Ossessionati dal mantra del rigore, impensieriti dalla
disoccupazione, angosciati dalla crisi più lunga del dopoguerra, mai come oggi
popoli e paesi hanno amato così poco la loro Europa. Tanti ne sono tristemente
delusi. Altri, addirittura, guardano a Bruxelles come alla capitale del male,
il castello da cui oscuri maghi della finanza orchestrano borse e spread.
Sentimenti assai diffusi. Esplosi nel corso dell’anno, che si chiude con i
rischi di default della Russia di Putin piegata dal petrolio a 50 euro (..), e
che certo condizioneranno quello che comincia. Anzi, nel 2015 la costruzione
europea metterà in gioco la sua stessa sopravvivenza. E dunque la capacità di
parlare ancora con la voce della moneta unica. A sessant’anni dal vertice di
Messina in cui i ministri degli Esteri dei sei paesi fondatori decisero di
avviare in Europa la piena integrazione economica… Alla Grande Crisi, alla globalizzazione, alla
concorrenza dei paesi emergenti sarebbe stato utile opporre unità di intenti e
massima coesione,e invece si è imposta la frantumazione nazionalista degli
interessi particolari: timori per il futuro, nuove povertà, rabbia per
l’impotenza dei governi hanno dato la stura a populismi, sciovinismi,
xenofobia. Senza risparmiare nessuno. L’ondata ha colpito il sud del
Continente, più debole e più esposto alla recessione; ma anche il nord ricco e
solido, che non intende rinunciare a ricchezze e privilegi consolidati:
l’egoismo sociale spazza via uno dei pilastri su cui era stata costruita
l’Unione. E alligna a sinistra come a destra. Basta scorrere il catalogo del
dissenso. In Francia il Front National di Martine Le Pen, per la quale l’Ue “è
più o meno come la vecchia Urss”, insidia da vicino il governo del presidente
socialista Hollande. La sinistra di Alexis Tsipras, in testa a tutti i sondaggi
elettorali, si batte per il condono del debito greco minacciando altrimenti
l’uscita dall’euro. Nigel Farage, leader dell’Ukip,il partito di destra
perl’indipendenza del Regno Unito che ormai tallona partito conservatore e
partito laburista. definisce il Trattato di Lisbona, che nel 2009 sostituì la
costituzione europea bocciata dai referendum francese e olandese, “il più
spettacolare colpo di stato che il mondo abbia mai visto”. Fermenti Populisti si fanno sentire nella ricca Olanda e anche nella democratica Vienna
dove Heinz-Christian Strache, leader del Partito per la libertà dell’Austria,
ripete lo slogan “Noi siamo gli ebrei d’Europa”. (…). Ma colpisce che qui da
noi forti critici siano anche intellettuali di tutt’altra matrice, come per
esempio Paolo Savona e Giorgio La Malfa, che riprendono oggi argomenti presenti
nel dibattito politico quando, nel 1978, fu decisa l’adesione dell’Italia allo
Sme, il sistema monetario europeo padre dell’euro: il vasto fronte critico o
contrario, che poteva contare allora sul governatore della Banca d’Italia Paolo
Baffi, e su personaggi dal calibro di Enrico Berlinquer, Luigi Spaventa e
Giorgio Napolitano, si convinse alla fine perle pressioni del leader repubblicano
Ugo La Malfa. E fu “sì”. Che contribuì anche alla fine delle maggioranze di
unità nazionale. Già l’euro. (…). Il processo all’euro si salda poi a quello alla stessa politica economica imposta dalla
leadership tedesca, e la protesta contro l’incapacità di contrastare i diktat
europei e uscire dalla crisi spinge il consenso, anche nei paesi ad antica
tradizione democratica e bipolare, non a favore di quelli dichiaratamente
antisistema. Nel 2015 anche la politica, come l’abbiamo fin qui conosciuta, si
gioca la sua sopravvivenza.
Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – