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mercoledì 31 gennaio 2018

Speciale: Qualche notizia e ricette sull'ultimo Giorno della "Merla"!...

I cosiddetti giorni della merla sono, secondo la tradizione, gli ultimi tre giorni di gennaio (29, 30 e 31) oppure gli ultimi due giorni di gennaio e il primo di febbraio. Sempre secondo la tradizione sarebbero i tre giorni più freddi dell'anno. Le statistiche meteorologiche disponibili per gli ultimi decenni contrastano con il detto popolare per cui si ipotizza che le temperature medie di un tempo fossero inferiori alle attuali. (Wichipedia)
Oggi l’ultimo giorno dei tre:

Secondo la versione più conosciuta ed elaborata della leggenda, “una merla, con uno splendido candido piumaggio, era regolarmente strapazzata da gennaio, mese freddo e ombroso, che si divertiva ad aspettare che lei uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue persecuzioni, la merla un anno decise di fare provviste sufficienti per un mese, e si rinchiuse nella sua tana, al riparo, per tutto il mese di Gennaio, che allora aveva solo ventotto giorni. L’ultimo giorno del mese, la merla, pensando di aver ingannato il cattivo Gennaio, uscì dal nascondiglio e si mise a cantare per sbeffeggiarlo. Gennaio se ne risentì così tanto che chiese in prestito tre giorni a febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo e pioggia. La merla si rifugiò alla chetichella in un camino e lì restò al riparo per tre giorni. Quando la merla uscì, era sì salva, ma il suo bel piumaggio si era annerito a causa del fumo, e così essa rimase per sempre con le piume nere”.

Vari sono i proverbi, i detti e le filastrocche legati ai giorni della Merla: in dialetto bresciano si dice“Du ghèj hò e ‘n prestit (due soldi li ho a prestito), giù él troarò (uno lo troverò). Se bianca te sé (se bianca sei), negra tè farò, e se negra tè sé, bianca deèntarè (bianca diventerai)”. Oppure, in bergamasco, “Canta ‘l merlo ‘n font al zerlo che ghè finit l’inverno: te salude padrù”, ovvero “canta il merlo, l’inverno è finito, ti saluto padrone: trovo un altro tetto”. Un vecchio proverbio romagnolo recita: “Mèral, ‘d merz no’ cante’, che e’ bec u t’ s’ po’ agiaze. Lessa ch’e’ chénta e’ ragion che lo u n’ha pavura d’incion”(Merlo, di marzo non cantare, che il becco ti si potrebbe ghiacciare. Lascia che canti la tordella, che lei non ha paura di nessuno).
Un proverbio bolognese dice: “Quand canta al mérel, a san fóra dl’invéren” (Quando canta il merlo, siamo fuori dell’inverno). Persino Dante Alighieri, nella sua “Divina Commedia”, cita i giorni della merla, facendo dire, nel XIII canto del Purgatorio, all’anima di Sapia “Omai più non ti temo! / come fè ‘l merlo per poca bonaccia”. Ma quando cominciano a cantare i merli? La data è molto incerta e naturalmente dipende dai luoghi; per esempio, in un loro proverbio i romagnoli consigliano al merlo di non cantare nemmeno a marzo perché gli si potrebbe gelare il becco: “Mèral, ‘d mêrz no’ cantê’, che e’ bëc u t’ s’ po’ agiazê”. (www.meto,it)

Qualche specialità in questa occasione:

Bagna Caoda, ricetta Piemontese
Per 4 persone

80 gr di burro, 3 dl di olio, 12 acciughe salate, 5 spicchi di aglio, 1 pomodorino intero, verdure tipo: cardi, gobbi, peperoni, topinambourg, sedano, belghe, foglie di verza, rape, finocchi.

Schiacciate bene nel mortaio di legno 3 spicchi di aglio, affettate finemente i rimanenti, aggiungete le acciughe lavate, spinate e ben asciugate in un telo. Unite il pomodorino intero inciso con un coltellino. Quindi mettete il tutto a fuoco lento con l’olio per 15 minuti. Poi aggiungete il burro, quando questo si sarà sciolto, portate il recipiente in tavola su uno scaldino che mantenga sempre la bagna calda. Nel frattempo avrete preparato le verdure ben mondate e lavate, che ogni commensale intingerà nella bagna.

Polenta con Stoccafisso
Per 4 persone

Per il sugo: 1 chilo e mezzo di stoccafisso, già bagnato, 1 piccola cipolla, 1 foglia di alloro, abbondante sedano, un ciuffo di prezzemolo, 1 spicchio d’aglio, 1 peperoncino piccante, 1 chilo e mezzo di pomodori pelati, olio, sale e pepe q.b

Per la polenta marchigiana: 1 chilo di farina di grano turco, macinata fine, 6 lt. di acqua, sale, q.b.

Unite a crudo tutti gli ingredienti: cipolla, sedano, aglio e prezzemolo tritato finemente, lo stoccafisso tagliato in piccoli pezzi, i pelati a listelli, l’alloro e abbondante olio. Lasciate insaporire a fuoco vivace per 10 minuti, aggiustando di sale, pepe e peperoncino. Coprite con acqua e lasciate bollire adagio, con coperchio per circa due ore. Preparate la polenta aggiungendo il sale e lentamente tutta la farina all’acqua prima che prenda il bollore, avendo cura di rimestare continuamente per evitare grumi. . Portate a bollore e sempre rimestando fate cuocere per almeno ¾ d’ora. Servire la polenta, che rimarrà piuttosto morbida, in strato su piatti larghi e piani, condendola con il sugo e lo stoccafisso, velocemente.
n.b. La ricetta si può eseguire anche con merluzzo anziché stoccafisso.

Casoeula
Per 8 persone

1 kg di costine di maiale già tagliate, gr 500 di salsiccia, gr 200 di cotenne fresche di lardo, 2 piedini e un orecchio di maiale, qualche salamino, 2 kg di verza, 1 kg di carote e sedano, 1 cipolla, una noce di burro, un cucchiaio d’olio, 1 cucchiaio di salsa di pomodoro, brodo, sale, pepe.

