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lunedì 18 maggio 2015

Lo Sapevate Che: Gli amanti non possono bastare a se stessi...



Quando lei scrive, in risposta a un lettore sulla questione del “poliamore”, che alla scelta, oggi, si sostituisce la revocabilità di tutte le scelte come forma di libertà, la seguo. Però non trovo giusto affermare che questo peregrinare tra relazioni non ci consenta “di costruire e riconoscerci in una propria biografia”. Non ritengo infatti l’irrevocabilità di una scelta di coppia l’unico racconto possibile dela vita di un uomo o di una donna. Mi pare anzi che la letteratura abbia ampiamente dimostrato come i personaggi più interessanti siano quelli che sfuggono  a questa legge. Chissà come mai i romanzi vanno in una direzione diversa dalla vita “comme il faut” secondo il Moralizzatore di turno, sia esso la Chiesa, lo Psichiatra o il Filosofo.
Marialaura Carcano – pulpito12@gmail.com
Se lei per “biografia” intende la “vita, è ovvio che tutti hanno una biografia, anche quelli che revocano tutte le scelte che hanno fatto e poi revocano persino la scelta di revocarle. Se poi limita la revocabilità delle scelte alla scelta di coppia, toglie dal gioco tutte le altre scelte a cui siamo “costretti” nel nostro tempo, in cui, rotti tutti i legami tradizionali di parentela, di classe di usi e costumi locali, ciascuno si trova a gestire la propria esistenza in un abbondanza infinita di scelte. E non possiamo escludere che proprio questo sia alla base del senso di insoddisfazione dell’uomo d’oggi, se è vero che, a scelta avvenuta, c’è sempre e comunque il dubbio che potesse essercene una più vantaggiosa, così che revochiamo la precedente e poi quella successiva, all’infinito. In questo senso, io dicevo, non si costruisce alcuna biografia, la nostra identità o non si costituisce o, se già costituita, va continuamente in crisi. In secondo luogo, se ogni scelta è revocabile togliamo ogni significato alla parola “scelta”, perché non possiamo considerare davvero tale una decisione che non comporta alcuna conseguenza di rilievo. Il fatto che nessuna scelta sembri precluderne un’altra mi pare rientri perfettamente nella cultura del consumo del nostro tempo, dove, al pari di tutti i prodotti che per i nostri bisogni del momento possiamo scegliere, anche la nostra identità può essere indossata e poi dismessa come un abito. (..). Quando si assume il proprio “sentire” come criterio di scelta si regredisce al livello infantile che Freud ha descritto come regolato dal principio del piacere, dove il bambino è attento solo ai propri bisogni e ai propri desideri, senza alcuna capacità di misurare se stesso in rapporto con gli altri. Ciò comporta una visione del mondo del tutto sganciata dal principio di realtà a cui da adulti si dovrebbe pervenire, con la conseguente percezione del mondo come un riflesso dei propri desideri, che, se inappagati, determinano un ricorso ad altre scelte per evitare la delusione e la frustrazione della meta non raggiunta. Nasce da qui quella cultura narcisista a sfondo edonistico che tende alla realizzazione individuale, che non tiene assolutamente conto dell’appartenenza dell’individuo a quel più ampio sistema sociale nel quale quel “mai io sento così” deve misurarsi con quello che “sentono gli altri”. (..) Rinunciare a priori a impegni a lungo termine o a coinvolgimenti affettivi che non si riducano al tempo breve della passione – che si chiama “passione” perché, quando ne è posseduto, l’Io non è padrone di sé, ma “patisce” la fascinazione dell’altro e quindi è nelle mani dell’altro -, concentrarsi sul presente senza memoria del proprio passato e senza progetto per il futuro, significa costruire una vita fatta di scelte, di atti, di eventi isolati, ma non una “biografia”, perché la biografia è un opera che è riconoscibile perchè ha una sua struttura, un suo disegno, una sua narrativa, una sua storia, la cui trama non è di continuo interrotta da scelte fatte sul momento nelle direzioni più attraenti del momento, perché in quel momento “io sento così”.
umberogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica - 16 maggio 2015

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