Etichette

venerdì 31 agosto 2018

Lo Sapevate Che: Lo yoga serve (anche) a capire gi altri...


Quando, Finita L’Università, trovai il mio primo lavoro retribuito, mi sentii ricchissima. A darmi quell’illusorio senso di opulenza non era l’ammontare del salario, in verità piuttosto esiguo, ma la vertigine di emancipazione che mi provocava. In quel periodo ero molto munifica: facevo regali grandiosi a parenti e amici perché la condivisione del mio benessere era i miglior modo per dargli un senso. Così, per il suo compleanno, regalai a mio padre tre giorni a Lisbona da trascorrere esclusivamente con me. Da figlia perdutamente innamorata quale ero, avevo regalato anche a me stessa la felicità di una vacanza solo nostra. Conservo memorie bellissime di quella parentesi portoghese e in particolare una cena in un locale affollato. Lui e io, seduti a un tavolino al centro della sala, passammo la serata a osservare i clienti intorno e a immaginare per loro storie, relazioni, conversazioni e vite. Scoprimmo di avere la stessa curiosità nei confronti degli estranei e lo stesso bisogno di riconoscerli e di riconoscerci. “Sei proprio una pettegola”, mi prendeva in giro. Ma io sapevo che, se veramente potevo dirmi tale, era merito o colpa sua. Anche ora che lui non è più qui a guardare il mondo con me, osservo il prossimo con il medesimo interesse che si fa fascinazione quando, come accade a Lisbona, mi trovo in luoghi distanti, e i miei simili mi paiono meno simili. Nella città di A in Massachusetts, dove ho passato l’estate, mi sono iscritta alla scuola di yoga. L’ho fatto per continuare a praticare una disciplina che mi suscita stupore, perplessità, dipendenza, ma soprattutto per interesse antropologico, perché poche attività come lo yoga attirano personaggi curiosi, meritevoli di scrupolosa osservazione e spesso portatori di follie e meraviglie. Così, armata dei miei piedi scalzi e della mia natura pettegola, per un mese e mezzo ho srotolato quotidianamente il materassino al centro della grande sala, preferibilmente in anticipo rispetto all’orario delle lezioni per osservare l’ingresso dei miei compagni. Guardavo o, quando il contorsionismo richiesto dalle posizioni non me lo consentiva, ascoltavo. So che nello yoga bisogna cercare se stessi, ma io ho spiato i mio prossimo. Ed è stato bellissimo. Se chiudo gli occhi, ritrovo la sublime carrellata di personaggi che mi hanno accompagnata in quel memorabile viaggio, e che rappresentano paradigmi umani in cui specchiarsi. In prima fila c’era il cocco della maestra o come lo chiamano gli anglofoni, il teacher’s pet, un signore in canottiera bianca che pendeva dalle labbra dell’insegnante e tentava con ogni mezzo di farsi notare. Non potendo sedurla con le armi della fluidità, lo faceva   la perversa condivisione dei propri problemi di schiena. In un angolo strategico, studiato probabilmente ad arte affinchè i suoni emessi riverberassero in ogni lato della stanza, si collocava l’ansimante, che per ogni asana regalava alla platea un ambiguo mugolare. La nevrotica, o controll freak, gestiva la disposizione dei tappeti sul pavimento, esasperata dalla mancanza di armonia. La bravissima, od overachiiever, stava di solito nelle retrovie perché animata da yogica umiltà, ma da lì, invece di seguire le istruzioni, faceva spaccate, giravolte e piegamenti a testa in giù degne del circo. L’inserita anticipava le posizioni; la devastata, probabilmente madre di due gemelli piccoli, stava sdraiata nella posizione del cadavere per un’ora e mezza; il molesto correggeva il vicino; l’odiatore lanciava borsa contenente forse una pistola comprata al supermercato. Infine c’era la straniera pettegola, affascinata da quello spettacolo almeno quanto lo sarebbe stato il suo papà.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 25 agosto 2018 - 

giovedì 30 agosto 2018

Speciale: Oggi tutti dolci all'Uva!...


Panello Toscano all’Uva
Per 6 persone

500 gr di farina, 1 cubetto da 25 gr di lievito di birra, 1 cucchiaino di zucchero, un pizzico di sale, 3 cucchiai d’olio evo, acqua tiepida q.b. ; per la copertura 300 gr di uva nera, possibilmente con gli acini non molto grossi, 60 gr di zucchero semolato.

In una terrina versare la farina mescolata col sale a fontana:
In una ciotola stemperare il lievito in una tazzina d’acqua tiepida con lo zucchero. Versare nella fontana di farina e lavorare impastando bene, aggiungendo acqua tiepida necessaria sino ad ottenere un impasto elastico ed omogeneo. Coprire la terrina con un canovaccio e lasciar riposare per un’ora circa, sin che la massa sia raddoppiata.
Nel mentre staccare gli acini di uva dal raspo.
In un contenitore basso e largo mettere nel fondo su tutta la superficie lo zucchero e sopra versarvi i chicchi di uva prima lavati in un colino sotto l’acqua corrente e fatti scolare. Rotolare muovendo il contenitore i chicchi in modo che vengano ricoperti completamente dallo zucchero. Riprendere l’impasto.
Posare su di un piano di lavoro un foglio di carta forno che dovrà essere grande come la placca del vostro forno. Infarinarlo leggermente e appoggiarvi l’impasto stendendolo con l’aiuto di un mattarello ad un’altezza di circa 5 mm. Ricoprirlo con i chicchi d’uva: ogni chicchi verrà premuto leggermente nella pasta. Lo zucchero avanzato nel contenitore spargerlo su tutta la superficie del panello. Mettere la teglia in forno preriscaldato a 200° per circa 20 minuti. Togliere dal forno, far raffreddare leggermente e tagliare il panello a pezzi di circa 3cm per 5cm.
Sistemarli in un piatto da portata e servire subito. Si consiglia di accompagnare con un ottimo fiasco di vino Chianti! Buon appetito!

n.b. Può essere servito con l’aperitivo o a fine pasto come dessert.


Babà all’Uva in bellavista
Per 6 persone

250 gr di farina, 20 gr di lievito di birra, gr 220 di zucchero, 1 tazza di latte, gr 85 di burro, 3 uova, un pizzico di sale, pangrattato, la scorza di 1 limone grattugiata, ¼ di acqua, 4 bicchierini di Rum, un grappolo di uva bianca o frutta di stagione.