Spaccate in 2 per lungo i piedini di maiale. Fiammeggiateli insieme all’orecchio e alle cotenne, raschiate per togliere le setole, lavate bene il tutto. Fate cuocere un’ora questi ingredienti.
In una grande casseruola, fate soffriggere la cipolla in olio e burro, poi unite le puntine, la salsiccia a tocchetti e i salamini. Fate ben rosolare, quindi togliete le carni e nel condimento, mettete le carote e il sedano, tagliati finemente, la salsa di pomodoro, diluita in poca acqua, sale e pepe. Mescolate bene, abbassate la fiamma, coprite il recipiente e fate cuocere, mescolando di tanto in tanto.
Mondate le verze, lavate le foglie e fatele appassire in una pentola a parte, con la sola acqua rimasta loro aderente.

Trasferite nella casseruola con le altre verdure. Mescolate, quindi accomodate sopra le verze le puntine, la salsiccia, i salamini, i piedini, l’orecchio e le cotenne, tagliati a listerelle. Smuovete la pentola in modo che il sugo di cottura ricopra gli ingredienti, coprite e proseguite la cottura per un’ora circa, asportando di tanto in tanto, l’unto a galla. Buon appetito!

Lo Sapevate Che: E tu, di cosa hai bisogno?...

I Chiedono Interviste pensando di fare domande armati di bloc-notes, registratori, in territorio neutro, protetti dal ruolo. Ma se si chiede un’intervista a Tino Sehgal la prima risposta è: no, “perché lui non dà interviste”. La seconda è: forse, “il signor Sehgal potrebbe fare due chiacchiere con lei se è disposta a entrare nel progetto assistendo a un’audizione”. Perché no? Sehgal è più che un performer, più che un artista, Un coreografo, si potrebbe dire, capace di mettere in scena emozioni con cui travolgere gli astanti. Non c’è pubblico. Non ci sono attori. Dall’una e dall’altra parte ci sono persone che coinvolgono altre persone. Ci sono suoni, gesti, voci corpi che si muovono secondo regole invisibili. Così fu al Guggenheim di New York, lungo la rampa di Frank Lloyd Weight, dove un bambino ti prendeva per mano chiedendo “cos’è il progresso? “e poi ti lasciava a un ragazzo che faceva altre domande, e dal ragazzo all’adulto e dall’adulto al vecchio, tra interrogativi, risposte e racconti in un viaggio nel tempo che rotolava via, crescendo insieme alla spirale. Così fu nella Tate invasa da 70 story-teller che incantavano ogni visitatore, con le loro novelle, come tanti pifferai di Hamelin. Così alla Documenta di Kassel del 2013 dove, nella Casa degli Ugonotti resa buia come la pece, una minacciosa ventina di performer circondava chiunque entrasse cantando, battendo le mani, suonando gospel, vicino sempre più vicino… Non c’è territorio neutro accanto a questo uomo complesso come la sua origine, che lo vede nascere nel 1976 a Londra da padre angloindiano e madre tedesca, crescere a Düsseldorf, e studiare, tra Berlino e Parigi, economia, arte concettuale, danza. Non c’è ruolo che ci protegga. Tant’è che, all’improvviso, invece di far domande, si comincia a riceverle, seduti in cerchio con una decina di sconosciuti d’ogni età e provenienza a raccontare cose di so, come in una riunione di alcolisti anonimi. È andata così a Torino, nell’immenso, affascinante vuoto delle OGR, dove tra poco, sul binario 1 del monumento di archeologia industriale nato per riparare locomotive di treni, Sehgal metterà in scena la sua più importante personale italiana (2 febbraio – 18 marzo, a cura di Luca Cerizza). Stesso luogo dove lo scorso novembre, come da comunicato, “reclutava volontari vivaci, ironici, aperti e sensibili, di tutte le età, pronti a conversare di poesia, politica e vita quotidiana. Non è richiesta alcuna specifica qualifica professionale, né alcuna esperienza in ambito artistico e teatrale. È necessario però essere disposto a mettersi in gioco. Chi scrive in realtà non l’aveva scelto di mettersi in gioco. Eppure eccoci lì a rispondere a eccentrici quesiti: “cosa tifa davvero sentire bene?”. “ Racconta di una volta in cui hai capito di essere davvero arrivato”. “Cosa ti rende insoddisfatto di te stesso?”. Il gruppo, rispondendo, prende forma. Gli uomini parlano di azioni, le donne di sentimenti. I giovani di insicurezze, i più vecchi di nostalgie. A condurre la danza è la producer dell’artista, signora gentile dai lunghi capelli. Con la voce pacata con cui pone bizzarre domande, specifica le regole: “L’evento”, dice, “durerà 6 settimane. Sarà diviso in turni dalle 4 alle 7 ore alla settimana e verrà retribuito su base oraria”. Poi, con la stessa ferma gentilezza, invita tutti a spostarsi e a disegnare mentalmente un triangolo scegliendo due persone che non sanno di essere scelte e che a loro volta ne hanno scelto altre due. Fatto questo, bisogna muoversi rapidi. Un’improvvisa coreografia disegna lo spazio, ognuno rincorre i vertici di una figura geometrica che è solo nella testa ma fa muovere veloci le gambe e lega fisicamente e mentalmente l’intero gruppo. Energia, la chiama lui. Che va oltre l’arte. “È la differenza che c’è fra un paesaggio e il tempo atmosferico”, spiega poi, conversando su un divanetto. “Il paesaggio è l’opera fissa nel tempo, ma a formarlo e trasformarlo c’è l’atmosfera: un tessuto di luce, vento, pioggia, sole, mutazione continua. E io cerco questo”. Il vento di uno sciame in movimento soffierà nelle aule delle ex Officine di Porta Susa: 50 interpreti sopravvissuti alle audizioni sono pronto. Riporteranno in scena famosi lavori di Sehgal come Kiss, dove prendono vita celebri luci della storia dell’arte, da Rodin a Hayez. E si scateneranno nelle opere recenti (These Association), dove dominano l’impatto fisico ed emotivo, le interazioni. Nulla di già visto, nulla di nuovo. “Lavoro con elementi che si ripropongono e si ricompongono. Non mi chiedo se quello che sto facendo è nuovo, ma se è giusto per quello spazio, per le persone che arriveranno. Cerco di formare sculture con un elemento complesso, sensibile e flessibile quale è la natura umana. E’ come in cucina, non è la novità del piatto ma la sua qualità, quello che conta. Per questo mi chiedo: di cosa ha bisogno chi arriverà qui un mercoledì pomeriggio, dopo il lavoro, o un sabato mattina nel suo giorno di vacanza? Quale energia trasmettere? Voglio creare la giusta esperienza per farvi riflettere sula vita, lo spazio che vi circonda, su che cosa significhi muoversi, parlare, cantare”. Giusto il tempo di una performance, per farci diventare scultura viva di corpi ed emozioni. Capace di travolgere ruoli, inibizioni, professioni, bloc-notes, registratori, interviste….

