Caro Serra, sono un ex
giovane di belle speranze che quattordici anni fa ha rilevato un’attività
commerciale, ampliandola, differenziando l’offerta (come da manuale di economia
e commercio, in cui sono laureato) e lottando con burocrazia, scadenze,tasse,
calo dei consumi. Solita
solfa, ormai noiosa da scrivere e da ascoltare. Vengo al dunque: mi è balenata
l’idea di chiudere la vecchia società (una snc) e di crearne un’altra, per
cercare di lavorare di più e meglio in un nuovo settore. E, cosa da non
sottovalutare, con l’idea di creare pure 2 o 3 posti di lavoro. Le faccio il
conto della serva: per chiudere una snc il notaio (tra onorari e tasse) mi ha
chiesto 1.500 euro, e per la costituzione della nuova società altri 2.000: la
bellezza di 3.500 euro regalati alla casta e allo Stato solo per un’idea
imprenditoriale nuova, soldi che avrei potuto destinare ad arredi e nuove
assunzioni. Il buon Ferdinando Pessoa scriveva che il tedio non è la malattia
di non aver nulla da fare, ma una malattia più grave: sentire che non vale la
pena di fare niente. Ecco, lottando con le cose di cui sopra ti assale il
tedio, venato da una lieve nausea da gestante, e si avverte ancora di più la
frattura fra il Paese reale e il Paese fittizio, quello artefatto e posticcio
degli annunci e dei dibattiti sterili, una specie di Finale di partita alla
Beckett, con personaggi che hanno passato la vita a litigare e che lo dicono,
che sarebbe l’ora di smetterla e cambiare le cose, ma continuano a farlo. (..).
Non capiscono che fuori da quel mondo fittizio non c’è futuro, e il Paese reale
è sempre più distante, perché è fatto di persone che stanno in piedi
controvento, che hanno un nome e cognome, che lottano tutti i giorni per fare
dell’Italia un posto migliore(…).
Francesco Mencacci – Livorno –
Caro Mencacci, la stimabile
corporazione dei notai avrà sicuramente qualche ragionevole obiezione da
opporre alla sua lettera. Quanto a me, la considero una perfetta sintesi psicologica
della condizione nella quale vivono molti italiani: “sentire che non vale la
pena di fare niente”. Una persona a me molto vicina si trova in una situazione
simile alla sua. Rimasta senza lavoro a cinquant’anni ha deciso che lamentarsi
non le si confaceva, e ha dunque deciso di “fare impresa”, come dice lei. E’
entrata, sola soletta. e armata solo di buona volontà e voglia di lavorare, in
un mondo misterioso e ostile (la giungla delle leggi, delle pratiche da
espletare, delle faticosissime normative fiscali) e una buona metà del suo
tempo, quella che dovrebbe essere destinata a lavorare sul prodotto, la passa
invece a difendersi disperatamente dalla tempesta burocratica che la investe,
come se volesse atterrarla. Nel momento in cui avresti davvero bisogno di
supporto, lo Stato ti si presenta sotto forma di un petulante azzeccagarbugli o
di un occhiuto esattore. (..) . Sa una cosa, Mencacci? Per una persona di
destra, di quella destra anarco-liberista che in Italia ha avuto tanta fortuna
sotto Berlusconi, affermare che lo Stato è nemico e vessatore è del tutto
naturale: in perfetta sintonia con la propria visione del mondo. Ma per una
persona di sinistra, quale mi ostino a considerarmi, ammettere che lo Stato si
comporta da nemico è molto doloroso. Rispettare le regole e accorgerti che le
regole non hanno rispetto per te: è una prova molto dura. Sentiamo parlare da
anni (decenni? secoli?millenni?) di “semplificazione”. Ne cerchiamo invano le
tracce nella faticosa vita quotidiana. Grazie della sua lettera: nelle sue
parole si rispecchieranno in molti.
Michele Serra – Per posta – Il Venerdì di Repubblica – 2
gennaio 2015 -
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