Mettete la farina in una terrina, unite il lievito sbriciolato e un cucchiaio di zucchero, poi diluite tutto con il latte tiepido. Impastate e lasciate riposare per 15 minuti. Aggiungete all’impasto 60 gr di burro fuso, le uova, un pizzico di sale, un altro cucchiaio di zucchero, la ½ scorza grattugiata del limone. Fate riposare per 10 minuti. Imburrate uno stampo con buco e passate il pangrattato scuotendolo leggermente per eliminarne l’eccesso. Versare l’impasto sino ad 1/3 dell’altezza e lasciarlo lievitare sino a quando avrà raggiunto il bordo dello stampo stesso. Infornate a forno preriscaldato a 200° per 40 minuti. Lasciate raffreddare e capovolgetelo sul piatto di portata.
Nel frattempo, fate bollire l’acqua con 150 gr di zucchero. Quando lo sciroppo risulterà liquido unite il resto della scorza di limone e il Rum. Disponete al centro del babà frutta di stagione a pezzi o chicchi d’uva e distribuite sopra il babà lo sciroppo al Rum, spalmandolo bene con un pennello. Una delizia!


Uva caramellata allo Yogurt
Per 6 persone

1 kg di uva rosata, 400 gr di yogurt denso, 40 gr di zucchero vanigliato, 100 gr di zucchero semolato, zucchero a velo, zenzero in polvere.

Lavate l’uva, asciugatela bene, quindi sgranatela e mettetela in una coppa di vetro in frigorifero.
Coprite la placca del forno con carta speciale per cottura, versatevi sopra lo zucchero semolato e stendetelo con un cucchiaio di legno in uno strato il più uniforme possibile, poi fatelo caramellare sotto il grill per qualche minuto.
Lasciate raffreddare il foglio di caramello, poi spezzettatelo in grosse schegge e mettetele da arte. Conservate anche i piccoli frammenti.
Mezz’ora prima di servire, mentre l’uva è fredda, incorporate allo yogurt lo zucchero a velo e i piccoli frammenti di caramello. Quindi versate la crema sull’uva e decorate con i pezzi di caramello grossi.


Uva brinata
Per 4 persone

300 gr di uva bianca, 100 gr di zucchero semolato, 1 albume d’uovo.

Lavare molto bene l’uva, scolarla, staccare gli acini con le forbici, lasciando attaccato ad ogni chicco un pezzettino di picciolo.
Asciugarli perfettamente su un canovaccio, con molta delicatezza. Spennellare gli acini con l’albume, sbattuto con una forchetta. Poi passarli nello zucchero avvoltolandoli in modo che ne siano ricoperti da tutte le parti.
Posarli sulla carta vegetale e lasciarli ben asciugare al fresco.


Qualche notizia sull’Uva e la sua proprietà…..

Fonte di preziose sostanze per l’organismo, succosa, profumata. Ha un alto contenuto di zuccheri facilmente assimilabili: glucosio e levulosio, vitamine: A, C, PP. Apporta numerosi acidi organici e sali minerali, tra i quali potassio, magnesio, ferro, silicio, cromo, acido fosforico. Ricca di polifenoli, potenti antiossidanti. I suoi semini, i vinaccioli, hanno un’alta percentuale di acidi grassi polinsaturi. Stimola la motilità intestinale, utile quindi alle persone che soffrono di stipsi. Le proprietà digestive e disintossicanti sono utili per il fegato, agevolato nel lavoro di depurazione, favorendo la digestione.
Essendo molto ricca di zuccheri, ne deve fare poco uso chi soffre di glicemia alta.
La lignina, contenuta nei semini, e le fibre della buccia possono provocare gonfiori, dolori addominali, diarrea, nelle persone che soffrono di colon irritabile. E’ sconsigliata a chi ha problemi di ulcera gastrica. In alternativa si può preparare il succo di uva fresco, che si ottiene schiacciando in un colino, o centrifugando gli acini.

Il vino, ottenuto dall’uva, contiene oltre l’alcol etilico, i polifenoli, sostanze naturali che prevengono l’invecchiamento precoce e ha un’azione protettiva dei tessuti. Si consiglia di berlo moderatamente, durante i pasti. Le sostanze contenute, Resveratrolo e Catechine, sono antiossidanti che rinforzano le pareti delle arterie, soprattutto delle coronarie e prevengono l’insorgenza dei tumori.

mercoledì 29 agosto 2018

Lo Sapevate Che: Pane e libri, così la vita ha senso....


All’alba del 19 agosto 1936 Federico Garcia Lorca venne prelevato da miliziani fascisti dalla cella della prefettura di Granada dove era stato rinchiuso. Lo fucileranno lungo la strada che va da Viznar a Alfacar. Il motivo ufficiale: “Socialista, massone, praticava omosessualità e altre aberrazioni”. Quando perdo i punti di riferimento anche io pratico l’aberrazione della letteratura. Quando avverto a necessità di cercare la distanza per poi immergermi nel quotidiano con più lucidità, è alla letteratura che faccio ricorso. “Aberrazione” la chiamavano i fascisti spagnoli e “aberrazione” la definisco anche io, sottraendo tutto l’orrido significato moralista e riprendendo l’etimologia latina “ab errare”: spostarsi dalla via conosciuta. Provo a immaginare quando è iniziata la mia scelta di spostarmi dalle vie solite, quali i primi libri. Ebbene non sono stati i libri che ho scelto quelli che mi hanno cercato, reclamato da uno scaffale, dietro una vetrina (i lettori compulsivi sanno che sono i libri a sceglierti e raramente accade il contrario). Dicevo: i primi libri li ho ricevuti, ereditati. I primi libri che ricordo da bambino sono racconti e fiabe. Le raccolte di Gianni Rodari sono un’incredibile miniera per i bambini, per la forma che hanno, che è spesso forma perfetta. I testi brevi delle filastrocche e le loro rime appagano la ricerca di ordine e coerenza che nell’infanzia diventa quasi un’epifania. I racconti chiusi, brevi, mi hanno abituato ad andare fino in fondo, trovando nella brevità lo stimolo a portare a termine l’impresa. La prima cosa che ricordo nella lettura è la soddisfazione di finire un testo che, quando breve, mi evitava mortificazioni e scoramenti. L’approccio alla lettura per bambini deve essere una sorta di innamoramento: ci si deve innamorare della propria capacità di portare a termine una sfida che all’inizio può apparire titanica. Ricordo la mia passione per tre volumoni enormi di fiabe pubblicate da Einaudi. Fiabe italiane curate da Calvino, fiabe francesi curate da Perrault e fiabe russe curate da Afanas’ev. Le italiane mi raccontavano la nostra storia, quelle francesi avevo l’impressione di conoscerle da sempre. Ma le fiabe russe furono per me una scoperta incredibile; un mondo che si apriva alla mia fantasia, un mondo fatto di lucci dorati e magici pronti a esaudire desideri, di poveri Ivan (i nostri Giovannino) che facevano della loro ingenuità l’unica arma per affrontare il mondo. Queste fiabe funsero per me a giusto contraltare all’armonia offerta da Rodari. Erano racconti a volte cruenti, che parlavano di terribili ingiustizie e sanguinose punizioni, mi davano letture del mondo e dei rapporti di potere che a me sembravano irreali, ma che poi avrei riscoperto come rispecchiassero fedelmente il mondo in cui viviamo, un mondo che è sempre uguale a se stesso. La strada che mi ha portato a dipendere dalla lettura, come gli esseri viventi dipendono da aria, acqua e cibo, è lastricata di libri trovati per caso, di storie impostemi negli anni di scuola, di libri con copertine poco affascinanti, di pubblicazioni concepite per giovani lettori, ricche di note e aiuti all’interpretazione, strumenti che talvolta viviamo come un piccolo sopruso, ma che negli anni si trasformano nella malta che tiene insieme i nostri pensieri, le nostre opinioni. Passione per la lettura non è passione per l’erudizione: quello che i libri possono darci non lo danno per accumulo. La sospensione, dal flusso del quotidiano, l’aberrazione scandalosa del libro risiede nella capacità di avere aggiunto vita, alla vita, differente punto di osservazione, distanza e diottria, possibilità di aver capito ciò che prima rimbalzava solo sopra la cute. Garcia Lorca, inaugurando la biblioteca del suo paese- Fuente Vaqueros – descrisse la necessità quotidiana dei libri al di là del censo, del lavoro, del ruolo, dell’identità; la necessità del libro all’essere umano in quanto tale. E lo disse come nessuno aveva fatto sino ad allora. “Non di solo pane vive l’uomo. Io, se avessi fame e mi trovassi invalido in mezzo alla strada, non chiederei un pane; ma chiederei mezzo pane e un libro. (…) Libri, libri! È questa una parola magica, che equivale a dire: amore, amore! Una cosa che i popoli dovrebbero chiedere, così come chiedono il pane e come invocano la pioggia per i loro campi seminati”.