Alessandra Mammì – Incontri D’Arte – Donna di La Repubblica – 20 gennaio 2018 -

martedì 30 gennaio 2018

Speciale: Primi piatti caldi!...

Gnocchi con Patate rosse al The Matcha verde
Per 4 persone

350 gr di patate rosse, 200 gr di farina, 1 cucchiaio di the verde Matcha, 12 foglioline di salvia, 50 gr di burro (variante 50 gr di ricotta morbida piemontese), 40 gr di parmigiano, sale

Sbucciare le patate e farle bollire in una pentola con circa 3 lt di acqua fredda salata. Bollire dalla ebollizione per 20 minuti. Scolare e lasciare raffreddare.
Nel mentre preparare una pentola con abbondante acqua salata e portarla a bollore.
In un pentolino a parte far fondere il burro (se si usa la ricotta lavorarla prima con 2 cucchiai di acqua calda), unire le foglioline di salvia rotte a ½ e scaldare mescolando per pochi minuti. Tenere da parte al caldo sino al momento di usarlo.
Schiacciare con l’apposito attrezzo le patate e metterle in una grande ciotola, cospargerle con la menta matcha e la farina mescolare bene con l’aiuto di un cucchiaio di legno sin che il composto sia verde omogeneo. Si aggiunge farina sin ad ottenere un composto modellabile con le mani.
Formare dei salsicciotti col composto, infarinarli leggermente e poi tagliarli in singoli gnocchi con un coltello affilato. Farli cuocere gettandone 2 o tre gruppi separati nell’acqua preparata in ebollizione, scolarli appena vengono a galla. Condirli con il burro aromatizzato alla salvia e spolverarli con il parmigiano.

Polenta con farina di Mais e Cardi
Per 4 persone

350 gr di farina di mais, 1 lt e 500 gr di acqua, 250 gr di cardi, succo di limone, farina, 1 cipolla bianca, 3 etti di speck, 1 etto di scamorza a fettine sottili, latte, 100 gr di parmigiano grattugiato, 1 dl di latte, burro, olio, sale e pepe.

Pulite i cardi, riduceteli a pezzi di circa 3 cm, togliendo i filamenti, man mano che li tagliate. Lavateli e fateli subito cuocere con abbondante acqua a cui avrete aggiunto succo di limone e un cucchiaio di farina, per 45 minuti. Scolateli e fateli rosolare in una larga padella con 40 gr di burro e la cipolla affettata sottilmente. Salate e pepate. In una casseruola portate a ebollizione un litro abbondante di acqua, salatela e versatevi a pioggia, sempre mescolando con un cucchiaio di legno, la farina di polenta. Cuocete mescolando per 45 minuti.
Quando è cotta, rovesciatela su un canovaccio posato su un piano di legno, copritela e lasciatela raffreddare.
Tagliatela a fette spesse un centimetro. In una pirofila di circa 25 cm x 18, mettete le fette di polenta in obliquo, ricoprendole una dopo l’altra, con fette di speck e formaggio scamorza a fettine sottili, continuate terminando con la polenta. Pepate e distribuitevi sopra i cardi, un dl di latte, il parmigiano grattugiato e fiocchetti di burro. Profumate con una macinata di pepe e passate al forno preriscaldato a 220° per 10 minuti.

Pancotto con Broccoli e Alici
Per 6 persone

400 gr di cimette di broccoletti, 600 gr di pane tostato, 6 alici fresche, ½ bicchiere di vino bianco secco, peperoncino in polvere, 1,5 litri di acqua, 6 spicchi di aglio tostati e schiacciati, 1 peperoncino intero, 100 gr di acciughe sott’olio, 100 gr di pecorino grattugiato, olio, sale.

In una capiente casseruola portare a ebollizione l’acqua leggermente salata, tuffarvi i broccoletti puliti e lavati e cuocerli per 3 minuti. Unire il pane a pezzetti e continuare la cottura finché l’acqua sia completamente assorbita. Togliere dal fuoco.
Pulire e filettare le alici fresche.
Emulsionare il vino bianco con 1 cucchiaio di olio, un pizzico di sale e uno di peperoncino. Irrorare le alici con questa marinata.
In una padella fare andare a fuoco lento 50 gr di olio, aglio, peperoncino e acciughe. Le acciughe non devono friggere, ma solo sciogliersi, ridurre quindi il fuoco al minimo. Irrorare il pancotto con il condimento di acciughe e servirlo cosparso di pecorino grattugiato.

Guarnire ogni porzione con 2 filetti di alici marinate.

Lo Sapevate Che: Il paradosso del bambino bugiardo...

