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giovedì 31 marzo 2022

Lo Sapevate Che: Inaugurata la Torre Eiffel: Concepita per esaltare il progresso scientifico e tecnologico e destinata a vita breve, la Torre Eiffel finì col diventare l’elemento cardine dello skyline di Parigi e insieme il simbolo incontrastato della “grandeur” francese. Per i suoi concittadini è la dame de fer, la “signora di ferro”.

 

Il definitivo tramonto dell’Impero e l’avvento della Terza Repubblica (1879-85) segnarono in Francia l’inizio di una stagione di riforme istituzionali e sociali (dal rafforzamento del sistema parlamentare al riconoscimento delle libertà di stampa e sindacale), destinata a plasmare la futura identità dello Stato e a farne un modello di democrazia universale. Ciò si tradusse anche in un risveglio del sentimento nazionale che toccò l’apice con l’adozione della Marsigliese come inno ufficiale (1880).

Sul piano scientifico Parigi divenne un banco di prova per le importanti scoperte di quegli anni e per tutti gli sviluppi tecnologici e sociali prodotti dalla seconda rivoluzione industriale (1870-1920). Dall’utilizzo dell’elettricità all’introduzione dell’acciaio, dal perfezionamento dei sistemi di trasporto (quali tram e metropolitane) alla scoperta di nuove forme di comunicazione come il telefono (brevettato dallo scozzese Bell nel 1876).

Un primato che la capitale transalpina contendeva in quel periodo a Londra e che le venne riconosciuto ufficialmente quando si prese la decisione di organizzare lì l’Esposizione universale del 1889. Un evento di prestigio che tra l’altro veniva a coincidere con una scadenza di enorme valenza storica: il centenario della Rivoluzione francese. Per questo il comitato organizzatore si predispose a fare le cose in grande.

Con un budget a disposizione di 41 milioni di franchi (una parte fondi statali, la restante frutto di prestiti bancari e del ricavato di una lotteria), si progettarono una serie di interventi urbanistici e di grandi opere tese da un lato a celebrare la gloriosa storia della nazione, dall’altro a incarnare le idee di progresso e modernità. Entrambi gli aspetti proiettarono la mente a qualcosa che era avvenuto recentemente negli Stati Uniti d’America.

Il 28 ottobre del 1886, su un isolotto della baia di New York, era stata inaugurata la Statua della Libertà, un simbolo di autodeterminazione e di tecnica moderna che nascondeva un’anima “francese”: lo scheletro in metallo che reggeva l’imponente struttura era stata realizzato dall’architetto francese Gustave Eiffel. A lui fu dato l’incarico di erigere una torre nell’area compresa tra il Pont d’Iéna e i giardini di Campo di Marte, dove avrebbe avuto luogo l’Expo.

I lavori iniziarono nel 1887 impegnando 50 ingegneri e circa duecento operai, suddivisi tra il montaggio di 18.030 pezzi in ferro e la costruzione della torre. Due anni più tardi, l’opera venne completata con più di un mese di anticipo rispetto all’apertura dell’Expo, per essere inaugurata in pompa magna il 31 marzo. Un tempo record conseguito a dispetto delle forti critiche che erano venute dal mondo letterario e artistico locale. Poeti del calibro di Rimbaud e Verlaine definirono il progetto un «inutile e volgare affronto all’armonia architettonica di Parigi», arrivando a firmare una petizione per bloccarne i lavori.

L’entusiasmo e i numeri dei primi visitatori (circa due milioni) accorsi durante l’Esposizione universale dettero torto ai contestatori. La gente venne rapita dalla linea elastica e avveniristica della torre, tinta di rosso veneziano, che con i suoi 324 metri di altezza (antenna compresa) conquistò il primato di edificio più alto del mondo, conservandolo fino al 1930 (superata dal Trump Building di Manhattan). Ciononostante le intenzioni delle autorità francesi erano di smantellarla dopo due anni e solo a conclusione dei preziosi esperimenti di radiotelegrafia, di cui fu protagonista, si decise di tenerla definitivamente.

Ritinteggiata diversamente nel corso degli anni (dal giallo al beige all’attuale “marrone Eiffel”), la Torre Eiffel è oggi il monumento a pagamento più visitato al mondo, con una media di oltre 6 milioni di ingressi all’anno. Per visitare i tre piani aperti al pubblico (l’ultimo a 276 metri di altezza) occorre salire 1.665 gradini o in alternativa utilizzare i cinque ascensori a disposizione. Tra i punti di maggior attrattiva: il ristorante Altitude 95 (cifra che indica l’altezza sul livello del mare) e il punto panoramico del terzo livello che offre una splendida vista su Parigi.