Roberto Saviano – L’Antitaliano – L’Espresso – 26 agosto 2018 -

lunedì 27 agosto 2018

Lo Sapevate Che: Che cos'è la verità?...


In Relazione all’Argomento che la scienza, a differenza della fede, non ha bisogno di testimonianza, lei sa meglio di me che i dati statistici possono essere manipolati e interpretati in base all’idea che si vuole dimostrare. Dato che gli scienziati costruiscono le loro verità in laboratorio, in quanto nella realtà entrano in gioco un’infinità di variabili che è impossibile prendere tutte in considerazione, le chiedo: c’è più verità nella testimonianza di chi ha fede o nella statistica delle probabilità della scienza?   mt256@libero.it 

Il Lettore Si riferisce a una lettera in cui si discuteva del valore della testimonianza, che è necessaria per chi professa una fede, mentre non lo è per chi sostiene una teoria scientifica, perché a differenza del contenuto di fede, la teoria scientifica poggia su prove, argomenti e sperimentazioni. Questa è anche la ragione per cui, come sostiene Karl Jaspers, Giordano Bruno non poteva ritrattare e sue teorie perché, non essendo dimostrate ma solo intuite e ipotizzate, necessitavano della sua testimonianza fino alla morte sul patibolo, mentre Galileo poteva ritrattarle, come appunto avvenne, perché, essendo le sue teorie dimostrate e sperimentate, esse stavano in piedi anche senza bisogno della testimonianza di chi le enunciava. Ma il lettore obietta che, dal momento che la scienza compie le sue sperimentazioni in laboratorio dove non intervengono tutte le variabili che caratterizzano i ondo della vita, non è il caso di porre la domanda che chiede: “C’è più verità nella testimonianza di chi ha fede o nella statistica delle probabilità della scienza?! La mia risposta è: in nessuna delle due. La fede crede perché non sa. Io non credo che due più due fa quattro perché lo so, ma credo ad esempio che Cristo è figlio di Dio perché credo nei Vangeli che lo attestano e perché credo che, leggendo quei Vangeli, intendo che il senso di ciò che è scritto corrisponde esattamente al senso che chi l’ha scritto intendeva affidare al suo testo. Vede quanti atti di fede sono richiesti per credere? Questa è la ragione per cui Tommaso d’Aquino nel De fide scrive che: “L'assenso fideistico non è determinato dalla cogitazione e non è promosso dall’evidenza del contenuto, ma da un fattore esterno, la volontà. (…) Per questo, a differenza della scienza espressa dalla ragione umana, la fede imprigiona l’intelletto trattenuto da termini estranei e non propri. Come dice Paolo la fede “riduce in schiavitù ogni intelletto, per cui l’intelletto è inquieto, anzi si sente in uno stato d’infermità e di grande timore e tremore” “. La fede quindi, come testimoniato dai testi su cui è costruita la teologa cattolica, non ha alcuna parentela con la verità. Ma neppure la scienza, sia pure per ragioni radicalmente diverse, può vantare una qualche parentela. La scienza, infatti, è un sapere oggettivante, valido per tutti, riproducibile ovunque, da chiunque con il medesimo risultato. Ma che significa “oggettivante”? Significa che la scienza non conosce la natura in sé, ma solo come appare quando è posta di fronte (questo significa ob-jectum) alle ipotesi che sono state anticipate per interpretarla, per cui la scienza non perviene a conclusioni “vere”, ma semplicemente a conclusione “esatte”, ossia ottenute (ex-actu) dalle ipotesi che sono state anticipate. Se cambiano queste ipotesi, come avviene ogni volta che assistiamo a un progresso scientifico, cambiano anche le conclusioni. Se ne deduce che la scienza non dice la verità, ma esprime unicamente un sapere ipotetico-deduttivo, ossia che dipende dalle ipotesi anticipate da cui si deducono delle conclusioni.  La verità nasce solo quando un’affermazione è in grado di negare tutte le sue negazioni. Se dico “Dio esiste” questa affermazione è un atto di fede. Diventa verità se sono in grado di invalidare tutte le possibili negazioni dell’esistenza di Dio. Impresa che mi pare abbastanza ardua. Ma anche se ci riuscissi, se in un domani, anche dopo secoli dalla mia morte, dovesse comparire un’argomentazione che nega l’esistenza di Dio torna ad essere un atto di fede. A questo allude l’espressione che definisce la verità figlia del tempo, perché nulla ne garantisce la validità eterna. Per questo Karl Jaspers apre il suo libro Della verità (Bompiani) con questa espressione: "Noi non viviamo immediatamente nell’essere, perciò la verità non è in nostro possesso definitivo. Noi viviamo nell’esserci temporale, perciò la verità è la nostra via”. Con questa risposta so di avere annoiato quanti non sono interessati a simili questioni, ma sarebbe bene, una volta tanto, che si smettesse di usare con trascuratezza e indifferenza parole come fede, scienza e verità che hanno degli statuti ben precisi che vale la pena di conoscere per evitare pensieri rozzi e pratiche discorsive confuse.
umbertogalimberti@repubit – Donna di La Repubblica – 18 agosto 2018 -

domenica 26 agosto 2018

Speciale: Di tutto un pò!...