Il figlio George era arrivato al sesto compleanno. In mancanza di telefonini, tablet, videogame, difficili da trovare in quell’anno 1738, il signor Augustine Washington, benestante della Virginia, decise di regalargli una piccola accetta. Il bambino ne fu felice. Anche troppo, visto che procedette immediatamente a usarla su un albero di ciliegio al quale il papà teneva moltissimo, Naturalmente, il genitore scoprì lo scempio del suo adorato alberello, e decise di mettere alla prova il figlioletto. “Chi è stato?”, gli chiese, in redingote e parrucca. “Padre”, gli rispose contrito il figlio, “non posso dirti bugie. Sono stato io”. Il genitore, anziché punirlo, lo abbracciò. “Dell’albero m’importa niente, ma la tua onestà è un grande regalo”. Questa storia di George Washington e dell’alberello di ciliegio sarebbe divenuta, generazione dopo generazione, un apologo, trapanato fino allo stordimento dai genitori nella testa dei figli. L’onestà manifestata dal futuro padre degli Stati Uniti d’America e primo presidente era la dote fondamentale sulla quale costruire l’edificio di una vita di successo. Peccato che la parabola sia falsa, come sembra essere falsa anche la morale. I bambini che dicono le bugie (e cominciano a dirle quando hanno appena due anni) risultano, studio dopo studio, ricerca dopo ricerca, essere più intelligenti e destinati a migliori risultati da adulti di quelli che non sanno mentire. Secondo gli psicologi dell’infanzia e del comportamento che hanno risposto (si spera non mentendo) a un’inchiesta del New York Times, i bambini che soffrono di disturbi di personalità faticano a dire bugie, perché la bugia richiede agilità mentale e intuizione. Il test classico è quello del giocattolo nella scatola. Bambini di due anni vengono lasciati soli nella propria stanza con una scatola dentro la quale, gli viene detto, c’è un giocattolo nuovo. Se non apriranno la scatola per sbirciare dentro, sarà loro. Altrimenti, niente. La quasi totalità, quando non pensa di essere visto, apre la scatola, guarda e la richiude. E poi dice di non averla aperta. C’è una lunga e complicata spiegazione del perché i piccoli bugiardi risultino più intelligenti dei coetanei sinceri; e la naturale tendenza a contare le balle non va affatto incoraggiata. Tutti i genitori implorano i pargoli di essere onesti, spiegando che, come Augustine Washington, saranno orgogliosi di un figlio o di una figlia che dicano la verità, probabilmente dimenticando tutte le fandonie che loro stessi da piccoli, servirono a padri e madri. E a aggiungono che si metteranno nei guai non tanto per quello che hanno fatto, ma per quello che faranno per nasconderlo, secondo un principio che anche le personalità politiche, impantanate in scandali gonfiate dalle proprie spesso patetiche panzane, farebbero bene a ricordare. Il punto chiave delle ricerche condotte per decenni dagli psicologi dell’infanzia è: va riconosciuto che tutti noi portiamo il “gene” della bugia nei cromosomi, e raccontarne da piccoli non è un sintomo di future catastrofi né di carriera in politica.  I bambini sono bravissimi a mentire, e i più bravi dimostrano capacità verbali superiori agli altri. Soltanto una piccolissima percentuale di grandi, genitori e no, riesce a individuare il bugiardello, se non si presenta con la bocca sporca di cioccolato o le dita appiccicose di marmellata. Il paradosso è che tutti noi dovremmo sperare che i nostri figli siano abilissimi nel mentire, ma capaci di non farlo. E se proprio non ci riescono, pazienza. Da grandi, potranno sempre diventare giornalisti.

Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 20 gennaio 2018 -

lunedì 29 gennaio 2018

Lo Sapevate Che: Tutti Zitti, (stra) parla il capo...

The coolest monkey in the jungle è lo slogan più costoso nella storia della pubblicità. La scritta sulla felpa H&M fatta indossare a un bambino nero ha provocato una rivolta dei social, boicottaggi dei prodotti di magazzini in Sudafrica. La H&M si è inerpicata dapprima su impervi sentieri di goffe giustificazioni, poi ha dovuto ammettere l’errore. La storia raccontata in dettaglio da Pietro Veronese (nella sua rubrica) non serve qui tanto a denunciare il razzismo ormai diffuso ma a ragionare su come funzionano (male) le catene di comando nell’epoca del narcisismo trionfante. Può apparire incredibile, in effetti, che in una campagna globale di una multinazionale, pianificata da eserciti di esperti e sottoposta a una fila di verifiche, non si sia levata una sola persona intelligente, in uno dei tanti passaggi, per segnalare non soltanto l’immoralità di quel messaggio, ma la profonda e controproducente imbecillità rispetto all’obiettivo economico. Il punto è che in una società sempre più lideristica il contraddire in pubblico, le idee del capo, per quanto stupide, non giova alla carriera. Ho assistito nel corso degli anni a un progressivo svuotamento delle riunioni di redazione, come dei vertici aziendali o di partito, degli elementi più creativi. Alla fine rimangono soltanto yes men. Se il capo è un genio assoluto, può funzionare, sia pure non sempre. Se non lo è, nella stragrande maggioranza dei casi, si corre verso la catastrofe. Un certo grado di narcisismo ha sempre condizionato l’efficacia delle catene di comando. Ma nella società dello spettacolo, dove tutte le organizzazioni sono riassunte nella figura di un attore protagonista, il narcisismo del capo può divenire fatale. Alcuni grandi capitani ne sono consapevoli. Steve Jobs e Bill Gates, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg e Larry Page incarnano oggi il mito del demiurgo industriale, ma hanno inventato personalmente pochissimo. Il loro genio è stato di attrarre e sfruttare l’altrui talento, ormai emarginato e sotto utilizzato dalle burocrazie delle vecchie multinazionali. In politica, dove ormai i leader sono puri intrattenitori manovrati da altri poteri, quindi ancora più deboli e narcisi, accade più spesso che i capi finiscano prigionieri del proprio ego arroventato e reagiscano con rabbia di fronte a chi osa contraddire le proprie fantasie. È il caso tragico, per i destini del mondo, dell’ultimo Donald Trump. Ed è il caso comico dei molti galletti che popolano la scena italiana, condannati a circondarsi di plaudenti cortigiani che il giorno dopo l’inevitabile disfatta serviranno alla tavola del nuovo vincitore.

Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di La Repubblica – 26 gennaio 2018 -

Lo Sapevate Che: Quel che resta di D'Annunzio...