Delle diverse copie sparse per il mondo, l’esemplare più noto è la Tokyo Tower, in Giappone, realizzata nel 1958 e alta 333 metri

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Lo Sapevate Che: Debutta al cinema “Matrix”: «Che cos'è Matrix? È controllo. Matrix è un mondo virtuale elaborato al computer, creato per tenerci sotto controllo, al fine di convertire l'essere umano in questa...»

 

Il 5 novembre del 2003 usciva nelle sale cinematografiche statunitensi The Matrix Revolutions, terzo capitolo della trilogia di The Matrix.

È la scioccante verità che Morpheus sbatte in faccia a Neo mostrandogli una “batteria” e alludendo con essa che le macchine, che dominano il mondo, utilizzano gli esseri umani come fonte d’energia, imprigionandoli in “baccelli” riempiti di liquido e collegandoli a cavi elettrici. Sono le prime scene di Matrix, film diretto dai fratelli Andy e Larry Wachowski, che venne proiettato per la prima volta nelle sale statunitensi il 31 marzo del 1999.

Ennesimo capitolo dell’eterna lotta tra l’uomo e la macchina, un topos del genere fantascienza, la pellicola andò incontro a uno straordinario successo di pubblico e critica, consacrando il protagonista Keanu Reeves nel ruolo dell’Eletto. In realtà l’attore era stato ingaggiato soltanto dopo la tragica morte della “prima scelta” Brandon Lee (sul set de “Il Corvo”) e i rifiuti di Johnny Depp e Will Smith.

Ispirato ad elementi della tradizione cristiana e della filosofia zen, Matrix (termine utilizzato nella doppia valenza di “matrice di numeri” e “cyberspazio”) fece incetta di premi, su tutti quattro Oscar per “miglior montaggio”, “miglior sonoro”, “miglior montaggio sonoro” e “migliori effetti speciali”. Quest’ultimo premiò la scelta del “bullet time”, tecnica resa celebre dai fratelli Wachowski che consente di vedere ogni scena al rallentatore, mentre l’inquadratura gira attorno a velocità normale.

Pur sbancando il botteghino, i due sequel del 2003 Matrix Reloaded e Matrix Revolutions non convinsero come il primo, per l’evoluzione eccessivamente visionaria della storia.

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Lo Sapevate Che: René Descartes: Universalmente riconosciuto come il padre della filosofia moderna, il suo metodo d'indagine ha rivoluzionato le diverse forme del sapere, dalla matematica alla letteratura.


La lettura dei buoni libri è una sorta di conversazione con gli spiriti migliori dei secoli passati.” Cartesio

 

Pensare, quindi essere

René Descartes (conosciuto in Italia con il nome latinizzato di Cartesio) nasce il 31 marzo del 1596 a La Haye in Turenna, terzo figlio di Joachim Descartes, avvocato e consigliere al Parlamento di Bretagna a Rennes e di Jeanne Brochard. La famiglia, che possiede rendite e terre, conta numerosi magistrati, medici e funzionari delle imposte: il padre è insignito del titolo di "escuyer", primo grado della nobiltà. Alla morte della madre per parto, René è affidato alla nonna materna. Di salute delicata, impara a leggere ed a scrivere in casa, sotto la guida di un precettore.

Compie gli studi canonici nel collegio gesuita di La Fléche, dove resterà circa nove anni seguendo i tre corsi regolari di grammatica, retorica e filosofia che comprendevano insegnamenti di logica, dottrine umanistiche, fisica, metafisica e matematica con elementi di teoria musicale. Uscito dal collegio, ubbidendo ai desideri del padre, si reca a Poitiers per studiare diritto. Una volta maggiorenne, decide di entrare come volontario nell'esercito. La sua straordinaria intelligenza, però, lo porta addirittura ad interessarsi di arte delle fortificazioni, noché di prospettiva e di lingua fiamminga.

Incontra Isaac Beeckman, scienziato olandese, che lo incoraggia alla ricerca nel campo delle applicazioni della matematica alla fisica . A Beeckman dedica il "Compendium musicae", dove sono indagati i rapporti matematici che regolano le consonanze, le tonalità, le dissonanze. Nell'Europa agitata dal grande conflitto che sarà ricordato come la Guerra dei Trenta anni, Cartesio compie lunghi viaggi. Dopo la vendita di alcune terre di sua proprietà, si reca in Italia, soggiornando a Venezia, Roma e Firenze, tornando in Francia quando ritiene di aver viaggiato a sufficienza.