Pomodorini a sorpresa
Per 4 persone

200 gr di pomodorini a ciliegia, 100 gr di ciliegine di mozzarella, 125 gr di olive nere snocciolate, 20 gr di filetti di acciuga sott’olio, 10 capperi, un pizzico di basilico tritato, olio, sale e pepe.

Lavare i pomodorini, asciugarli, privarli della calotta superiore, svuotarli delicatamente con un cucchiaino, cospargere l’interno con un pizzico di sale, capovolgerli e farli scolare per eliminare l’acqua di vegetazione per almeno 15 minuti.
Nel frattempo tritare finemente le olive nere con i capperi (oppure frullare), e i filetti di acciuga. Mettere il composto in una ciotolina, unire 2 cucchiai d’olio, un pizzico di sale e di pepe e mescolare sino ad ottenere una salsa omogenea. Farcire la metà dei pomodorini con la salsa preparata e quelli rimasti con le ciliegine di mozzarella, salate leggermente in superficie e cosparse di basilico tritato.

Pomodori guarniti
Per 4 persone

2 grossi pomodori, 5 zucchine, 1 vasetto di maionese, un cucchiaio di senape, olio, 2 grossi limoni, sale, pepe; per decorare olive nere e verdi, cetriolini sott’aceto, capperi, basilico.

Lavate le zucchine, scottatele leggermente in acqua salata, dividetele in due, e poi tagliatele a metà nel senso della lunghezza e scavatele della polpa con un cucchiaino. Lavate, asciugate e tagliate a metà i pomodori, svuotateli e irrorateli di olio, succo di limone, sale e pepe.
Tagliate a rondelle un limone e dividete poi le fette più grandi in 4 spicchi. Insaporite la maionese con la senape e un po’ di succo di limone. Distribuitela a ciuffetti nei pomodori, nelle zucchine e sopra gli spicchi di limone. Sistematele in un piatto da portata mettendo al centro i pomodori, e attorno alternare zucchine e fettine di limone. Guarnite con olive, fettine di cetriolo, capperi e foglie di basilico.

Polpettine di Maiale all'Uva
Per 6 persone

½ kg di polpa di maiale, trita, 16 chicchi di uva bianca grandi, senza semi, 1 spicchio d’aglio intero, 2 rametti di rosmarino, 2 foglie di salvia, ½ cucchiaino di semi di finocchio leggermente schiacciati, 120 gr di pangrattato, olio evo, sale, pepe nero.

In una terrina mettere la carne di maiale. Tritare l’aglio, la salvia e gli aghi di un rametto di rosmarino e unirli alla carne, unire anche i semi di finocchio. Regolare di sale e pepe. Lavare, asciugare accuratamente i chicchi d’uva, togliere la buccia e i semi ad ogni acino. Con le mani leggermente inumidite in una ciotola di acqua fredda, suddividere la carne in palline grosse come noci. Formare un incavo e al centro di ciascuna polpettina, collocarvi un acino d’uva. Richiudere la polpettina.
Tritare finemente gli aghi del rametto di rosmarino rimasto mescolandolo al pangrattato. Passare le polpettine ricoprendole uniformemente del pangrattato preparato.
In una padella con abbondante olio in ebollizione, friggere le polpettine per 7 minuti, poche alla volta, finché siano uniformemente dorate. Prelevarle con un mestolo forato e appoggiarle su carta assorbente da cucina a perdere il grasso in eccesso. Disporle in un piatto da portata e servirle calde.

Crostini Vegetariani
Per 4 persone

In una padella antiaderente cuocete 2 cipollotti, tritati grossolanamente e 400 gr. di zucchine affettate sottilmente, con 3 cucchiai di olio a fuoco vivo per 5 minuti; abbassate la fiamma, salate, pepate, unite un cucchiaino di prezzemolo tritato, copritele e cuocetele ancora per 15 minuti.
Trasferite quindi le zucchine nel mixer e frullatele con delle foglie di basilico, 50 gr. di robiola, sale e pepe, fino ad ottenere una crema omogenea. Tostate 4 fette di pane tipo Altamura, dello spessore di circa 1,5 m., poi ricavatene dei crostini quadrati di circa cm. di lato. Spalmateli con la crema di zucchine e guarniteli con germogli di crescione e di rafano (15 ciascuno), privandoli delle radichette. Distribuitevi sopra del pepe rosa pestato grossolanamente. Deliziosi!

Deliziosa Torta salata di Pere
Per 8 persone

1 confezione di pasta sfoglia fresca rotonda, 150 gr di formaggio scamorza fresca, 4 pere morbide, 50 gr di pinoli, 2 cucchiai di senape in granuli, 2 dl di panna fresca, 1 uovo e 1 tuorlo, 50 gr di burro, farina, timo, sale, pepe nero in grani.

Togliere la crosta al formaggio e farlo a pezzetti.
Lavare le pere, sbucciarle, tagliarle a spicchi medi e farli rosolare in una padella con 40 gr di burro ben caldo, unendo un cucchiaino di timo.
In una scodella battere l’uovo e il tuorlo, unire la panna, un pizzico di sale e una macinata di pepe.
Imburrare e infarinare una pirofila rotonda con la pasta sfoglia, bucarne il fondo con i rebbi di una forchetta. Riempire la sfoglia con gli spicchi di pera e i pezzetti di formaggio, alternandoli fra di loro. Versarvi sopra la crema di uova e panna. Fare cuocere in forno a 180° per 40 minuti. Poco prima di togliere la torta dal forno, spennellare le pere con la senape e finire di cuocere.
Cospargere la torta, intiepidita, con i pinoli tostati in una padella. Servire la torta tiepida. Deliziosa!

Torta con Prugne viola e Nocciole
Per 4 persone

60 gr di farina bianca 00, 100 gr di farina di nocciole, 60 gr di zucchero integrale, 2 uova intere, 1 cucchiaino di lievito in polvere vanigliato, 100 gr di burro, la scorza di un’arancia naturale grattugiata, 8 prugne viola sode ridotte a fettine, 12 nocciole sgusciate e tostate, un pizzico di sale. Cacao amaro e poca farina di mandorle per spolverare il dolce alla fine.