Oggi voglio occuparmi del poeta Gabriele D’Annunzio. Ma non soltanto del poeta, bensì uno dei personaggi più noti del periodo che va da fine Ottocento ai primi vent’anni del Novecento, secolo breve ma lunghissimo insieme. Quando a me, scrivo in prosa, ma cerco di dare ad essa un ritmo di musicalità. A voi lettori lascio di trovare quella non dichiarata melodia. Di D’Annunzio si può dire tutto perché tutto cercò di essere: vate, romanziere, drammaturgo, pilota solitario, Capo di bande rivoluzionarie, oratore di folle immense, drogato e seduttore, corruttore e corrotto, mantenuto e a suo modo filosofo di vita. Paul Valéry gli diede la patente del più grande poeta che ci fosse in Europa. Benedetto Croce lo detestò, Ungaretti lo designò Maestro e lui, D’Annunzio, si sentì tale in tutti i luoghi e in tutti gli attimi fuggenti. Amò Carducci e Pascoli, che con lui nulla avevano a che fare. Non perse mai, fu sempre vittorioso. Così pensava lui di se stesso. Eraclito era il suo destino e Narciso il suo dio. Ma oggi nel nuovo secolo e millennio, i pareri sono diversi non solo tra gli eruditi del costume e i poeti di nuove poesie, e anche gli storici e infine i giovani e le donne, i baldanzosi e melanconici. Non l’anno mai conosciuto o l’hanno dimenticato. Un giorno ho avuto una discussione con un mio grande amico e maggior poeta della modernità italiana. Lui non disprezza D’Annunzio ma non l’ammette nel Novecento, lo relega nella “Belle Époque” ottocentesca, non tanto come artista ma piuttosto come una sorta di centauro, metà uomo e metà bestia, cavallo e toro do cartone. Del resto lo stesso D’Annunzio scrisse il “Centauro” che non è una poesia da buttar via. Io sono di famiglia dannunziana: io padre andò a Fiume con lui e spesso quand’ero giovane, mi raccontava alcune avventure di quella spedizione nazionalista e comunque ribelle alla politica giolittiana dell’epoca. Mio padre ricordava i due anni passati a Fiume ma i suoi veri autori erano Dante, Foscolo, Leopardi e Carducci. Con D’Annnzio però aveva vissuto quasi due anni di ribellismo dopo quattro anni di guerra guerreggiata nelle trincee del Grappa e dell’Isonzo. Col poeta erano diventati amici e lui gli spedì nel 1921 un suo piccolo libro dove racconta “la gesta del Carnaro” avventura su tre motoscafi con altrettanti siluri a mano. La spedizione era diretta a Pola dov’era ancorata una nave da guerra austriaca di vecchia data. Quella che il poeta chiamava “la gesta”, cioè l’impresa avventurosa, fu quella di passare sotto le reti di protezione del molo e lanciare da pochi metri di distanza i siluri tornandosene frettolosamente ai loro motoscafi e di sfuggire alle conseguenze del siluramento, il quale riuscì perfettamente e affondò la nave da guerra austriaca. Nella dedica al suddetto libro l’autore ricorda a mio padre che lui durante il viaggio verso il Carnaro cantò a squarciagola la canzone che D’Annunzio aveva composto su quell’avvenimento. Penso che sia opportuno riferire qui la prima strofa e l’ultima di quella Canzone per migliore conoscenza dei lettori di questo mio articolo:
Siamo trenta d’una sorte / e trentuno con la morte. / Eia, l’ultima! / Alalà / Siamo trenta su tre gusci, / su tre tavole di ponte: / secco fegato, cuor duro, / cuoia dure, dura fronte, / mani macchine armi pronte, / e la morte a paro a paro. / Eia, carne del Carnaro! / Alalà! / (…) / Tutti tornano o nessuno. / Se non torna uno dei trenta / torna quella del trentuno, / quella che non ci spaventa, / con in pugno la sementa da gittar nel solco avaro. / Eia, fondo del Quarnaro! / Alalà!
Questo fu D’Annunzio nel bene e nel male. È stato un personaggio in quasi tutti i campi del pensiero artistico-letterario e in altre attività di azione e di politica, a destra e a sinistra purché fosse protagonista. Certo la sua poesia non è quella di Montale o di Quasimodo, i suoi racconti non sono quelli di Moravia, forse in certi casi sono stati anche migliori, il “Piacere” per esempio è meglio degli “indifferenti. Parlo soltanto di scrittori italiani, se andassimo in altri Paesi dell’Occidente la questione sarebbe largamente diversa. Comunque è stato in qualche modo un simbolo della cultura italiana, almeno fino al 1920. Poi, quando si ritirò al Vittoriale sul lago di Garda, fu solo un resido senza testa e molti vizi. Morì nel ’38 e Mussolini fu al funerale, credo contento d’essersi liberato da una persona ormai soltanto imbarazzante e fastidiosissima. La presenza di Mussolini fu però molto più ingombrante della sua e non fastidiosa ma tragica e durò ancora se anni dopo la scomparsa del poeta. Poi è scomparso in modo crudelmente drammatico quando gli italiani, dopo essere stati tutti fascisti, diventarono in 24 ore tutti antifascisti. Il mondo va così e come abbiamo prima ricordato Eraclito e Narciso sono i veri rappresentanti del nostro Paese. L’uno ha chiarito un concetto fondamentale e l’altro un sentimento altrettanto fondamentale.

Eugenio Scalfari – Il Vetro Soffiato – L’Espresso – 21 gennaio 2018 -

domenica 28 gennaio 2018

Speciale: Gli Antipasti per la Domenica!...

Quiche all’Insalata Belga e caramello
Per 6 persone

250 gr di farina, 80 gr di burro, 80 gr di ricotta, 5 uova, 2 dl di panna, 60 gr di parmigiano grattugiato, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 1 cucchiaino di erba cipollina, 4 cespi di insalata belga, 10 pomodorini ciliegia, zucchero di canna, olio, sale, pepe. Farina e burro per la preparazione.

Riunire in una terrina 250 gr di farina, il prezzemolo, l’erba cipollina, 80 gr di burro a dadini, prima fatto ammorbidire a temperatura ambiente. Impastare con le punte delle dita, poi unire un pizzico di sale, la ricotta, un uovo e un tuorlo. Lavorare bene il tutto e formare con la pasta una palla, avvolgerla in una pellicola e lasciarla riposare ½ ora in frigorifero.
Nel mentre eliminare la parte finale dei cespi di indivia e tagliare in sei spicchi ciascuna insalata. Fare scaldare 2 cucchiai d’olio in una larga padella, unire l’indivia e farla rosolare, cospargerla con 2 cucchiai di zucchero di canna, sale e pepe e farla caramellare a fuoco medio. Togliere dal fuoco.
Lavare i pomodorini e tagliarli a metà. Su di un piano di lavoro leggermente infarinato, tirare la pasta con il mattarello e rivestire una pirofila di circa 22 cm di diametro, prima bene imburrata e infarinata. Bucherellare il fondo della pasta con i rebbi di una forchetta. Disporre a raggera sul fondo gli spicchi di insalata belga e i pomodorini. Versare la panna in una ciotola, unire il parmigiano, le uova rimaste, regolare di sale e pepe. Battere il composto con una frusta a mano e versarlo poi sull’indivia. Fare cuocere in forno preriscaldato a 180° per 30 minuti. Sfornare e lasciarla intiepidire prima di sformarla.

Mattonella alle Verdure
Per 4 persone

200 gr di riso, un vasetto di peperoni rossi e gialli sott’aceto, 20 olive verdi, gr.100 di maionese, una confezione di gelatina istantanea, un cucchiaio di succo di limone. Per la guarnizione carciofini sott’olio e insalata mista.

