tyson, retrospettivamente, non ha nulla da rimproverarsi e soprattutto può considerarsi, sportivamente parlando, soddisfatto di se stesso.
Sul piano umano le cose vanno un po' diversamente. Il 9 febbraio 1988 aveva sposato a New York l'attrice Robin Givens che però poco dopo inizia le pratiche di divorzio dichiarando più volte di essere stata picchiata dal marito. I due poi divorzieranno nella Repubblica Dominicana il 14 febbraio dell'anno successivo.
A chiusura di questo ciclo, Tyson si porta comunque a casa quindici i mondiali sostenuti e dodici vinti, oltre a un pacchetto di svariati miliardi accumulati grazie alle borse messe in palio nei match. I media si divertono a calcolare il valore monetario di un suo pugno, o di un secondo di ogni suo combattimento.
Purtroppo la sfortuna di Tyson si chiama "carattere". A dispetto della sua aria da duro in realtà è una persona piuttosto fragile e facilmente preda di tentazioni di vario genere. Nel 1992 cade una seconda pesante tegola sul suo capo: una sua fiamma (Desiree Washington "reginetta di bellezza" locale) lo accusa di stupro, i giudici le danno retta e il giudice Patricia Gifford condanna Mike a dieci anni, di cui quattro con la sospensione della pena; il pugile finisce dunque in carcere per un lasso di tempo non indifferente, salvo poi uscire di prigione su cauzione. Tre anni di carcere (dal 1992 al 1995) che lo segnano irrimediabilmente e che faranno del campione un uomo diverso.
Il 19 agosto 1995 torna a combattere contro Mc Neeley vincendo per k.o. al primo round. In prigione il campione non si era lasciato andare, continuando ad allenarsi: la mente fissa al suo riscatto e al momento in cui metterà finalmente piede fuori dal carcere per dimostrare a tutti che è tornato.
Come puntualmente accade, ben presto ha l'opportunità di dimostrare che gli anni passati in una cella non lo hanno fiaccato. Gli incontri sostenuti nel 1996 lo vedono vincente. Non sufficientemente soddisfatto, in tre round si sbarazza di Bruce Seldon poi in cinque di Frank Bruno e si aggiudica anche il titolo WBA. Da quel momento inizia però la sua parabola discendente.
Il 9 novembre dello stesso anno perde il titolo WBA per opera di Evander Holyfield. E nella rivincita del 28 giugno 1997 è nuovamente sconfitto per squalifica per aver morso l'avversario ad un orecchio.
Sospeso dal 1997 al 1998, Tyson sembra sull'orlo della fine professionale. Nuovamente in carcere per aggressione all'inizio del 1999, torna sul ring il 16 gennaio 1999, sconfiggendo per k.o. al quinto round Frank Botha. Quindi il 24 ottobre dello stesso anno, a Las Vegas, l'incontro con il californiano Orlin Norris conclusosi con un nulla di fatto. Il match è da ripetere.
E' l'8 giugno 2002 quando all'ottava ripresa del match contro Lennox Lewis, Tyson cade al tappeto. Il Tyson che faceva tanta paura agli avversari e che incuteva timore solo a guardarlo non c'è più. Il resto è amara storia recente. Come già accennato, Tyson ha fatto di tutto per recuperare la corona WBA di campione del mondo, sfidando con proclami assurdi e violentemente intimidatori il detentore del titolo, Lennox Lewis.
Il 31 luglio 2004, all'età di 38 anni, Iron Mike è tornato sul ring per combattere contro l'inglese Danny Williams. Pur dimostrando discreta forza e tecnica, Tyson è sembrato incapace di reagire e di imporsi. E' finito al tappeto per k.o. alla quarta ripresa.
La fine definitiva del pugile americano viene posticipata: il 12 giugno 2005 a Washington Mike Tyson subisce ancora una sconfitta, contro l'irlandese Kevin McBride. Alla sesta ripresa dell'incontro, l'ex campione dei pesi massimi non ce la fa più.
Alla fine del match, psicologicamente molto provato, Tyson annuncia il ritiro: "Non posso più farcela, non posso più mentire a me stesso. Non voglio più mettere in imbarazzo questo sport. È semplicemente la mia fine. Questa è la mia fine. Finisce qui".
Nel mese di maggio 2009 perde tragicamente la figlia Exodus: la bambina, di quattro anni, rimane vittima di un incidente domestico, impigliata con il collo in una corda appesa su un attrezzo ginnico.