In una terrina mescolare le farine con il lievito e lo zucchero integrale. Quindi unire il burro ammorbidito, la scorza dell’arancia, le uova sbattute col sale. Mescolare a lungo gli ingredienti, lavorandoli sino ad ottenere un impasto compatto.
Foderare una pirofila con carta da forno (prima lavare e strizzare bene la carta così aderirà meglio alla pirofila), versarvi l’impasto sistemando in superficie le fettine di prugne e le nocciole. Fare cuocere in forno preriscaldato a 180° per 30 minuti. Servire la torta fredda, spolverandola con il cacao e la farina di mandorle. Una delizia!

sabato 25 agosto 2018

Lo Sapevate Che: Diplomazia e paura nel '68 a Praga...



Il più preoccupato dei due ambasciatori pensava ai missili con testate atomiche. Quelli americani puntati sulla Cecoslovacchia dove erano diretti. L’automobile scura correva sulla strada austriaca verso la frontiera cecoslovacca con la bandiera del grande paese occidentale dispiegata- Richiamati dai rispettivi governi i due ambasciatori avevano dovuto abbandonare in gran fretta le loro famiglie in vacanza. E avevano deciso di raggiungere Praga, da Vienna, sulla stessa automobile. Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 le truppe del Patto di Varsavia, quelle russe in testa, avevano invaso la Cecoslovacchia che da alcuni mesi viveva la Primavera, un tentativo di promuovere un comunismo democratico. Ero a bordo di quella automobile super diplomatica, battente bandiera occidentale, con a bordo i due ambasciatori. Il mio ruolo, fittizio, era quella di autista di riserva. Era il solo modo in quelle prime ore dell’invasione per raggiungere Praga, dove i carri armati sovietici occupavano già piazza Venceslao. I due ambasciatori mi avevano dato generosamente un passaggio, facendomi passare per un loro dipendente. I giornalisti in quella prima fase dell’invasione non erano graditi. Gustave, chiamerò così uno degli ambasciatori, parlava della famiglia lasciata su una spiaggia mediterranea. “Ci siamo salutati in fretta con mia moglie. Il dovere lasciava poco tempo”. Salvatore, chiamerò così l’altro ambasciatore, aveva lasciato i suoi sulle Alpi. “Un bacio di fretta e via di corsa”. Raccontati i momenti della partenza precipitosa per Vienna, seguì un lungo silenzio. La strada era spesso bloccata dal traffico. Ma la nostra automobile nera si distingueva per la bandiera che incuriosiva o intimidiva. Io stavo impettito accanto all’autista in livrea. Non avevo neppure il cappello con la visiera. “Se ci fanno storie lo facciamo scendere”, disse Gustavo sottovoce a Salvatore indicandomi con un cenno della testa. Ma nessuno osò violare quell’automobile diplomatica. E io ascoltai per ore un dialogo che quel giorno di grande tensione internazionale non sembrava surreale, né grottesco come sembra oggi, e forse rifletteva in quel momento pensieri assai diffusi. Quanti credi che siano quelli puntati su Praga, Gustave? Non ne ho un’idea, ma devono essere tanti nel quadro della Nato. Americani?  Senz’altro, ma non soltanto. E molti con testate atomiche. Certo, la nostra destinazione non è delle più sicure. Può essere il primo obiettivo. Il quartiere di Malastrana, dove sono le nostre ambasciate, sulla strada del Castello, non può essere un obiettivo. È un celebre centro storico europeo. Caro Salvatore, in questa atmosfera con le truppe del Patto di Varsavia che avanzano in massa verso il confine con l’Occidente, gli obiettivi cambiano di valore. Non credi che Mosca abbia informato Washington? La diplomazia in queste ore dispone di un piccolo spazio di manovra. C’è il Viet Nam: i russi lasciano fare in Estremo Oriente e gli americani lasciano fare in Europa. Per fortuna le nostre famiglie sono al sicuro. L’Occidente non può restare passivo di fronte a un’azione di queste dimensioni. C’è il rischio di una guerra civile: Radio Praga continua a trasmettere notizie sulla riunione straordinaria del partito comunista cecoslovacco. Neppure tu, nella tua ambasciata, hai un rifugio sicuro. Nessuno ha mai pensato di crearne uno. Del resto non credo che i cecoslovacchi, sia pure per difendere la loro Primavera, siano pronti a puntare le armi contro i sovietici. Né i sovietici vogliono altri morti, oltre quelli che si contano finora. Più la conversazione avanzava e più i riferimenti a una minaccia atomica diventavano rari. Apparivano surreali. Le emozioni si raffreddavano. Ebbi l’impressione che i due ambasciatori si vergognassero di aver immaginato disastri nucleari. La notte insonne aveva contato. Arrivati al confine, i soldati cecoslovacchi salutarono la macchina che batteva bandiera occidentale. Dopo cinque chilometri incontrammo i primi carri armati sovietici. Vi furono alcuni momenti di incertezze, poi i carri armati si scostarono per lasciar passare la macchina diplomatica. Gustave disse a Salvatore che i missili della Nato si sarebbero comportati come i blindati dell’Armata rossa. Così arrivammo indisturbati a Praga dove su piazza Vinceslao, in quella drammatica giornata d’agosto del 1968 i carristi russi subivano gli insulti dei giovani di Praga. E gli ambasciatori erano ridiventati scettici come di solito uno immagina siano i diplomatici. È un innocente e drammatico ricordo di cinquant’anni fa.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 19 agosto 2018 -

venerdì 24 agosto 2018

Speciale: Il Pesce nel piatto!...


Pescatrice in crosta di Sale accompagnato da Salsina
Per 4 persone

1 kg di pescatrice, 5 chiodi di garofano, un pezzo di cannella, pepe nero in grani, semi di finocchio, noce moscata, zenzero in polvere, 2 kg di sale grosso marino, 2 albumi d’uovo, erba cipollina, olio, sale e pepe.

Tritate grossolanamente le spezie, tenendone da parte un cucchiaino e mescolate le altre al sale marino. Unite gli albumi, sbattuti leggermente e mescolate di nuovo. Lavate il pesce, privatelo della pelle esterna e della spina centrale.
Disponete le spezie tritate al centro, tra un filetto e l’altro.
Legate il pesce con refe da cucina.
In una pirofila grande, che possa contenere con abbondanza il pesce, sia in altezza che in larghezza e lunghezza, stendete uno strato di sale speziato, spesso un dito. Appoggiatevi al centro la pescatrice, ricoprendola con il sale residuo, pressandolo bene con le mani.
Mettete la pirofila in forno preriscaldato a 220° per 30 minuti.
Per la salsa che accompagnerà il pesce:
preparate una salsetta mescolando 8 cucchiai d’olio con un pizzico di sale, pepe e erba cipollina. Alla fine della cottura, aprite la crosta di sale e liberate il pesce.
Servitelo su un piatto di portata, affettato, ricoperto dalla salsina preparata.