Fate cuocere il riso in acqua salata per 20 minuti, poi scolatelo bene e mettetelo in una terrina.
Unite le verdure tagliate a pezzettini alla maionese e mescolate.
Preparate la gelatina seguendo le istruzioni riportate sulla confezione, aromatizzatela con succo di limone. Versate un po’ di gelatina sul fondo di uno stampo rettangolare e fatela rassodare in frigorifero, poi sistematevi sopra il riso preparato e coprite con la gelatina rimasta ancora tiepida. Raffreddate in frigorifero per circa 2 ore, e poco prima di servire, immergete lo stampo rapidamente in acqua bollente, poi sformate la mattonella di riso e tagliatela a fette. Guarnite con carciofini sott’olio, insalata mista e servite.

Involtini con Insalata Cappuccio e crema di Gamberi
Per 4 persone

500 gr di gamberi freschi, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 foglia di alloro, 1 cucchiaio di origano secco, burro, 60 gr di maionese, 2 limoni e 1/2 , 4 grani di pepe, 1 insalata cappuccio, sale, pepe.

Lavare pulire e sgusciare i gamberi, incidere il dorso eliminando il filamento nero dell’intestino.
In una casseruola versare ½ lt di acqua e il vino bianco, la foglia di alloro e i grani di pepe. Portare a ebollizione, sistemare i gamberi nel cestello per l’ebollizione a vapore e metterlo sulla casseruola facendoli cuocere a vapore per circa 10 minuti.
Fare ammorbidire 40 gr di burro.
Fare frullare i gamberi nel mixer, metterli in una ciotola, unirvi il cucchiaio di origano, ½ limone spremuto.
Mischiare al burro ammorbidito la maionese e la senape, unire il composto alla crema di gamberi, salare e pepare.
Lavare, sfogliare e asciugare le foglie dell’insalata cappuccio, facendo attenzione a non romperle. Distribuirvi sopra la crema di gamberi e arrotolandole a fagottino.
Adagiarle su una fettina di limone sopra un piatto di portata. Deliziosi!

Nidi di Patate con Lenticchie di Castelluccio
Per 6 persone

Per i nidi di patate: 600 gr di patate, 1 uovo, 2 tuorli d’uovo, 20 gr di burro, 1 dl di latte, un pizzico di noce moscata, sale e pepe.

Per le lenticchie: 200 gr di lenticchie di Castelluccio, 1 cipolla, 1 foglia di alloro, un mazzetto di prezzemolo, ½ carota, 1 spicchio d’aglio, olio.

Mettere a bagno le lenticchie in una terrina con abbondante acqua fredda con un pizzico di sale, per 12 ore.
Sbucciare la cipolla e lo spicchio d’aglio, lavarli, affettarli molto finemente, spuntare la carota, raschiarla, lavarla e dividerla in dadini piccolissimi. Sciacquare e scolare le lenticchie, metterle in una casseruola, aggiungere le verdure preparate e la foglia d’alloro, coprite d’acqua fredda e portate a ebollizione.
Fare cuocere le lenticchie a fuoco dolce per circa un’ora e salare quasi al termine della cottura.
Preparare i cestini di patate: sbucciare le patate, lavarle, tagliarle a pezzi, metterli in un tegame, aggiungere il latte, coprirli a filo con acqua e farli cuocere per 15 minuti, finché saranno teneri, scolarli e passarli subito allo schiacciapatate. Raccogliere il passato in una terrina. Aggiungervi il burro diviso a pezzetti, un pizzico di sale, pepe e noce moscata grattugiata. Aggiungere l’uovo intero e un tuorlo, facendoli amalgamare. Mettere la purea in una tasca da pasticceria con la bocchetta dentellata e formare sopra una teglia imburrata, dei nidi.
Spennellarli con il tuorlo d’uovo rimasto leggermente battuto con 3 cucchiai d’acqua, farli cuocere in forno preriscaldato a 180° per 15 minuti, finché saranno leggermente dorati.

Scolare le lenticchie, condirle con l’olio e con il prezzemolo tritato, distribuirle nei nidi di patate caldi.

sabato 27 gennaio 2018

Speciale: Carrellata di squisite Zuppe calde!...

Zuppa Vellutata con Zucca e spiedini di Gamberi
Per 4 persone

1 kg di zucca, 8 dl di latte, 200 gr di panna fresca, 3 sfoglie di pane carasau, 2 porri, 12 code di gambero, noce moscata, burro, sale, pepe.

Eliminare la scorza della zucca e i semi, ridurla a pezzetti e metterla in un tegame con 25 gr di burro, 1 porro pulito, lavato e affettato, 3 bicchieri di acqua, il latte e un pizzico di sale. Portare a ebollizione e continuare la cottura a fuoco dolce per 15 minuti.
Passare il tutto al mixer, rimettere nel tegame, unire la panna, una generosa grattata di noce moscata e fare cuocere a calore moderato per 5 minuti.
Sgusciare le code dei gamberi, togliere il filino nero sul dorso, lavarle, asciugarle e suddividerle in 4 spiedini di legno.
Pulire il porro residuo, affettarlo finemente e farlo rosolare in un tegame con 20 gr di burro. Unire gli spiedini di gambero, salare e pepare.
Far cuocere a fuoco vivo per 2 minuti per parte.
Servire la vellutata in fondine, accompagnando ogni fondina con uno spiedino di gambero e sfoglie di pane carasau.

Zuppa con Tofu e Verdure, ricetta Thailandese
Per 4 persone

½ kg di zucca, 300 gr di broccoli, 150 gr di pomodorini, una costa di sedano, 300 gr di tofu, 2 foglie di limone, 2 foglie di limone, 2 cucchiai di salsa di pesce, 4 cucchiai di salsa di soia, 1 cucchiaino di zucchero, 5 foglie di basilico, 3 scalogni, 2 spicchi d’aglio, 2 peperoncini piccanti, olio.

Preparare il condimento speziato:
Sbucciare gli scalogni e l’aglio, affettarli e metterli in un mortaio, unire i peperoncini e pestare fino ad ottenere una pasta fine. Eliminare semi e scorza dalla zucca, tagliarla a dadini, affettare i broccoli e tagliare a rondelle il sedano.
Lavare i pomodori, eliminare i semi e tagliarli a spicchi, lavare bene le foglie di limone. In una casseruola scaldare 3 cucchiai d’olio, aggiungere il condimento speziato, far rosolare 2 minuti, mescolando spesso, versare ½ lt di acqua tiepida, la salsa di soia, la salsa di pesce e lo zucchero e portare a ebollizione. Versare nel brodo le verdure, le foglie di limone, il basilico. Proseguire la cottura per 10 minuti.
Tagliare il tofu a dadini piccoli e incorporarlo alla zuppa prima di spegnere. Buonissima!