Entra in contatto con eminenti studiosi come il matematico Claude Mydorge e il teologo Marin Mersenne. In collaborazione con Midorge si dedica a studi matematici in relazione a problemi di fisica e di ottica. L'artigiano Ferrier intaglia per lui un vetro iperbolico che consente di verificare la convergenza dei raggi luminosi. In "Regulae ad dictionem ingenii", il trattato composto in questi anni, Cartesio imposta per la prima volta il problema dell'analisi della conoscenza. L'incontro con il cardinale Pierre de Bérulle, il maggiore esponente della spiritualità cattolica in Francia, lo stimola ad approfondire la riflessione sulla divinità. La vita a Parigi non gli consente tuttavia la concentrazione necessaria per le sue ricerche, si ritira allora, durante l'inverno del 1628, in campagna, probabilmente in una sua proprietà a Igrandes, nei pressi di Chatellerault.

Dopo una sofferta rottura con Beeckman, forse da attribuirsi al fatto che questi intendeva appropiarsi delle teorie nel "Compendium musicae", Cartesio frequenta i corsi di matematica a Leida. Con lo scienziato Reneri, invece, cui è legato da una profonda amicizia, si applica a studi sui fenomeni fisici che preannunciano gli esperimenti di Torricelli . In questi anni inizia la redazione di "Il Mondo o Trattato della Luce" e la stesura dei due saggi "La Diottrica" (ultimato nel 1634) e "Le Meteore" (terminato nel 1635).

Nel 1633 venuto a conoscenza della condanna da parte del Sant'Uffizio del "Dialogo sopra i due massimi sistemi" di Galilei, fedele al suo temperamento schivo e poco incline a porsi al centro dell'attenzione, rinunzia a proseguire e a pubblicare il trattato "Le monde".

Comincia invece a lavorare al celeberrimo "Discorso sul Metodo", con l'intento di esporre le linee essenziali della sua filosofia e soprattutto con l'idea di farsi capire da tutti "in modo tale che anche coloro che non hanno studiato potranno intenderlo".

Formulando una radicale critica del sapere tradizionale fondato sul principio di autorità (in primo luogo sulla filosofia di Aristotele) e sulla persuasività della tradizione, elabora un nuovo metodo d'indagine che consenta di distinguere il vero dal falso in ogni campo della conoscenza, non meno che nella vita pratica. Tale metodo è da lui ricercato nella matematica, la quale unisce il criterio dell'evidenza intuitiva con il rigore della deduzione. Per via dell'importanza assegnata alla ragione nella fondazione dell'intero sapere, e per il ruolo subordinato assegnato all'esperienza, Cartesio è considerato l'inauguratore del razionalismo nella filosofia moderna.

Cartesio avanza anche l'esigenza di dare una giustificazione del suo metodo, così come di tutte le conoscenze che, nel campo della matematica non meno che nel campo della fisica, potevano essere ottenute attraverso di esso. A questo fine ritiene sia doveroso in primo luogo rimettere in discussione ogni conoscenza comunemente accettata, fino a giungere a un principio ultimo verso il quale il "dubbio" radicale non possa aver presa. Questo modo di procedere teorico, ossia il fatto di avvalersi del dubbio in modo sistematico, potrebbe far apparire la posizione di Cartesio vicina a quella degli scettici, ma da essi si distacca perché il dubbio mantiene, nella sua filosofia, un carattere "metodico", vale a dire non fine a se stesso, ma come un procedimento praticato in vista della ricerca di un fondamento incontrovertibile di tutto il sapere.

Tale fondamento viene identificato nella certezza che l'Io ha di se stesso in quanto pensante. La constatazione apparentemente elementare del filosofo, infatti, è che si può dubitare di tutto, tranne che della propria esistenza: poiché per l'atto stesso del pensare occorre un soggetto pensante. Questa certezza fondamentale viene fissata da Cartesio nella famosa formulazione: "Cogito, ergo sum" ("Penso, dunque sono"). Partendo dal principio che il pensiero possiede in se stesso la garanzia della propria esistenza, conclude che attributo essenziale dell'Io o del soggetto che pensa è il pensiero stesso: "io non sono, dunque, per parlar con precisione, se non una cosa che pensa, e cioè uno spirito, un intelletto o una ragione". Tale conclusione venne ampiamente criticata, nel Seicento, dal filosofo inglese Thomas Hobbes.

Il filosofo francese, invece, prosegue la sua riflessione sostenendo che Dio ha creato due ordini di sostanze: la sostanza pensante ("res cogitans") e la sostanza estesa ("res extensa"). Quest'ultima si identifica con la materia, la cui caratteristica essenziale è quella di occupare una determinata estensione spaziale; mentre la sostanza pensante si conforma alle leggi del pensiero, la sostanza estesa si conforma alle leggi meccaniche della fisica. Nasce da qui il problema di conciliare l'anima, in quanto spirituale e inestesa, con il corpo, in quanto realtà materiale ed estesa. La bipartizione della realtà nelle due sostanze, quella fisica e quella mentale, è nota come "dualismo cartesiano" e ha influenzato straordinariamente la filosofia moderna (ma anche, in ultima analisi, le cosiddette "neuroscienze").

