“Tale è la norma che agli uomini impose il figlio di Kronus /
ai pesci e alle fiere e agli uccelli alati / di mangiarsi fra loro, perché fra
loro giustizia non c’è; / ma agli uomini diede giustizia che è molto migliore”.
Il primo a operare una netta distinzione fra l’umano e l’animale fu Esodo. Fu
lui a cantare la decisione di Zeus, figlio di Kronos, che offrendo giustizia
agli uomini li separò dal resto dei viventi. Empedocle e i Pitagorici sembrarono
in disaccordo, benché i loro precetti vegetariani fossero dovuti più che altro
al timore che l’animale contenesse una reincarnazione umana. Platone apparve
per certi versi drastico, per altri comunque attento alle possibili facoltà
intellettive dei non umani. Ma la vera e propria riflessione degli antichi
sugli animali, sulle loro capacità intellettive e la loro anima, cominciò a
pieno titolo cin Aristotele, il filosofo che distinse gli animali dotati di
Logos, ossia di facoltà linguistiche, da coloro che non ne sono dotati.
Ripercorrere questa storia un formidabile libro intitolato L’anima degli
animali, Aristotele, frammenti stoici, Plutarco, Porfirio(..) il volume ci
racconta come tentennò il discepolo di Platone di fronte a certe capacità
percettive e mentali degli animali, raccontando la storia di un cammello e di
un cavallo che dopo essere stati spinti ad accoppiarsi con le rispettive madri,
scelsero il primo la vendetta contro il cammelliere e il secondo il suicidio.
Gli Stoici però respinsero queste titubanze: considerarono tutti gli animali
strutturalmente privi di logos, incapaci di ragionare e parlare e dunque di
stilare contratti diventando soggetti etici e giuridici come vorrebbero i
movimenti animalisti dei nostri anni. Rispetto e benevolenza sarebbero arrivati
secoli dopo con Plutarco e Porfirio. Entrambi manifestano una compassione per
gli animali in quanto animali (non per gli animali in quanto umani reincarnati
come era stato per Pitagora e Empedocle). La dicotomia anima/corpo, materi
/spirito avrebbe però continuato a costituire una rigida linea di separazione
fra l’umano e l’animale, una costante del pensiero fino ai nostri tempi.
Matteo Nucci – Cultura – Il Venerdì di Repubblica – 8 maggio
2015
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