Alla grande maggioranza degli italiani il re Giovanni Senza
Terra ricorda il sovrano sotto il cui regno si compirono le gesta di Robin Hood
che sfidava ol ribaldo Sceriffo di Nottingham. Se passiamo dalla letteratura
alla storia, però, ciò che consegnò alla memoria dei posteri King John fu la
sua riluttante concessione della Magna Charta Libertatum, di cui quest’anno
ricorre l’ottocentesimo anniversario. Il 15 giugno 1215, infatti a Runnymede,
nella contea del Surrey, venne sottoscritta la prima “Costituzione” del mondo.
In realtà gli storici hanno dimostrato che il 15 giugno non si firmò la Magna
Charta che conosciamo oggi e che altri documenti precedentemente emanati da
sovrani medievali avevano un contenuto in parte coincidente. Tutto ciò a voler
dimenticare la grande tradizione greco-romana di diritti e libertà dei
cittadini. Cosa Prevedeva La Charta inglese? Prima
di tutto l’habess corpus, vale a dire la garanzia che nessun suddito libero
avrebbe potuto essere imprigionato, privato dei suoi diritti o proprietà, messo
fuorilegge o esiliato, o in nessun altro modo privato della sua posizione, né
si sarebbe potuto procedere contro di lui con la forza, salvo che a seguito di
un giudizio secondo diritto dei suoi pari o secondo la Legge della nazione.
Potente eh?. Inoltre, il Re riconosceva l’autonomia della Chiesa e della Città
di Londra e si obbligava ad ottenere il consenso dei baroni prima di imporre
nuove tasse. In caso di violazione, un consesso di 25 nobili avrebbe addirittura
potuto privarlo delle sue terre. Giovanni non applicò mai interamente la
Charta, ma qualche anno dopo venne istituito il primo Parlamento inglese e da lì, nonostante sporadici ritorni all’assolutismo,
si svolse la storia costituzionale britannica e poi americana: Glorius
Revolution, Bill of Rights e così via. Ma L’Insegnamento che ne dobbiamo trarre rimane, vale
a dire che sono le istituzioni inclusive (per riprendere la definizione dei due
economisti Acemoglu e Robinson) quelle che consentono crescita economica e
rendono civile la società. Le istituzioni sono inclusive quando il potere
pubblico non la fa da padrone e non gode di ampia discrezionalità, quando si
rispettano i diritti individuali e le libertà fondamentali, compresa quella
economica, le leggi sono generali, astratte e intellegibile e si può
partecipare al governo della società. I nostri odierni riformatori, da Renzi,
Juncker, dovrebbero perciò prima di tutto chiedersi cos’è duraturo, semplice,
liberale. L’Italicum lo è? Il processo decisionale dell’Unione Europea lo è?
L’irresponsabilità sostanziale della Pubblica Amministrazione, dai giudici ai
vigili urbani di Roma passando per gli eurocrati di Bruxelles, è “Inclusiva”?
Un sistema fiscale confiscatorio nelle procedure (e spesso nella sostanza) e
che cambia in continuazione ha quelle caratteristiche di intelligibilità e
astrattezza necessarie? Decurtare la spesa pubblica e le tasse va benissimo
(incidentalmente: il governo non lo fa), ma per risalire la curva declinante in
cui si dibatte da cinque lustri l’Italia è necessario riformare profondamente
le sue istituzioni. Più che un compito di un Giovanni Senza Terra qualunque,
questa è un’impresa da Riccardo Cuor di Leone, lo capisco. Speriamo che arrivi
nel 2015.
Twitter@aledenicola aledenicola@adamsmith.it L’Espresso – 15 gennaio 2015
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