Speciale: I Primi: piatti unici! … 🌹


Canederli Sudtirolesi allo Speck
Per 4 persone

Ingredienti:

150 gr di speck, 4 pagnotte rafferme, ¼ di latte, 1 cucchiaio di prezzemolo, 1 cipolla, 3 uova, farina, 1 litro e mezzo di brodo di carne, 2 cucchiai di erba cipollina, sale.

Tagliare a pezzetti il pane e metterli in una terrina. Ridurre a dadini lo speck e unirlo al pane. Spolverare con il prezzemolo tritato. Sbattere in una ciotola le uova con il latte e unirlo nella casseruola sul pane. Mescolare il tutto e lasciare riposare per 20 minuti. Pulire la cipolla, ridurla a fettine sottili e rosolarla in 30 gr di burro, spolverarla con 80 gr di farina, cuocere qualche minuto e unire tutto nel pane, regolare di sale e mescolare bene.
Formare dei canederli piccoli e farli cuocere in acqua bollente salata per 15 minuti. Fare scaldare il brodo di carne, scolare i canederli, unirli nel brodo di carne e spolverare con l’erba cipollina.


Tagliolini al Limone
Per 4 persone


Ingredienti:

450 gr di tagliolini, 2 limoni, 2 cipollotti, 4 dl di panna liquida, 100 gr di ricotta dura, 50 gr di burro, sale e pepe.

Spremete ½ limone e tenetene da parte la metà. Tagliate a striscioline lunghe la scorza dell’altro limone. Grattugiate tutta la scorza rimasta.
In un tegame con il burro fate appassire i cipollotti tagliati a fettine sottilissime, poi versatevi la panna. Alzate la fiamma e fate cuocere per 10 minuti, aggiungete il succo di limone e la scorza grattugiata. Unite 50 gr di ricotta grattugiata. Amalgamate gli ingredienti, sino ad ottenere una salsa consistente, salate e profumate con una macinata di pepe.
In una casseruola con abbondante acqua salata in ebollizione, fate cuocere la pasta al dente. Scolatela e versatela nel tegame con la salsa, fate insaporire mescolando, cospargete con la ricotta rimasta grattugiata a fettine sottili, unite i filettini di scorza di limone, un pizzico di pepe, mescolate e servite. Una delizia raffinata!


Pappardelle al Tè con Funghi Porcini e Ragù di Carne mista
Per 4 persone


Ingredienti:

450 gr di pappardelle fresche all’uovo, 350 gr di funghi porcini, un porro, 200 gr di carne tritata di vitello, 150 gr di carne tritata di maiale, 2 cucchiaini di tè cinese Oolong, una tazzina di sugo di pomodoro già pronto, una bustina di zafferano, burro, olio, sale e pepe.