Il testo del "Discorso sul metodo" esce anonimo a Leida ma non suscita grande interesse, tanto che ne vengono venduti un numero davvero esiguo di esemplari. Cartesio si concentra allora sulle applicazioni utili della nuova scienza, con particolare riguardo verso quei fenomeni naturali dei quali è possibile dare una spiegazione logica (ad esempio: studi sulle correnti, sul flusso e riflusso delle acque, ecc).

A Parigi, il gesuita Pierre Bourdin organizza un dibattito pubblico nel quale vengono messe in discussione le tesi filosofiche di Cartesio, in particolare le teorie esposte nella "Diottrica". Informato da Mersenne, rimane molto turbato da questi attacchi. E' per lui un anno doloroso. In settembre, muore all'età di cinque anni la figlia Francine, avuta da una relazione passeggera con una domestica, Elena Janse. Dopo poco muore anche il padre Joachim, e la sorella maggiore Jeanne, cui era molto legato. Inizia in questo anno la stesura dei "Principia philosophiae".

Sul piano culturale, le cose non vanno meglio. La situazione precipita talmente che nel 1642 il senato accademico dell'università di Utrecht vieta l'insegnamento della "nuova filosofia" cartesiana. Nell'infuriare delle polemiche è per Cartesio di conforto l'interesse che per le sue ricerche manifesta la principessa di Boemia, figlia di Federico V, in esilio dopo la sconfitta della Montagna Bianca (1620). Nell'inverno si reca a L'Aja per conoscerla. Tra la fragile e melanconica principessa e il filosofo si stabilisce una forte intesa intellettuale; Cartesio ne ammira lo spirito pronto e riflessivo. A lei dedicherà i "Principia philosophiae".

Ma l'opposizione contro Cartesio continua: a Utrecht escono due libri di Voet e del suo ex allievo, Martijn Schoock, nei quali è accusato di ateismo. Cartesio reagisce con l' "Epistola ad celeberrimum virum D. Gisbertum Voetium".

Anche l'università di Leida condanna sul piano teologico Cartesio, accusato ora di essere "più che pelagiano e blasfemo". Amareggiato da questi voluti fraintendimenti del suo pensiero, parte per la Francia. Dopo un soggiorno in Bretannia e in Turenna, a Parigi incontra Blaise Pascal, fragile e malato, e con lui discute problemi relativi al vuoto, alla pressione dell'aria e alle esperienze condotte da Torricelli. Tornato in Olanda, rielabora alcuni suoi precedenti appunti di ricerche nel campo della fisiologia e inizia la redazione di "Primae cogitationes circa generationem animalium" (pubblicati postumi).

Amareggiato dall'ostilità dell'ambiente accademico olandese, accetta l'invito di recarsi in Svezia rivoltogli dalla regina Cristina. Ai primi di ottobre, dopo una navigazione di circa un mese, è a Stoccolma. La giovane regina, che può dedicare agli studi filosofici le ore in cui è libera dagli affari di stato, impone a Cartesio, da sempre abituato a lunghi riposi mattutini, di trovarsi nella sua biblioteca ogni giorno alle cinque del mattino.

1650. Il 1° febbraio, tornato dal palazzo, Cartesio avverte dei brividi. Colpito da una grave forma polmonare con febbri altissime, muore l' 11 febbraio alle quattro del mattino. Il 20 novembre 1663 le sue opere vengono messe all'indice dalla Congregazione romana. Solo in tempi moderni una ricerca ha appurato che la morte avvenne per avvelenamento da arsenico.

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Lo Sapevate Che: Carlo Rubbia: Fisico di fama mondiale, è una delle personalità più eminenti della scienza contemporanea, premiato dai più prestigiosi atenei internazionali con 28 lauree honoris causa.


Siamo su un treno che va a trecento chilometri all'ora, non sappiamo dove ci sta portando e, soprattutto, ci siamo accorti che non c'è il macchinista.” Carlo Rubbia

 

L'allenamento del fisico

Carlo Rubbia nasce a Gorizia il 31 marzo 1934, figlio di un ingegnere elettronico e di una insegnante di una scuola elementare. Si iscrive ai test di ammissione alla Normale di Pisa, ma non rientra nel ristretto numero di eletti, quindi si iscrive alla Facoltà di Ingegneria di Milano, ma il destino vuole che riprenda la via per la Scuola di Pisa dopo pochi mesi, grazie ad un posto rimasto vacante.