Sarde al Pomodoro accompagnate da Piadine
Per 4 persone

1 kg di sardine, 500 gr di pomodori, 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio, un ciuffo di basilico, un po’ di prezzemolo, 1 bicchiere di vino bianco secco, 4 piadine sottili, olio, sale, pepe nero.

Pulite le sardine, eliminate testa e interiora, diliscatele, lavatele e asciugatele.
Sbucciate aglio e cipolla e tritateli insieme alle foglie di prezzemolo e fateli rosolare a fiamma dolce in un capiente tegame, con 3 cucchiai d’olio.
Lavate i pomodori, sbollentateli e pelateli. Tritateli grossolanamente, aggiungeteli al soffritto, salate e fate cuocere 10 minuti, mescolando di tanto in tanto. Unite le sardine, lasciate insaporire, bagnatele con il vino e proseguite la cottura per ¼ d’ora. Spezzettate le piadine e distribuitele su un grande piatto da portata. Versatevi sopra le sardine e irroratele con il loro sugo di cottura, profumate con foglie di basilico e una macinata di pepe. Servite. Deliziose!

Frittata di Acciughe alla Menta accompagnata da Insalata verde e Pomodori
Per 4 persone

400 gr di acciughe, 8 uova, 2 cipolle rosse, parmigiano grattugiato, 50 gr di burro, 2 rametti di menta fresca, pepe nero, sale.
Pulire le cipolle, affettarle finemente e farle appassire con 40 gr di burro in un tegame. Salare, pepare e lasciare raffreddare nel tegame.

Privare le acciughe della testa e della lisca, aprirle a libro, lavarle e asciugarle bene con carta da cucina.
Battete le uova in una terrina, unite un pizzico di sale e di pepe, due cucchiai di parmigiano grattugiato, la menta tritata e metà delle acciughe che avrete spezzettato. Ungete col burro residuo un largo tegame antiaderente, fatelo scaldare bene, poi versate il composto. Disponetevi sopra il resto delle alici, coprite il tegame con un coperchio e lasciate rassodare la frittata a fuoco moderato. Poi, aiutandovi con il coperchio, giratela e terminate la cottura. Servite accompagnando con insalata verde e pomodori.

Paella con Cicale di mare
Per 4 persone

800 gr di cicale di mare,2 cipolle, 2 pomodori, 3 bustine di zafferano, 4 spicchi di aglio, 350 gr di riso Carnaroli, brodo di pesce 1 lt. (oltre che col dado a gusto pesce può essere eseguito anche in casa, segue ricetta), 1 foglia di alloro, un ciuffetto di prezzemolo e di menta, olio evo, sale.

Pulire le cicale, togliendo il budellino nero, lavarle accuratamente sotto l’acqua corrente.  Farle friggere in una padella con olio evo in ebollizione per tre minuti, girandole con l’aiuto di una palettina. Sgocciolarle (tenere da parte il fondo di cottura) e tenerle da parte.
In un largo tegame con 3 cucchiai di fondo di cottura delle cicale, far dorare le cipolle tritate, i pomodori spellati e ridotti a cubetti. gli spicchi d’aglio e la foglia di allora, che si toglieranno a fine cottura. Unire il brodo di pesce caldo con sciolto dentro le bustine di zafferano e quando avrà raggiunto il bollore unire il riso (il volume del brodo deve sempre essere tre volte quello del riso).
Fare bollire per 5 minuti a fiamma alta, mescolando delicatamente, far cuocere per 12 minuti, regolare eventualmente di sale. Unire le cicale, spegnere e lasciar riposare per 3 minuti.
Al momento di servire spolverare con le foglie di prezzemolo e di menta spezzettate con le mani. Deliziosa!

Per il brodo di pesce potete utilizzare il dado o granulare di pesce o prepararlo voi:

Preparate il brodo di pesce lessando per mezz’ora in una pentola con 1,5 lt. di acqua fredda, salata, le teste e le lische di pesce (quello che avete a vostra disposizione o che vi farete dare dal vostro pescivendolo di fiducia). Al termine filtrate il liquido. Prelevate quanto ve ne basta e il residuo si può congelare in piccoli contenitori da usare all'occorrenza.

giovedì 23 agosto 2018

Lo Sapevate Che: Estate a Paestum con il filosofo...


A casa di mia madre avevo una camera che condividevo con mio fratello. Negli anni di università era diventata, come accade a chiunque vada a studiare fuori, una sorta di tana in cui custodivo ciò che per motivi di spazio e praticità non potevo portare con me. Essendo figlio degli anni Ottanta, nella mia vecchia camera c’era una quantità incredibile di fotografie. Foto di ogni forma e stampate su ogni tipo di carta. Anche i colori variavano a seconda di quando erano state scattate e sviluppate, e del tipo di rullino e di macchina fotografica utilizzati. Foto opache, altre ruvide, altre ancora quadrate. Ci sono poi le polaroid, regalo di Natale di qualche amico, quelle specialmente sono diventate di un colore strano, come se fossero state immerse nel latte per qualche tempo e più di altre danno il senso del trascorrere degli anni. Ora la mia camera non esiste più – ordinarie rivoluzioni hanno portato la mia famiglia lontano dai nostri luoghi d’origine – e tutto quello che vi custodivo, in mia assenza, ha cambiato dimora. Le mie cose più preziose sono conservate in scatoloni che piano piano, negli anni, ispeziono. Ma i progressi che faccio nella scoperta del loro contenuto sono esegui perché ogni volta passo ore a selezionare foto, a guardarle, a ricordare quando sono state scattate, da chi e dove. E così accade che ripercorrendo le tappe della mia vita è come se vivessi decine di altre vite. Quelle foto vecchie, ingiallite, sbiadite, mi ricordano non solo come eravamo tutti, le nostre vecchie abitudini, quegli strumenti ora estinti. Mi capita tra le mani l’immagine di un bimbo biondo e paffuto, goffamente appoggiato a una colonna imponente e, come miccia, innesca ricordi. Dalla nascita sin alla mia prima morte, ogni esatte l’ho trascorsa accanto alla pietra greca di Paestum. In questa foto ho la piccola mano poggiata sulla colonna di un tempio. Non riesco a capire quale. Cerere il tempio che ho più amato? Poseidone quello verso cui mi avvicinavo circospetto, considerandolo il severo grande padre? La Basilica che attraversavo correndo? Ora ripescando questa foto degli anni ’80 mi è salita una nostalgia. Ho gli occhi chiusi come in molte foto da bambino: “Tienili chiusi e quando ti dico aprili, sgranali!”. E ovviamente non eravamo mai in sincronia. Vorrei tornare tra i templi, tra quel tesoro tanto antico venuto alla luce, in tutta la sua magnificenza e complessità, solo a partire dal secondo dopoguerra. Ma da quando la mia vita è cambiata, ho smesso di trascorrere il mio tempo e così, ogni estate, mi assale la nostalgia. Sono abbastanza convinto che il morire non accada una sola volta. La prima morte ha interrotto tutto ciò che ero, ha spezzato quelle abitudini che quando le hai ti sembrano valere poco, ma quando le perdi le riscopri pietre angolari, coordinate che ti lasciano senza equilibrio e alla ricerca di un nuovo baricentro. E le pietre della antica Poseidonia sono state a lungo le mie pietre angolari. Sono convinto che queste pietre abbiano contribuito come lievito a farmi appassionare all’uomo, alla sua storia – alla nostra storia – alle sue rivoluzioni, alle vittorie, alle sconfitte, ai suoi fasti e all’inevitabile declino. Siete mai stati Paestum? a Nessuna esperienza è paragonabile: si è travolti dalla potenza della ragione greca, dalla grazia delle sue pitture. La tomba del tuffatore, che ho conosciuto da bambino, quando ancora era possibile per me dare alla morte un significato diverso dalla semplice fine di ogni cosa terrena, l’ho sempre immaginata come l’augurio di un cambiamento, un passaggio dall’esito incerto. Ed è come se quel tuffo abbia segnato la mia vita: un passaggio in vita e l’inizio ad altra vita. La fine di una vita e l’inizio di una nuova avventura del tutto inattesa. Devo a Paestum molto, devo molto al suo vivere secondo regola, regola di un filosofo che probabilmente, tra questi templi, passeggiava essendo dea vicina Elea, Magna Grecia, oggi Ascea. Parmenide, l’unico “italiano” ad aver conosciuto e parlato con Socrate. È a Paestum che ho appreso come vivere secondo la sua regola, “sempre guardando verso i raggi del sole”.
Roberto Saviano – L’antitaliano – L’Espresso – 19 agosto 2018 -

