La Repubblica Di Renzi nasce gioiosamente contraddittoria. Con le piazze affollate
e le aule del Parlamento semivuote. Con Milano ostaggio della violenza
inconcludente e fascistizzante dei black bloc; con Milano orgogliosa di sé, del
suo senso civico, pronta a ripulire in silenzio e con sacrificio i danni
altrui. “Maggioranza silenziosa”, secondo una definizione in voga negli anni
’70, assimilabile alla destra, come ha rievocato Stefano Folli su “Repubblica”.
Oggi di segno diverso. Molto diverso. A cui va il plauso del premier-segretario
del Pd: volontari della solidarietà contrapposti ai professionisti dello
sfascio. Ma La Contraddittorietà della nascente Terza Repubblica
incrocia altre piazze ancora. Quelle affollate di insegnanti in sciopero contro
la “buona scuola”. Doveva essere la riforma “di sinistra” destinata a
compattare famiglie, alunni e docenti in un progetto di società fondata sul
merito: qualità dell’insegnamento, buone pratiche, valorizzazione dell’impegno
(chi frequenta le scuole italiane sa quanti prof si dannano l’anima per tenere
in piedi la baracca pubblica). Ma innanzitutto la riforma è stata concepita
come un persuasivo spot elettorale pro-governo in vista delle elezioni di fine
mese in sette regioni e in centinaia di comuni piccole e grandi. I centomila
precari da stabilizzare – un numero di assunzioni che non ha pari negli ultimi
25 anni – sono una conquista. Innegabile. C’è poco da ironizzare o minimizzare.
Intervento popolare, nel senso più ampio della parola, così come furono gli 80
euro concessi ai redditi bassi l’anno scorso alla vigilia di altre elezioni,
quelle europee del mitico 40,8 per cento conquistato dal partito di Renzi.(..).
Appena Un Anno Fa docenti e personale tecnico-amministrativo hanno contribuito
all’insperato bottino elettorale del Pd, indiretta legittimazione per un
premier non votato dagli italiani. Intorno alla scuola dunque si sta consumando
la prima vera crisi sociale e di rappresentanza di questo governo. Coincide con
l’approvazione dell’Italicum, marcia trionfale di un leader figlio legittimo
della dissipazione del patrimonio di famiglia della sinistra post-novecentesca
(..). Siamo entrati tutti insieme, piaccia o meno, in un’altra era politica,
post-qualcosa che non ha mai preso corpo. E’ il renzismo di lotta e di potere,
cortigiano e spregiudicato (..). Capace di manovre politiche, di disarticolare
gli avversari, di instaurare un rapporto diretto con il “suo” popolo.(..).
Marco Damilano nella sua inchiesta anticipa una prossima mossa, quella di cambiare
nome al partito. Era nell’aria. Ma non si chiamerà Partito della Nazione che fa
troppo centro, se non addirittura destra. Sarà invece: Democratici.
All’americana. Contenitore ampio, con una strizzatina d’occhio a Romano Prodi e
Walter Veltroni; simbologia di sinistra per un partito da rimodellare a
immagine e somiglianza del Leader. Capita sempre più spesso nelle democrazie
occidentali: la leadership prevale sulla struttura organizzativa e sulle
nomenclature di apparato. Ma La Contraddittorietà della repubblica renziana è proprio
qui: fatto l’Italicum quando si affronteranno le riforme che stanno a cuore
agli italiani? Non ci sono più alibi. Né numeri da dare (..). L’economia,
quella vera, sarà il banco di prova del consenso popolare.
Luigi Vicinanza - Editoriale www.lespresso.it
- @vicinanzal – 14 maggio 2015
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