Nell’anno 2015, ogni
giorno migliaia di profughi affrontano il mare del canale di Sicilia nelle
condizioni più disperate. Vengono da Paesi in guerra coma la Siria, il Sudan,
la Somalia, l’Eritrea, la Libia. Ogni giorno, da anni, le cronache riferiscono
di barconi affondati, di naufraghi, di morti collettive, di cimiteri marini. L’Europa verso cui i
rifugiati cercano riparo non li accoglie volentieri; anzi, cerca di
respingerli. L’opinione pubblica, con grande riluttanza, sta discutendo in
queste settimane di “quote” di profughi da accogliere, Paese per Paese,
incontrando moltissime resistenze. Questo ricorda la situazione che si verificò
in Europa alla fine degli anni Trenta. Le leggi razziali di Hitler avevano
privato dei diritti politici gli ebrei di Germania, Austria e Cecoslovacchia.
Circa mezzo milione di ebrei europei cercavano un Paese in cui rifugiarsi. Per
iniziativa del presidente americano Roosevelt, nel luglio del 1938 si tenne ad
Evian, in Francia una conferenza per favorire il rifugio degli ebrei. Ma nessun
Paese, con diverse motivazioni, accettò di accoglierli. Solo la Repubblica
Dominicana del dittatore Trujillo ne accettò alcune centinaia, cui destinò
dieimila ettari di terra. Hiltler si sentì confortato dai deludenti risultati
di quella conferenza nel programmare lo sterminio degli ebrei europei. Nel
1986, Primo Levi, il testimone dei lager, scrisse un saggio di riflessione,
sull’universo, concentrazionario, che intitolò I sommersi e i salvati.
Levi poneva il problema della narrazione della storia, e di come questa fosse –
tragicamente – affidata ai soli salvati, sopravvissuti. Dato che oggi, in
circostanze non paragonabili, ma in qualche modo simili, migliaia di persone muoiono
annegate, ovvero letteralmente “sommerse”, un contributo alla formazione delle
nostre coscienze può venire dalla riproposizione di un passo del libro di Levi.
“Non siamo noi i superstiti, i testimoni veri. Noi sopravvissuti siamo una
minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o
abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la
Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto; ma sono loro, i
sommersi, i testimoni integrali, coloro la cui disposizione avrebbe avuto
significato integrale. (..). Noi toccati dalla sorte abbiamo cercato, con
maggiore o minore sapienza, di raccontare non solo il nostro destino, ma anche
quello degli altri, dei sommersi, appunto; ma è stato un discorso per conto di
terzi, il racconto di cose viste da vicino, non sperimentate in proprio. La
demolizione condotta a termine, l’opera compiuta non l’ha raccontata nessuno
come nessuno è tornato mai a raccontare la propria morte. I sommersi, anche se
avessero avuto carta e penna, non avrebbero testimoniato, perché la loro morte
era cominciata prima di quella corporale”
Enrico Deaglio – Annali – Il Venerdì di Repubblica – 22
maggio 2015
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