mercoledì 22 agosto 2018

Lo Sapevate Che: Ti conosco da 10 minuti e già mi abbracci?!...


Da Bambina Volevo solo essere normale. Con l’età s’impara che quello di normalità è un concetto soggettivo, fluido, inafferrabile, probabilmente perché inesistente. Da piccoli invece la normalità è un traguardo o un superpotere che consente di essere uguale agli altri, trasparenti, mirabilmente confusi tra i propri simili. Figlia di genitori separati in un’epoca in cui quelli come me erano esemplari rari, nipote di una nonna atea, ebrea e comunista, in una scuola pubblica in cui la mattina si recitavano le preghiere cantando, timida e insicura, per indole innata e per educazione ricevuta ho introiettato prestissimo il concetto di misura o di contegno. La misura era la capacità di non farsi notare, di stare nei margini, di tacere o al massimo parlare a bassa voce, di stare composta al mio posto, di non esprimere i miei pensieri strani e i miei slanci sghembi, di non mostrare a nessuno le crepe della mia fragile corazza, gli abissi tetri dei miei vuoti e il fulgore chiassoso dei miei pieni. Sono cresciuta così: controllata, forse repressa, intrappolata in un modello algido e tetragono che non mi somigliava. Gli anni mi hanno aiutata ad affrancarmi ma le radici che affondiamo durante l’infanzia sono quelle più profonde e resistenti, e anche oggi che ho imparato a lasciarmi andare, malgrado l’economista marxista barese continui a rimproverare alcune mie rigidità, resto sempre interdetta al cospetto di chi invece si lascia trasportare dal guizzo estemporaneo, dalle urgenze contingenti, dalle pulsioni improvvise. Per questo, dopo dieci estati consecutive trascorse nella città di A. in Massachusetts, fatico ancora ad abituarmi alle stranezze dei suoi abitanti e alla loro impudica spontaneità, che non so se attribuire alla pasta acerba di un popolo più giovane e ingenuo del nostro o alla specificità di questa cittadina un po' hippie dominata dal binomio, diventato imperativo, peace&love. E mentre qui tutti fanno finta di essere sani, come nella canzone di Gaber, io passo la vita a interrogarmi sui confini dell’espressione di sé. Durante una lezione al centro yoga di questo luogo tra i boschi. La mia vicina di tappetino ha cominciato a gemere e a mugolare come se, contemporaneamente alla pratica, stesse doppiato un film porno. E quel che era, per me, ancora più incredibile di quegli inequivocabili versi, era la totale indifferenza dei compagni di corso e dell’insegante. Come se non importasse, come se fosse normale, come se gli strani, lì dentro, fossimo io e il mio disagio. Ho partecipato a una cena in cui il padrone di casa, un compassato docente ultracinquantenne, si è messo a singhiozzare raccontando la storia di Plutone e del suo scopritore, beffato, peraltro post mortem, della retrocessione del suo corpo celeste da nono pianeta del sistema solare a pianeta nano. E mentre l’ospite piangeva tutte le sue lacrime per l’errore di uno scienziato, i commensali non battevano ciglio. Una tizia sconosciuta mi ha offerto 10 dollari in un gran magazzino affinché comprassi a mio figlio un inguardabile abito da bandiera americana di cui lui si era innamorato. Un signore mi ha fermata in mezzo alla strada per mostrarmi la meraviglia di un mostruoso bacherozzo blu che teneva dentro il palmo della mano. La madre di un compagno di campo estivo del mio terzogenito, conosciuta un lunedì, il mercoledì mi ha abbracciato forte e mi ha detto che mi voleva bene. E avevamo scambiato non più di 20 parole. Non li capisco. Eppure subisco il fascino del loro trasporto, del loro entusiasmo, bambino, la seduzione del loro scoprirsi. E ancora di più ammiro chi riesce ad annullare il giudizio, lo sgomento, la grassa risata, il cinismo di fronte alla nudità del re o del prossimo.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica -18 agosto 2018 -

martedì 21 agosto 2018

Speciale: Di tutto un pò!...


Tempo di Pannocchie fresche e tenere!

Pannocchie di Granoturco al Burro pepato
Per 2 persone

2 pannocchie fresche, 50 gr di burro, sale, pepe misto in grani. (richiedetele al vostro contadino di fiducia ve le porterà sicuramente!)

Mondare le pannocchie, eliminare le foglie esterne, lavarle e lessarle in acqua leggermente salata per 20-30 minuti, secondo la grandezza delle pannocchie. Macinare grossolanamente un cucchiaio di pepe misto. Scaldare il burro in una padella. Quando sarà spumeggiante, unire il pepe e far rosolare le pannocchie, girandole spesso, finchè saranno colorite. Servire subito

Pannocchie di Granoturco al forno
Per 4 persone

4 pannocchie, burro, sale.