Pulite i funghi dalla terra residua e dalle eventuali impurità, usando un panno umido. Affettateli finemente. Lavate e pulite il porro, affettandolo sottilmente. In un tegame con 4 cucchiai d’olio e 20 gr di burro, rosolate il porro per qualche minuto. Poi aggiungete i porcini. Insaporite per qualche minuto a fuoco vivace, poi togliete porri e funghi dal tegame e nello stesso fondo di cottura, rosolatevi le due carni, amalgamandole bene.
Preparate frattanto un tè in 2,5 dl di acqua con un cucchiaio di tè cinese Oolong. Lasciatelo in infusione per 10 minuti, filtratelo e unitelo nel tegame. Aggiungete anche la salsa di pomodoro, salate e pepate. Coprite e cuocete a fuoco dolce, girando ogni tanto, per mezz’ora. Unite i funghi e il porro tenuti da parte e proseguite la cottura per 10 minuti.
In una casseruola con abbondante acqua salata in ebollizione e l’aggiunta della bustina di zafferano, cuocete la pasta al dente, tenendo da parte un mestolo di acqua di cottura. Scolatele e saltatele nel tegame col sugo, bagnate col mestolo di acqua tenuto da parte. Mantecate bene e servite subito.

lunedì 29 giugno 2020

Lo Sapevate Che: ORIANA FALLACI, è considerata la più grande giornalista italiana di sempre e una delle scrittrici italiane più

“Essere mamma non è un mestiere, non è nemmeno un dovere: è solo un diritto tra tanti diritti”.Oriana Fallaci

Cuore e passione

La controversa scrittrice contestata nei suoi ultimi anni di vita soprattutto a causa dei suoi interventi relativi ai rapporti con l'Islam, nasce a Firenze il 26 giugno 1929, in piena era fascista. Gli anni della sua infanzia sono quelli del potere mussoliniano: forse fa un po' effetto pensare alla "passionaria" e ribelle scrittrice alle prese con un clima simile.

L'aria che respirava in casa non è certo favorevole alla dittatura. Il padre è un attivo antifascista, così convinto delle sue scelte e delle sue idee che addirittura coinvolge la piccola Oriana - allora di soli dieci anni - nella lotta resistenziale con compiti di vedetta o simili. La piccola impara anche ad utilizzare le armi grazie alle battute di caccia organizzate dal padre, che si trascina dietro la bambina durante le sue escursioni venatorie.

Divenuta un poco più grande Oriana si unisce al movimento clandestino di resistenza, sempre guidato dal padre, diventando un membro del corpo dei volontari per la libertà contro il nazismo. E' un periodo assai duro per la Fallaci, e forse è da quegli avvenimenti che si può far risalire la sua celebre tempra di donna di ferro, tempra che poi la contraddistinguerà negli anni della maturità e della celebrità.
Questi eventi cui abbiamo accennato non solo vedono il padre catturato, imprigionato e torturato dalle truppe naziste (riuscendo fortunatamente a salvarsi), ma vedono anche la futura scrittrice ricevere un riconoscimento d'onore dall'Esercito Italiano per il suo attivismo durante la guerra, e questo a soli quattordici anni!
Terminato il conflitto decide di dedicarsi alla scrittura in maniera attiva e continuativa, con il serio proposito di farne una professione di vita.
Prima di approdare al romanzo e al libro, Oriana Fallaci si dedica prevalentemente alla scrittura giornalistica, quella che di fatto le ha poi regalato la fama internazionale. Fama ben meritata, perché a lei si devono memorabili reportages e interviste, indispensabili analisi di alcuni eventi di momenti di storia contemporanea.
Gli inizi sono legati all'ambito cronachistico per vari giornali, ma i direttori con cui viene a contatto non faticano a riconoscere in lei una stoffa di ben altro tipo. Cominciano a fioccare incarichi di più vasto respiro e di grande responsabilità, come le interviste a importanti personalità della politica o il resoconto di avvenimenti internazionali. La sua eccezionale bravura la porta all'"Europeo", prestigioso settimanale di grande spessore giornalistico e culturale, per poi collaborare anche con altre testate, sia in Europa, che nel sud America.
Fra gli exploit più memorabili è da ricordare la sua infiammata intervista all'Ayatollah Khomeini, leader del regime teocratico iraniano e poco incline a riconoscere diritti e dignità alle donne, contrariamente alla Fallaci, che è sempre stata all'avanguardia in questo genere di rivendicazioni. Khomeini fra l'altro non è stato trattato meglio o ricordato con indulgenza neanche nelle dichiarazioni contenute nell'articolo-scandalo "La rabbia e l'orgoglio".
Da ricordare inoltre l'incontro con Henry Kissinger, indotto dalla giornalista, con incalzanti domande, a parlare di argomenti mai affrontati con altri interlocutori, come alcune questioni riguardanti la sua vita privata (in seguito la stessa Fallaci ha dichiarato sorprendentemente di essere estremamente insoddisfatta di questa intervista, vissuta come una delle sue peggiori riuscite).
In seguito la summa dei colloqui con i potenti della Terra viene raccolta nel libro "Intervista con la storia".

