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mercoledì 13 maggio 2015

Lo Sapevate Che: E il Grande Venditore capì che era giunta l'ora di mettere in saldo l'impero...



Tra cessioni, disimpegni e dismissioni, il 2015 pare diventare l’anno del tramonto dell’impero Fininvest, l’ultimo caso di “italianità fallimentare”, ma sicuramente il più bizzarro. Pensate: un palazzinaro costruisce una potenza mediatica: questa produce un partito politico che si impone in Italia per vent’anni, involgarendone il carattere e procurandole danni notevoli, fino a quando una coincidenza di sentenze, patologie sessuali del fondatore e allarme internazionale provocano il crollo del castello di carte. In vendita oggi sono la gloriosa squadra di calcio, la mitica televisione, lo strepitoso partito politico, i giornali, le assicurazioni, le ville, gli intellettuali. Più che vendite, sono saldi. Ci sono degli insegnamenti da trarre da questa storia? Ci si può provare. La Fininvest nacque nel 1978 con capitali talmente misteriosi da richiedere ben 38 (!) holding, maneggiate da Cesare Previti e Marcello Dell’Utri, carismatici soci fondatori. A quanto dicono le sentenze, tra i generosi finanziatori, diversi bei nomi di Cosa Nostra, finiti poi ammazzati. Dieci anni dopo, Fininvest era il terzo gruppo finanziario italiano, dopo Fiat e Ferruzzi, ma talmente indebitata da rischiare la bancarotta o peggio. La vittoria elettorale di Berlusconi del 1994 rese però le banche molto comprensive e la magistratura molto prudente nei suoi riguardi. Consob, Confindustria, Guardia di Finanza, Antitrust furono altrettanto simpatetiche. gli oppositori politici? Ne erano più ammirati che spaventati. In campo televisivo (il suo maggior asset) Fininvest si trovò poi senza avversari, perché Berlusconi controllava anche la concorrente Rai. Con tale consenso, com’è stato possibile, allora, che Fininvest non sia diventata la Fiat del 2000? Perché  non ha creato quel milione di posti di lavoro a cui la gente aveva creduto? Provo a dire due ragioni: La prima: Fininvest e Berlusconi non avevano la minima idea su come far prosperare un Paese, né alcuna visione sociale. se non quella fretta dei faccendieri e dei prepotenti. La seconda: Fininvest è stata un fenomeno italiano, incapace di avere il minimo successo fuori dai confini nazionali. Il prodotto che ha offerto andava bene per noi, che siamo di bocca buona, ed era confezionato principalmente per vincere le elezioni politiche. In particolare il cortocircuito televisione-politica è stato letale, perché ha bloccato la televisione italiana, impedito la sua innovazione; e quella privata ha contribuito a trascinare nello sciacquone anche quella pubblica, che peraltro non chiedeva di meglio. Però, appena il mondo ha potuto entrare nella “casa degli italiani” con l’Europa, con i laptop, gli iPhone, i satelliti, la pay, la futura Netflix, anche noi ci si è cominciati timidamente a chiedere se davvero Emilio Fede, Sgarbi, Mughini, la Santanché fossero indispensabili. E fu così che, con l’acume del vero imprenditore, Berlusconi decise di vendere tutto. E di fare in fretta, prima che si venisse a sapere il vero valore della baracca.
Enrico Deaglio – Annali – Il Venerdì di Repubblica – 8 maggio 2015 -

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