Presso la facoltà di Fisica toscana, si laurea con una tesi sugli esperimenti compiuti sui raggi cosmici, nel 1957, quindi inizia a collaborare con il suo relatore, il Professor Conversi, realizzando in questo periodo il primo rilevatore di particelle di gas.

Nel 1958 è ospite alla Columbia University, dove approfondisce gli studi sugli acceleratori di particelle.

Carlo Rubbia entra a far parte del CERN nel 1960, presso il quale si occupa di ricerca e sviluppo del Ciclotrone di Nevis sulle particelle elementari,del decadimento e la cattura nucleare dei mesoni. Promuovendo vari esperimenti, nel 1976, modifica un acceleratore SPS, allo scopo di far collidere le particelle protone-antiprotone aumentando l'energia prodotta: crea il collisionatore col quale nel 1983 scopre le particelle che sono responsabili dell'interazione debole, portando alla luce questa innovazione grazie anche al suo team di 100 scienziati, chiamato la UA1 Collaboration.

Nel 1984 riceve il Nobel insieme al suo collega Simon Van der Meer, mentre sta già progettando il LEP, un immenso collisionatore a elettroni e positroni.

Dal 1971 al 1988 insegna Fisica presso l'Harvard University (dove anche Higgins è Professore di Fisica), quindi dirige il CERN di Ginevra dal 1989 al 1993; dal 1994 dirige l'International Center for Theoretical Physics di Trieste; sempre nel capoluogo friulano crea il Laboratorio Luce di Sincrotrone, che utilizza fasci di particelle per esaminare, a livello sub-microscopico, la struttura dei materiali ma anche dei virus e delle proteine.

Nominato Presidente dell'ENEA nel 1999 è stato presidente fino al 2005.

Professore ordinario di Complementi di Fisica Superiore all'Università di Pavia, collabora dal 2006 con il Centro di ricerca sull'energia, l'ambiente e la tecnologia (CIEMAT), organismo spagnolo, per lo sviluppo del "solare termodinamico", alternativo al sistema fotovoltaico.

Alla fine del 2006 rientra a far parte dell'elite scientifica italiana, grazie all'attuazione del suo progetto "Archimede" e viene nominato Consigliere per le energie rinnovabili del Ministro dell'Ambiente.

Sposato con Marisa, professoressa di Fisica al Liceo, ha due figli: Laura, medico, e André, studente in Ingegneria Fisica. Alla fine del mese di agosto 2013 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nomina Rubbia senatore a vita.

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Lo Sapevate Che: Tina Pica: L'inconfondibile voce roca e il piglio un po' burbero l'hanno resa una delle attrici più simpatiche e popolari del cinema italiano tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

 

Non tutti i gatti randagi vanno in paradiso.” Tina Pica

 

Gioielli di Napoli

L'attrice italiana Tina Pica, vero nome Concetta, nasce a Napoli vicino al Borgo S. Antonio Abate il 31 marzo del 1884. La sua famiglia è composta interamente da attori: la madre, Clementina Cozzolina, è attrice e il padre Giuseppe Pica, e il famoso capocomico inventore del personaggio di Anselmo Tartaglia. I genitori hanno una piccola Compagnia teatrale itinerante che porta gli spettacoli anche in provincia. Così Tina, ancora bambina, recita con i genitori, solitamente in parti lacrimose e tristi come "La figlia di un condannato" , "La fanciulla di Pompei", "Le due orfanelle".

Già da bambina si distingue per la sua voce cavernosa e il fisico asciutto che la fa somigliare ad un bambino. Grazie proprio a questa particolarità una sera che il padre non sta bene interpreta lei stessa la parte di Anselmo Tartaglia, e in seguito impersona addirittura Amleto in una rivisitazione partenopea del grande dramma shakespeariano. La sua carriera teatrale inizia, dunque, quando ha a appena sette anni.

Negli Anni Venti fonda una sua compagnia con la quale metterà in scena spettacoli come "Il ponte dei sospiri" e "Il fornaretto di Venezia". Nel 1937 partecipa all'esordio cinematografico di Totò con il film "Fermo con le mani". La sua combattività e perseveranza la inducono a gestire lei stessa un teatro, il Teatro Italia, prima affiancata da Agostino Salvietti e poi da sola. Nello stesso tempo Tina Pica scrive opere teatrali che poi mette in scena, e traduce in dialetto napoletano opere altrui come il "San Giovanni decollato" di Nino Martoglio.

