L’anziano avventore del
bar del Gianicolo dove vado a fare colazione è davvero scandalizzato dalla
notizia di questi giovani sfaticati che in tempi di crisi dura hanno rifiutato
uno stipendio di 1.300 euro per lavorare all’Expo. Mi chiede sconsolato come
andremo a finire. Malissimo, provo a spiegargli perché ormai la guerra dei clic su internet ha
distrutto il giornalismo serio. La notizia è una bufala, una delle tante in rete
che hanno successo perché confermano i luoghi comuni diffusi, e quindi arrivano
subito ai telegiornali e sono commentate al volo dai moralisti un tanto al
chilo. Aldo Grasso per esempio. Prima che si capisca che, appunto, si tratta di
bufale. Contratti alla mano, i giovani sfaticati e choosy hanno poi dimostrato che il compenso offerto per sei mesi
all’Expo era di 500 euro al mese, compresi sabati e domeniche, senza vitto e
senza abbonamento ai mezzi pubblici per arrivare sul posto di lavoro, e quindi
hanno rinunciato in realtà a un guadagno di circa 150 euro, che diviso trenta
fa 5 euro al giorno, molto meno del salario minimo orario in Germania (8,5
euro).All’anziano avventore, come ai moralisti e a un sacco di gente, piace
però credere che i giovani italiani siano disoccupati per mancanza di voglia di
lavorare. E’ dunque perfettamente inutile controbattere con dati seri, citare
magari il fatto che l’Italia è uno dei Paesi più condannati per il precariato
giovanile, in violazione delle norme, dalle corti di giustizia europee. Tutte
storie. Il problema dei giovani in Italia è al contrario che sono troppo poco
schizzinosi. Accettano lavori pessimi, contratti irregolari, stipendi da fame,
non pretendono di fare un lavoro adeguato al livello di studio. In un divertente
film, Smetto quando voglio, i giovani
si presentano agli annunci simulando un eloquio sgrammaticato per non farsi
scoprire laureati. Ma se una nazione ricca e in teoria moderna come l’Italia
non riesce a dare lavoro neppure ai pochissimi laureati che produce, il
problema non è loro, ma di tutti noi. Significa che abbiamo una struttura
industriale vecchia e logora e che nella competizione globale, dove la
conoscenza è la prima ricchezza, siamo destinati a finire ai margini. Un Paese
che forma ricercatori, medici, ingegneri ed economisti per mandarli a lavorare
all’estero e offre agli altri soltanto lavoretti fieristici, come hostess o
centralinisti dei call center, è già finito. Forse sarebbe il caso di discutere
di questo invece di aspettarsi una ripresina autunnale grazie al prezzo del
petrolio, o il cambio col dollaro. Una ripresina che certo non i restituirà il
25 per cento della produzione industriale scomparsa negli ultimi sette anni.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 1 maggio
2015
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