L'atteggiamento di fondo che ha sempre contraddistinto la Fallaci lo si evince in maniera esemplare in questa sua dichiarazione che si riferisce proprio al libro e al suo modo di condurre le interviste:
Su ogni esperienza personale lascio brandelli d'anima e partecipo a ciò che vedo o sento come se riguardasse me personalmente e dovessi prendere una posizione (infatti ne prendo sempre una basata su una precisa scelta morale).

A partire da questo è da rilevare come la scrittura della Fallaci nasca sempre da precise motivazioni di ordine etico e morale, il tutto filtrato da una tempra di scrittrice civile come poche il nostro paese può vantare. In qualche modo il suo nome può essere accostato, pur con tutte le diversità del caso, al solo Pasolini, al quale scrisse una storica e commossa lettera-ricordo in seguito al tragico evento della sua morte. Secondo quanto da lei stessa riferito l'"input" che in genere la induce ha prendere carta e penna:
è quello di raccontare una storia con un significato [...], è una grande emozione, un'emozione psicologica o politica e intellettuale. 'Niente e così sia', il libro sul Vietnam, per me non è nemmeno un libro sul Vietnam, è un libro sulla guerra.

Altro esempio che calza a pennello è un testo vendutissimo e di grande impatto, che non ha mancato di sollevare alla sua uscita (come quasi tutti i suoi testi), grandi discussioni: stiamo parlando di "Lettera ad un bambino mai nato", edito nel 1975, scritto proprio in seguito alla perdita di un possibile figlio.

Un significativo esempio del pathos che la Fallaci riversa nei suoi libri è costituito dal best-seller "Un uomo" (1979), romanzo steso in seguito alla morte del compagno Alekos Panagulis. Nel romanzo "Insciallah" scrive la storia delle truppe italiane stazionate in Libano nel 1983. Come nella maggior parte dei suoi libri anche in questo caso la scrittrice mostra lo sforzo, da parte di normali individui piuttosto che di vasti gruppi, di liberarsi dal giogo di oppressioni e ingiustizie di vario tipo e specie.

I suoi libri sono stati tradotti in più di trena paesi; fra i riconoscimenti va segnalata la laurea ad honorem in Letteratura ricevuta dal Columbia College of Chicago.

Seppure di origini fiorentine, Oriana Fallaci ha risieduto a lungo a New York: "Firenze e New York sono le mie due patrie", racconta lei stessa.
Ed è proprio dal grande attaccamento per gli Stati Uniti, dalla grande ammirazione che la Fallaci sente per questo paese, che nasce la sua reazione al terribile attentato terroristico dell'11 settembre 2001 alle Twin Towers.

Con una lettera inviata all'allora direttore del "Corriere della Sera" Ferruccio De Bortoli, Oriana Fallaci ha rotto il silenzio che durava da tempo. Lo ha fatto nel suo stile, uno stile viscerale e potente che non lascia mai indifferenti e che ha sollevato una vasta eco in tutto il mondo. Noi ci limitiamo a riportare qui di seguito l'incipit di quello scritto:

Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che anche in Italia alcuni gioiscono come l'altra sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. "Vittoria! Vittoria!" Uomini, donne , bambini. Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna, bambino. Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo. Dicono: "Gli sta bene, agli americani gli sta bene". E sono molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d'una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza. Che mi ordina di rispondergli e anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo addosso.