La svolta nella sua carriera avviene dopo l'incontro con Eduardo De Filippo, con il quale avrà sempre un rapporto conflittuale, che li vedrà ora collaborare insieme ed ora allontanarsi. Sembra che il ruolo di Concetta in "Natale in Casa Cupiello" sia stato creato da Eduardo proprio pensando a lei. Ed è con questo ruolo che inizia la collaborazione artistica tra i due che la vede partecipare a "Napoli milionaria", "Filumena Marturano", e "Questi fantasmi".

Dopo quest'ultimo lavoro, Tina Pica si allontana da Eduardo fino al 1954 per poi lavorare nuovamente con lui alla messa in scena di "Palommella zompa" e "Miseria e Nobilità". Nel 1955 però si consuma la rottura definitiva tra i due artisti: Tina infatti ha ottenuto un periodo di pausa da Eduardo De Filippo per lavorare al film "Pane, Amore e Fantasia" (1953, di Luigi Comencini) che la farà conoscere al grande pubblico nel ruolo della governante Caramella. La lavorazione del film però prende più tempo del previsto, e al suo ritorno Eduardo la accoglie piuttosto freddamente. Tina decide allora di abbandonarlo e dedicarsi unicamente alla carriera cinematografica.

Esclusa la recitazione, la sua sua unica passione è il gioco: sembra giochi a poker, al lotto, a carte e alla roulette. Si racconta che durante l'udienza concessa dal papa ad Eduardo De Filippo, dopo il grande successo di "Filumena Marturano", sussurri nell'orecchio del grande attore che quello è il momento giusto per chiedere tre numeri vincenti. Da parte di Tina non è, però, affatto irriverenza, anzi l'attrice è talmente religiosa che Eduardo le concede di portare in scena il suo modo di pregare. In "Napoli Milionaria", infatti, recita le orazioni in latino napoletanizzato proprio come fa nella sua vita di tutti i giorni.

Intanto al cinema continua il successo del personaggio di Caramella, e Tina recita al fianco di Vittorio De Sica in "Pane, amore e gelosia" (1954) per il quale vince il Nastro d'Argento come migliore attrice non protagonista e "Pane, amore e..." (1955). Vittorio De Sica la dirige successivamente nel ruolo della dolce nonna di "Ieri, oggi, domani" (1963), e ne "L'oro di Napoli" (1954).

Le vengono anche confezionati addosso alcuni film sulla falsariga dei personaggi di Caramella e di Nonna Sabella, tra questi: "Arriva la zia d'America", "La sceriffa", "La Pica sul pacifico" e "Mia nonna poliziotto". Oltre che con De Sica, collabora con Fernandel, Renato RascelDino Risi, e soprattutto con Totò nei film "Totò e Carolina" (1953, regia di Mario Monicelli) e "Destinazione Piovarolo" (1955, regia di Domenico Paolella).

La vita privata di Tina Pica è funestata da due terribili lutti: il primo marito, Luigi, muore dopo appena sei mesi di matrimonio, così come la loro figlioletta. Dopo molti anni Tina trova la serenità affettiva accanto a Vincenzo Scarano, appuntato di Pubblica Sicurezza. I due rimarranno insieme per circa quaranta anni, uniti anche dalla reciproca passione per il teatro. Scriveranno insieme persino due opere teatrali: "L'onorevole Pipì" e "Giacomino e la suocera".

Tina Pica si spegne a Napoli il 15 agosto del 1968, all'età di 84 anni.

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Lo Sapevate Che: Robert Bunsen: Per chi ha dimestichezza con i manuali di chimica o di fisica il nome di Robert Bunsen suona più che familiare!


Elementi d'eccellenza

Robert Wilhelm Eberhard Bunsen nasce a Gottinga (Germania) il 31 marzo 1811. Chimico e fisico, è noto per aver perfezionato lo strumento bruciatore presente in ogni laboratorio chimico del globo, che oggigiorno viene chiamato con il suo nome "becco Bunsen". Lo strumento in sé venne inventato dal britannico Michael Faraday.

Robert Bunsen è l'ultimo di quattro fratelli: da giovane frequenta la scuola nella città tedesca di Holzminden per poi approfondire i propri studi di chimica presso l'Università di Göttingen. Ottiene il dottorato all'età di diciannove anni poi per un lungo periodo, dal 1830 al 1833, viaggia attraverso l'Europa occidentale. In questi anni incontra e conosce Runge, lo scopritore dell'anilina, Justus von Liebig, a Giessen, e Mitscherlich a Bonn.

Bunsen ritorna in seguito in Germania e diventa professore a Gottinga: qui inizia i suoi studi sperimentali sulla solubilità dei sali dell'acido arsenioso. Per molto tempo l'ossido ferrico idrato verrà stato usato come antidoto per l'avvelenamento da arsenico, proprio in virtù delle ricerche di Robert Bunsen.