Fate ammorbidire le pannocchie con le foglie in acqua per 10 minuti. Scolatele, sfogliatele e asciugatele. Ungetele abbondantemente col burro , salatele e pepatele. Raccogliete ciascuna in un foglio di carta di alluminio che richiuderete. Mettetele in forno preriscaldato a 200° per 20 minuti. Servite aprendo il cartoccio sul piatto di ciascun commensale.

Pannocchie di Granoturco grigliate
Per 4 persone

4 pannocchie con le foglie, ½ limone, foglie di basilico, burro, sale e pepe nero

Fate ammorbidire le pannocchie con le foglie in acqua per 10 minuti, poi scolatele, e asciugatele, ripiegatele le foglie verso l’esterno con delicatezza, in modo da non staccarle, ed eliminate le barbe. Dopodiché spalmate le pannocchie con 50 gr di burro lavorato con la scorza di mezzo limone grattugiata e 5 foglie di basilico spezzettate, ripiegatevi quindi sopra le foglie e mettetele direttamente sulla brace: cuocetele per 10 minuti, rigirandole su ogni lato. Servite le pannocchie con le foglie ripiegate verso l’esterno e condite con una presa di sale e una macinata di pepe nero.

Pomodorini fritti in Pastella
Per 4 persone

20 pomodorini a ciliegia, un etto di ricotta, un etto di prosciutto cotto, 300 gr di farina, 3 albumi, olio, sale, pepe.

Per la pastella: stemperare 300 gr di farina con 100 gr di acqua e il sale. Amalgamare bene e in ultimo aggiungere gli albumi montati a neve fermissima.

Preparare i pomodorini: lavarli, farli sbollentare in acqua bollente per pochi secondi. Pelarli, tagliarli a metà, togliendo con l’aiuto di un cucchiaino parte della polpa, senza romperla. Lavorare la ricotta, unire il prosciutto tritato, salare e pepare. Amalgamare bene, sino ad ottenere una soffice spuma. Riempire le due metà dei pomodorini, ricomponendoli nella loro forma originale. Immergere ogni pomodorino nella pastella preparata e farli friggere in abbondante olio bollente, fino a completa doratura. Fare assorbire l’olio in eccesso su carta assorbente da cucina.

Tajarin fresche (o fatte in casa) alle zucchine e Petto di pollo
Per 4 persone

400 gr di tajarin all’uovo freschi, 350 gr di petto di pollo, 350 gr di piccole zucchine, una confezione da 1 etto di verdure miste surgelate per soffritto, 1 bustina di zafferano, erba cipollina, latte, burro, sale e pepe.

Togliere l’eventuale ossicino al petto di pollo, eliminare anche le cartilagini. Tagliarlo prima a listerelle che poi ridurrete a dadini.
In un tegame con 50 gr di burro fuso fare rosolare a fuoco vivo le verdurine congelate ei cubetti di pollo, mescolando. Bagnare con un bicchiere di latte, salare e pepare. Abbassare la fiamma e cuocere per ancora per 10 minuti.
Lavare le zecchinette, asciugare, spuntarle e tagliarle a rondelle. Unirle nel tegame e bagnare con ½ bicchiere di latte. regolare di sale e pepe nero macinato al momento. Cuocere ancora per 5 minuti a fuoco dolce fin che il fondo di cottura si sia consumato. Nel mentre in una capace casseruola con acqua bollente salata in ebollizione, fare cuocere i tajarin per un minuto, scolarli e unirli nel tegame del ragù, mescolando delicatamente il tutto e tagliando su tutta la superficie l’erba cipollina.

N.B.: Se volete fare voi i tajarin (ricetta piemontese) procedete così:

Per 1 kg di farina tipo 00, 15 uova fresche, sale, 2 cucchiai d’olio.

Disponete la farina a fontana su una spianatoia, unitevi cinque uova intere e dieci tuorli, l’olio e un pizzico di sale. Impastate con cura e tirate una sfoglia molto sottile, si dovrebbe usare il mattarello, ma si può comunque usare anche la macchina per le tagliatelle! Fate riposare, quindi spruzzate di farina e arrotolate la sfoglia, tagliatela con un coltello affilato in modo da ricavarne tagliatelle (tajarin) molto sottili. Fatele riposare e cuocetele in acqua bollente salata, per pochi minuti. Separatele dal liquido di cottura con la schiumarola e conditele. Nella tradizione piemontese, si condiscono sia con sugo di carne, o con sugo di fegatini di pollo, o semplicemente con burro fuso e qualche fogliolina di salvia e un’abbondante spolverata di parmigiano.

Se volete preparare le verdure surgelate per soffritto (comodissime molto sovente in cucina!): occorre pulire e lavare tutte le verdure (cipolle,coste di sedano, carota, basilico, prezzemolo, aglio a piacere), tritarle finemente e riporle in piccole vaschette monodose, chiuse ermeticamente e conservarle in freezer: all’occorrenza pronte per l’uso.

Tempo di Uva e arrivano le prime mele acidule…

Torta di mele e uva rovesciata
Per 6 persone

1 kg di mele renette, 1 grappolo di uva nera o bianca, 200 gr di farina, 160 gr di zucchero semolato, 2 bustine di lievito in polvere, 4 uova, cannella in polvere, pangrattato, latte, 100 gr di amaretti duri, 50 gr di cacao amaro, burro, zucchero vanigliato.

Lavare e asciugare le mele. Sbucciarle, poi con togliere il torsolo con il coltellino apposito. Tagliarle a fette rotonde in orizzontale. Staccare gli acini dal grappolo di uva, lavarli e asciugarli. Inciderli leggermente di lato e cercare di togliere i semini interni senza rovinare troppo l’acino.
Sbriciolare con le mani gli amaretti più finemente possibile e unirvi mischiandolo il cacao amaro.
Ungere una pirofila rotonda di circa 23 cm col burro e spolverizzarla col pangrattato. Sistemare sul fondo della pirofila uno strato di fette di mele, posizionando al centro di ognuna un chicco di uva. Spolverizzare con cannella e distribuire un po’ di composto di amaretti e cacao. Ripetete l’operazione ancora con due strati uguali. Separare i tuorli dagli albumi. In un pentolino fare fondere il burro 50 gr di burro e quando sarà raffreddato versarlo al centro della farina mischiata ai due lieviti e versata a fontana in una terrina. Unire anche i tuorli, ½ bicchiere di latte tiepido e lo zucchero semolato. Amalgamare bene gli ingredienti lavorandoli con una frusta. Montare gli albumi a neve fermissima e incorporarli al composto. Versare il composto sulle mele nella tortiera facendo in modo che scorra bene dappertutto. Mettere la pirofila in forno preriscaldato a 180° per 40 minuti.
Sfornare, sformare la torta rovesciandola. Lasciare intiepidire e spolverizzarla con lo zucchero vanigliato.