Da tempo sofferente di un male incurabile Oriana Fallaci è scomparsa a Firenze all'età di 77 anni il 15 settembre 2006.

Il suo ultimo lavoro, intitolato "Un cappello pieno di ciliege", esce postumo nel 2008 e racconta la storia della famiglia Fallaci su cui Oriana aveva lavorato per oltre dieci anni. Il libro viene pubblicato su ferma volontà di Edoardo Perazzi, nipote ed erede universale di Oriana Fallaci, il quale ha seguito precise disposizioni riguardo alla pubblicazione.

Bibliografia essenziale di Oriana Fallaci
I sette peccati di Hollywood - Il sesso inutile - Penelope alla guerra - Gli antipatici - Se il sole muore - Niente e così sia - Quel giorno sulla luna - Intervista con la storia - Lettera a un bambino mai nato - Un uomo – Insciallah - La rabbia e l'orgoglio - La forza della ragione - Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci --Oriana Fallaci intervista sé stessa - L'Apocalisse  - Un cappello pieno di ciliege
https://biografieonline.it/biografia-oriana-fallaci

Lo Sapevate Che: Giorgio Napolitano, è stato per sessant'anni un protagonista della scena politica italiana


L'impegno di una vita
Giorgio Napolitano nasce a Napoli il giorno 29 giugno 1925. Laureatosi in giurisprudenza alla fine del 1947 presso l'Università di Napoli, già dal 1945-1946 è attivo nel movimento per i Consigli studenteschi di Facoltà e delegato al 1° Congresso nazionale universitario.
Fin dal 1942, a Napoli, iscrittosi all'Università, fa parte di un gruppo di giovani antifascisti che aderisce, nel 1945, al Partito comunista italiano, di cui Napolitano sarà militante e poi dirigente fino alla costituzione del partito democratico della sinistra.
Dall'autunno del 1946 alla primavera del 1948 Giorgio Napolitano fa parte della segreteria del Centro Economico Italiano per il Mezzogiorno presieduto dal senatore Paratore. Partecipa poi attivamente al Movimento per la Rinascita del Mezzogiorno fin dalla sua nascita (dicembre 1947) e per oltre dieci anni.
Viene eletto alla Camera dei deputati per la prima volta nel 1953 e ne farà parte ? tranne che nella IV legislatura - fino al 1996, riconfermato sempre nella circoscrizione di Napoli.
La sua attività parlamentare si svolge nella fase iniziale in seno alla Commissione Bilancio e Partecipazioni Statali, concentrandosi - anche nei dibattiti in Assemblea - sui problemi dello sviluppo del Mezzogiorno e sui temi della politica economica nazionale.
Nella VIII (dal 1981) e nella IX Legislatura (fino al 1986) è Presidente del Gruppo dei deputati comunisti.
Negli anni '80 si impegna sui problemi della politica internazionale ed europea, sia nella Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, sia come membro (1984-1992 e 1994-1996) della delegazione italiana all'Assemblea dell'Atlantico del Nord, sia attraverso molteplici iniziative di carattere politico e culturale.
Già a partire dagli anni '70 svolge vaste attività di conferenze all'estero: negli istituti di politica internazionale in Gran Bretagna e in Germania, presso numerose Università degli Stati Uniti (Harvard, Princeton, Yale, Chicago, Berkeley, SAIS e CSIS di Washington).
Dal 1989 al 1992 è membro del Parlamento europeo.
Nell'XI legislatura, il 3 giugno 1992, Giorgio Napolitano viene eletto Presidente della Camera dei deputati, restando in carica fino alla conclusione della legislatura nell'aprile del 1994.
Nella XII legislatura fa parte della Commissione affari esteri ed è Presidente della Commissione speciale per il riordino del settore radiotelevisivo.
Nella XIII legislatura è Ministro dell'interno e per il coordinamento della protezione civile nel Governo Prodi, dal maggio 1996 all'ottobre 1998.