Nel 1836 il chimico tedesco prende il posto di Friederich Woehler a Kassel. Dopo aver insegnato per due anni accetta l'offerta dell'università di Marburgo: qui il suo lavoro principale concerne lo studio dei derivati del cacodile. I risultati gli portano in breve fama e onore, ma in questo periodo gli capita anche di avvicinarsi pericolosamente al rischio di morte, causato dall'avvelenamento da arsenico. Va ricordato inoltre che in seguito ad un'esplosione, un frammento di vetro esploso raggiunse il suo occhio, rovinandolo irreparabilmente.

Nel 1841 Bunsen crea un elettrodo di carbonio da usare al posto del costoso elettrodo di platino nella pila di Grove.

Come professore universitario succede a Leopold Gmelin all'Università di Heidelberg nel 1852. Utilizzando l'acido nitrico riesce a preparare numerosi metalli puri tra cui il cromo, il magnesio, l'alluminio, il manganese, il sodio, il bario, il calcio e il litio attraverso l'elettrolisi. Sempre nello stesso anno inizia una lunga collaborazione con Sir Henry Roscoe con l'obiettivo di studiare la formazione di acido cloridrico partendo dall'utilizzo di idrogeno e cloro.

Bunsen interrompe la collaborazione con Roscoe nel 1859 per unirsi a Gustav Kirchhoff nello studio della spettroscopia di emissione degli elementi. E' per questo scopo che Bunsen perfeziona quello speciale bruciatore che aveva già inventato Michael Faraday. Nel 1877 la coppia Bunsen Kirchhoff sono i primi scienziati ad essere insigniti della Medaglia Davy (riconoscimento rilasciato ogni anno dalla Royal Society, l'Accademia delle Scienze britannica).

Ritiratosi all'età di settantotto anni per dedicarsi alla geologia, che per lungo tempo è stata una sua passione parallela, Robert Bunsen muore a Heidelberg il 16 agosto del 1899 all'età di ottantotto anni.

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mercoledì 30 marzo 2022

Speciale: Menù di Mercoledì 30 Marzo 2022 e buon pranzo a tutti!

 

Sapevo sarebbe stata la cosa più straordinaria della mia vita, ma quanto potente sia non lo puoi sapere fino a quando tuo figlio nasce.” Celine Dion

 

 

 

Linguine Nizzarde

Per 4 persone

 

450 gr di linguine, 2 pomodori, 1 spicchio d’aglio, un cipollotto, 1 cucchiaio di senape, 200 gr di fagiolini, 2 cucchiai di olive verdi snocciolate, olio, sale e pepe.

 

Togliete la pelle ai pomodori e tagliateli a grossi cubetti. Tritate l’aglio e affettate finemente il cipollotto. Mettete tutti questi ingredienti in una zuppiera e versatevi 6 cucchiai d’olio nel quale avrete sciolto il cucchiaio di senape. Salate e pepate. Lavate i fagiolini, spuntateli tagliateli a metà e fateli cuocere per 25 minuti a vapore. Teneteli al caldo. In una casseruola con abbondante acqua salata, fatevi cuocere al dente le linguine. Scolatele unitevi i fagiolini, le olive snocciolate e versate tutto nella zuppiera coprendo le verdure. Dopo un minuto mescolate energicamente il tutto e servite.

 

 

 

Pollo in salsa di Senape e Panna

Per 4 persone                                                     

 

Ingredienti:

 

1 pollo, 2 scalogni, 1 cucchiaino colmo di senape forte, 1 bicchiere di vino bianco, 1 rametto di timo, qualche foglia di salvia, 1 dl di panna da cucina, burro, sale e pepe.

 

Ridurre il pollo a pezzi e spellarli. Sbucciare gli scalogni e sminuzzarli finemente. In una casseruola fondere 40 gr di burro, dove scalderete le erbe con gli scalogni. Unire i pezzi di pollo e lasciarli dorare da tutte le parti, avendo cura di non bruciare gli scalogni. Rosolare il pollo e, quando è di un bel colore dorato, bagnarlo con il vino, alzare la fiamma fin che sia evaporato. Salare, pepare e lasciare cuocere coperto per 45 minuti. A fine cottura togliere il pollo dalla casseruola e tenerlo in caldo in un piatto. Eliminare gli aromi dalla casseruola e versare la panna. A fiamma dolce, diluire la senape nella panna, mescolare e spegnere il fuoco. Nappare ( ricoprire ) il pollo con la salsa e panna e servire.

 

 

 

 

Bavarese alle Fragole

Per 6-8 persone

 

Ingredienti:

 

2 dl e ½ di latte, gr 150 di purea di fragole, qualche fragola intera,  5 dl di panna montata, 4 uova, gr 200 di zucchero, 1 pezzo di vaniglia, 4 fogli di colla di pesce, gr 35 di zucchero a velo.