Zuppa della Danimarca
Per 6 persone       

8 patate, 1 cipolla, 2 scalogni, 1 porro, un mazzetto di erbe aromatiche fresche, 4 spicchi di aglio, 1 lt di brodo di gallina, 2,5 ml di panna liquida, 1 cucchiaio di polvere wasabi. Burro, sale, pepe. Crostini di pane abbrustoliti, 150 gr di bacon a cubetti.         

Lavare e pelare le verdure. Tagliarle a tocchetti medi e farle cuocere a vapore, unendo il bouquet di odori lavato. Farle cuocere controllandone la cottura con i rebbi di una forchetta. Quando saranno morbide al punto giusto, eliminare il bouquet di odori e frullare le verdure con un mixer, unire 30 gr di burro prima fuso e la panna liquida. Versarvi anche il brodo di gallina caldo e senza smettere di frullare (per non smontare la zuppa) aggiungere acqua calda sino ad ottenere la consistenza desiderata. Regolare di sale e pepe.
Servire la zuppa caldissima con una generosa spolverata di polvere wasabi, accompagnata da crostini di pane abbrustoliti e cubetti di bacon arrostiti prima nel padellino.       


Zuppa “piatto Unico” al Vino bianco
Per 4 persone

750 gr di buon brodo di carne, 4 tuorli d’uovo, 2 bicchieri di vino bianco secco, 200 gr di panna liquida fresca, un pizzico di cannella in polvere, sale, pepe. Crostini di pane dorati nel burro.


Mettere in una scodella i tuorli con la panna, il pizzico di cannella, salare e pepare, mescolare con l’aiuto di una frusta. Portare a ebollizione il brodo, unirvi il vino bianco ed attendere che il composto riprenda l’ebollizione. Togliere dal fuoco e incorporarvi il composto di panna e uova, sbattendo bene con una frusta per qualche minuto. Rimettere sul fuoco qualche attimo, facendo attenzione che non arrivi al bollore. Accompagnare la zuppa caldissima con i crostini fragranti fritti nel burro.

venerdì 26 gennaio 2018

Speciale: Deliziosi Piatti con Pesce!...

Minestra Bianca di Pesce
Per 4 persone

100 gr di tubettini rigati, 400 gr di coda di rospo, 2 calamari, 1 kg di cozze, 1 carota, 1 cipolla, 2 foglie di alloro, prezzemolo, timo, vino bianco secco, olio, sale, pepe nero.

Tritate finemente la carota e la cipolla, mondate.
Tagliate a pezzetti la coda di rospo e svuotate le sacche dei calamari, tagliatele ad anelli, quindi private i tentacoli del becco centrale e degli occhi. 
In una casseruola con 2 cucchiai d’olio, fate appassire il trito di carota e cipolla, poi unite la coda di rospo e i calamari. Pepate, regolate di sale, aggiungete 2 dl di vino bianco. Fate riprendere l’ebollizione, unite l’alloro, il timo e un litro di acqua calda. Coprite la casseruola con un coperchio, cuocete a fuoco dolce per 30 minuti.
Pulite e lavate accuratamente le cozze, mettetele in un tegame con uno spruzzo di vino, fatele aprire a fuoco vivo, filtrate con un canovaccio il liquido di cottura e aggiungetelo alla minestra. Regolate di sale, portate ad ebollizione e aggiungete la pasta, portandola a cottura, aggiungete quindi il prezzemolo tritato, una macinata di pepe e le cozze, metà sgusciate e metà col guscio. Mescolate bene, servite la minestra calda.

Polpo e Ceci in Zuppa
Per 4 persone

1 polpo di 1 kg, 6 etti di ceci lessati, 2 pomodori maturi e sodi, 2 spicchi d’aglio, 2 foglie di alloro, salvia, rosmarino, timo, vino bianco secco, olio, sale, peperoncino in polvere.

Pulire il polpo, privarlo delle interiora contenute nella sacca, dell’occhio e del becco alla base dei tentacoli, lavarlo e tagliarlo a tocchetti.
Pelare i pomodori e tritarli.
Pulire l’aglio. In un tegame con 3 cucchiai d’olio, fare rosolare l’aglio e l’alloro, unire il polpo e farlo insaporire per qualche istante, bagnarlo con 1 bicchiere di vino bianco, fare evaporare, aggiungere ½ lt di acqua e continuare la cottura a tegame coperto per 45 minuti.
Scolare i ceci dall’acqua di cottura. Passarne 200 gr al passaverdura e unire la purea al polpo con il rimanente dei ceci, aggiungere 1 cucchiaino di timo, 1 di rosmarino e 1 di salvia, lavati e tritati finemente. Unire anche i pomodori tritati. Portare a ebollizione tutto il contenuto del tegame, mescolando delicatamente e se la zuppa risultasse troppo densa, aggiungere un po’ di acqua calda.  Unire una spolverata di peperoncino e regolare di sale. Fare sobbollire per 15 minuti.
Servire la zuppa caldissima.

Dentice al forno con Burro all'acciuga
Per 6 persone

1 dentice del peso di 1,200 kg, pangrattato, 100 gr di burro, 1 ciuffo di prezzemolo, ½ spicchio d’aglio, 100 gr di acciughe sotto sale, olio, sale, pepe.

Pulite le acciughe, privandole della coda e della lisca, tritatele.
Tritate finemente l’aglio e il prezzemolo pulito e lavato.
Fate ammorbidire il burro a temperatura ambiente, impastatelo con le acciughe e il trito di prezzemolo e aglio, mettete tutto su una carta stagnola, arrotolate in modo da ottenere un cilindretto e riponete in frigorifero.
Pulite il dentice, togliete le branchie, evisceratelo, lasciando testa e coda. Lavatelo e asciugatelo. Adagiatelo in una pirofila leggermente unta di olio, spolverizzatelo con il pangrattato, salatelo e pepatelo, irroratelo con olio, fatelo cuocere in forno preriscaldato a 200° per circa 20 minuti.

Adagiate il pesce su un piatto da portata e servitelo con il burro d’acciuga, privato della stagnola, tagliato a rondelle accomodate in una ciotolina.

Lo Sapevate Che: Il Diario di Anne Frank diventa un Graphic Novel...