Dal 1995 è Presidente del Consiglio Italiano del Movimento europeo.
Dal giugno 1999 al giugno 2004 è Presidente della Commissione per gli Affari costituzionali del Parlamento europeo.
Nella XIV legislatura, viene nominato Presidente della Fondazione della Camera dei deputati dal Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, mantenendo l'incarico fino alla conclusione della legislatura.
Nominato senatore a vita il 23 settembre 2005 dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Napolitano gli succede il 10 maggio 2006 quando viene eletto Presidente della Repubblica Italiana con 543 voti. Presta giuramento il 15 maggio 2006.
La sua dedizione alla causa della democrazia parlamentare e il suo contributo al riavvicinamento tra la sinistra italiana e il socialismo europeo, gli valgono il conferimento ? nel 1997 ad Hannover ? del premio internazionale Leibniz-Ring per l'impegno "di tutta una vita".
Nel 2004 l'Università degli Studi di Bari gli conferisce la laurea honoris causa in scienze politiche.
Giorgio Napolitano ha collaborato in particolare alla rivista "Società" e (dal 1954 al 1960) alla rivista "Cronache meridionali" con saggi sul dibattito meridionalista dopo la Liberazione e sul pensiero di Guido Dorso, sulle politiche di riforma agraria e sulle tesi di Manlio Rossi-Doria, sull'industrializzazione del Mezzogiorno.
Nel 1962 ha pubblicato il suo primo libro "Movimento operaio e industria di Stato", con particolare riferimento alle elaborazioni di Pasquale Saraceno.
Nel 1975 ha pubblicato il libro "Intervista sul PCI" con Eric Hobsbawm, tradotto in oltre dieci paesi.
Del 1979 è il libro "In mezzo al guado" riferito al periodo della solidarietà democratica (1976-79), durante il quale fu portavoce del PCI e tenne i rapporti con il governo Andreotti sui temi dell'economia e del sindacato.
Il libro "Oltre i vecchi confini" del 1988 ha affrontato le problematiche emerse negli anni del disgelo tra Est e Ovest, con la presidenza Reagan negli USA e la leadership di Gorbaciov nell'URSS.
Nel libro "Al di là del guado: la scelta riformista" sono raccolti gli interventi dal 1986 al 1990.
Nel libro "Europa e America dopo l'89", del 1992, sono raccolte le conferenze tenute negli Stati Uniti dopo la caduta del muro di Berlino e dei regimi comunisti in Europa centrale e orientale.
Nel 1994 ha pubblicato il libro, in parte sotto forma di diario, "Dove va la Repubblica - Una transizione incompiuta" dedicato agli anni della XI legislatura, vissuta come Presidente della Camera dei Deputati.
Nel 2002, ha pubblicato il libro una "Europa politica", nel pieno del suo impegno come Presidente della Commissione per gli Affari costituzionali del Parlamento europeo.
Il suo ultimo libro "Dal PCI al socialismo europeo: un 'autobiografia politica" è uscito nel 2005.
La fine del suo mandato di Presidente della Repubblica coincide con il periodo successivo alle elezioni politiche del 2013; i risultati di tali elezioni vedono il Pd vincitore ma con misura talmente esigua rispetto ai partiti avversari Pdl e MoVimento 5 Stelle - che Napolitano; il disastroso tentativo dei partiti di trovare ed eleggere un nuovo Presidente, porta Napolitano a ricandidarsi per un secondo mandato. Per la prima volta nella storia della Repubblica uno stesso presidente rimane in carica per due volte consecutive: il giorno 20 aprile 2013, Giorgio Napolitano viene nuovamente eletto. Si dimette dalla carica il 14 gennaio 2015, all'indomani del termine del semestre che ha visto l'Italia alla guida del Consiglio Europeo.