 

Fate bollire il latte, poi unitevi la stecca di vaniglia che resterà in infusione per 15 minuti. Sbattete bene i tuorli con lo zucchero, diluite con latte intiepidito, unite anche la colla di pesce prima ammollata in acqua e ben strizzata. Mettete al fuoco e mescolando fate stringere la crema. Lasciate intiepidire e aggiungete la purea di fragole, le chiare montate a neve con 25 gr di zucchero a velo, la panna montata e un paio di fragole tagliate a pezzettini. Versate la massa in uno stampo da budino prima inumidito con acqua e ben scolato e mettetelo nel freezer per almeno 3 ore. Togliete lo stampo dal frigorifero e mettetelo a bagno per pochi secondi in acqua caldo. Sformate la bavarese sul piatto di portata, contornandola con le fragole fatte a fette spesse, spolverandole di zucchero a velo.

 

Lo Sapevate Che: Franco Califano: Tra i fan era noto con il soprannome di Er Califfo, per il pubblico italiano è stato uno dei cantautori e parolieri più prolifici di sempre.


Sapete perché ho scritto un libro sul sesso? Perché me l'hanno chiesto. E hanno fatto bene.” Franco Califano

 

L'onore, il poeta, il Califfo

Il "Prevert di Trastevere", uno degli artisti-simbolo della grande musica d'autore italiana: Franco Califano, nato a Tripoli il 14 settembre 1938, ha avuto un'infanzia davvero pasoliniana, caratterizzata da tante vicissitudini e mille guai.

Ragazzo sensibile, dalle antenne straordinariamente attente e ricettive, trova nella dimensione della canzone il mezzo per poter esprimere al meglio quello che vede intorno a lui, la sua filosofia di vita e la sua già matura amarezza. Il contatto - per lui vitale - con le persone, le cose e con tutto ciò che ruota nell'universo artistico romano (e poi internazionale), si dimostra fonte di inesauribile carica vitale e creativa: i critici più attenti, coloro che sanno andare al di là delle apparenze, salutano un nuovo fenomeno della musica italiana, qualcuno che sa andare oltre, con i suoi testi, al mero concetto di canzone.

Invero, l'universo espresso da Franco Califano tocca una dimensione filosofica ed esistenziale che sa andare in profondità e sa cogliere sentimenti universali, per quanto assolutamente non banali. Non sarà un caso se, anni dopo (e già ormai ricco e famoso), gli verrà assegnata una laurea honoris causa in Filosofia dall'Università di New York. Un riconoscimento conquistato con l'attività sul campo e la vita vissuta, più che con le speculazioni teoriche (pur nobilissime ed indispensabili).

Alcune frasi tratte dalle sue canzoni sono diventate d'altra parte dei veri e propri slogan, lampi di genio capaci di illuminare un intero modo di sentire (a partire dal celebre "tutto il resto è noia"). Anche il linguaggio giornalistico ha saccheggiato non poco le sue intuizioni lessicali.

Con oltre 1000 canzoni scritte nella sua carriera, venti album all'attivo, tante canzoni di successo scritte per altri, da Ornella Vanoni ("La musica è finita" e "Una ragione di più"), a Mia Martini (il popolare "Minuetto", è suo), da Bruno Martino ("E la chiamano estate") a Fred Bongusto ("Questo nostro grande amore"), "il Califfo" si è ormai conquistato un posto fisso nella storia della canzone. Perdipiù, la "Storia della canzone romana", lo cita quale più grande autore vivente per "aver scritto le più belle pagine della canzone dialettale romanesca".

In età matura Franco Califano si è dedicato anche anche alla letteratura, pubblicando la raccolta di poesie "Voglia di vivere, voglia di morire" e i libri autobiografici come "Soli fino al capolinea" e "Il cuore nel sesso".

Nel 2001 il gruppo pop italiano Delta V ha inciso una versione di "Un'estate fa" che ha ottenuto un grande successo, contribuendo così a rilanciare il nome di Califano anche presso il pubblico giovanile. Anche Fiorello è in parte responsabile del suo rilancio - almeno televisivo - grazie alla splendida e divertente imitazione di Califano che lo showman è solito includere nel proprio repertorio.

L'artista è tornato sulle scene partecipando nel 2005 alle 55ma edizione del Festival di Sanremo con la canzone "Non escludo il ritorno". L'anno successivo è uno dei protagonisti del reality show canoro di RaiDue, "Music Farm".

Malato da un lungo periodo Franco Califano muore a Roma all'età di 74 anni, nella sua casa di Acilia, il giorno 30 marzo 2013.

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