Anne Frank non voleva diventare un esempio per nessuno. Desiderava come Virginia Woolf, una stanza tutta per sé dove poter scrivere in pace. E poi, come tutti, sperava di incontrare qualcuno che la comprendesse fino in fondo. Ha trovato invece l’odio cieco e mostruoso della macchina di sterminio nazista. Ma, grazie al padre Otto, unico sopravvissuto alla deportazione della famiglia Frank, ci sono arrivati i suoi scritti e i suoi diari. Come il quaderno rosso a scacchi, ricevuto per il tredicesimo compleanno, in cui all’inizio Anne descrive i caratteri delle compagne di classe e dei ragazzi che la corteggiano. Il diario diventa presto il luogo dei suoi esercizi da scrittrice. Nei giorni in cui si nasconde con la famiglia nell’alloggio segreto al 263 di Prinsengracht ad Amsterdam, consapevole dei pericoli che ci sono fuori, riesce a resistere grazie all’immaginazione. Ed è proprio l’immaginazione la caratteristica esaltata dallo sceneggiatore e regista Ari Folman (autore di Valzer con Bashir) e dall’illustratore David Polonsky nel graphic novel di 150 pagine tratto dal Diario di Anne Frank, tradotto d Laura Pignatti e Elisabetta Spediacci (..). Anne è una ragazza intelligentissima in cattività. Si sente incompresa dai suoi e prova una forte antipatia per la famiglia Van Pels e il dentista Fritz Pfeffer con cui è costretta a dividere la stanza nell’alloggio. Più tardi si invaghisce del coetaneo Peter Van Pels, che all’inizio considerava noioso e ipocondriaco. Ha una passione per la mitologia greca e per le riviste di cinema. I momenti in cui è davvero felice sono quelli in cui può sedersi a leggere, pensare, scrivere. “Questa formidabile tredicenne dimostra sul campo che la vera libertà è quella interiore. Anche se rinchiusa sottochiave non rinuncia a esprimersi e, nell’attivazione di tutte le energie creative, prende sulle sue spalle il peso della generazione a cui appartiene” scrive Eraldo Affinati nella prefazione all’edizione del Diario curata da Mirjam Pressier e tradotta da Laura Pignatti che sarà invece in edicola con Repubblica il 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria, a 8,90 euro, oltre al prezzo del giornale. Il Diario di Anne, come ogni testo che diventa un classico, ha sempre qualcosa di nuovo da dire. Perché, se la Shoah è memoria. le persecuzioni restano, con migliaia di persone costrette a fuggire dalla loro terra per sopravvivere. E il Diario parla anche di loro.

(valentina della seta) – Venerdì di La Repubblica -19 gennaio 2018 -

giovedì 25 gennaio 2018

Speciale: Menù Vegetariano!...

Zuppa con Cavolfiore bianco, Broccoli e Menta
Per 4 persone

350 gr di broccoli, ½ cavolfiore bianco, ½ kg di patate, un litro e mezzo di brodo vegetale (anche fatto col dado vegetale), 1 tuorlo d’uovo, 1 bicchiere di panna da cucina, peperoncino rosso in polvere (facoltativo), qualche foglia di menta fresca, olio evo, sale. Crostoni di pane abbrustoliti per servire.

Lavare il broccolo e il broccolo e ridurli a cimette.
Pelare le patate e ridurle a dadini. In una pentola con 4 cucchiai d’olio, fare rosolare le cimette di broccolo e cavolfiore.
Aggiungere il brodo di verdura caldo e i tocchettini di patate. Fare cuocere a fiamma dolce, una volta raggiunta l’ebollizione per 25 minuti. Togliere la pentola dal fuoco. Amalgamare il tuorlo d’uovo con la panna e unire alla minestra, mescolando delicatamente. Insaporire con peperoncino e cospargere la superficie con le foglioline di menta spezzettate.
Servirla caldissima con i crostoni di pane.

Frittata di Uova e Cavolo verza al forno
Per 4-6 persone

1 cavolo di 1,5 kg, 1,5 dl di panna acida, 4 uova, 80 gr di parmigiano grattugiato, olio evo, sale, pepe.

Eliminare le foglie più esterne del cavolo e quelle rovinate. Tagliarlo in quattro parti. In una casseruola con abbondante acqua salata in ebollizione, farlo lessare per 10 minuti dal momento in cui inizia a bollire.
Scolare bene i pezzi di cavolo e con un coltello affilato ridurre tutto il cavolo a striscioline.
Preriscaldare il forno a 200°.
In una terrina capiente, lavorare le uova fin che risultino schiumose. Versare la panna acida, regolare di sale e pepe, unire il cavolo e amalgamare bene il tutto.
Ungere una pirofila rotonda di circa 25 cm di diametro con l’olio, versarvi il composto preparato, cospargere la superficie col parmigiano grattugiato. Mettere nel forno preriscaldato per 20 minuti, finché risulti dorata. Servirla caldissima. Deliziosa…

Speciali Crepes con marmellata di Fichi
Per 4 persone

Per le crepes:
3 uova, 180 gr di farina semintegrale di frumento, 60 gr di zucchero integrale di canna, ½ lt di latte, un bicchierino di rum. 40 gr di burro, 2 cucchiai di olio evo, un pizzico di sale.

Per farcire: marmellata di fichi, q.b.

Per decorare: 40 gr di scaglie di mandorle.

In una terrina mettete le uova e lavoratele con una frusta, aggiungete lo zucchero, il pizzico di sale e il latte (non di frigo) versato a filo. Amalgamare bene tutti gli ingredienti, in modo da ottenere un impasto omogeneo, privo di grumi. Lasciarlo riposare, coprendo la terrina con pellicola, per un’ora circa.
Trascorso il tempo, unire al composto il burro sciolto a bagnomaria e aromatizzato con il bicchierino di rum.
Mettere i due cucchiai di olio in un piattino e bagnando una salviettina di carta (che servirà sino alla fine della preparazione) ungete con questo il fondo di un padellino antiaderente di 15 cm di diametro. Ponetela sul fuoco e quando la superficie è ben calda, versatevi un mestolino di pastella sufficiente a coprirne il fondo. Scuotere affinché la crepe non attacchi e, quando è dorata, capovolgerla con un colpo deciso, e completarne la cottura anche dal secondo lato. Ripetere l’operazione sino a fine della pastella. Tenere le crepes in forno a 50° per mantenerle calde.
Infine spalmarle con un abbondante strato di marmellata di fichi, ripiegatele in due e poi ancora in due, in modo che alla fine risulti la forma di un triangolino.

Pennellare la superficie con un velo di marmellata e decorare con le scagliette di mandorle. Deliziose…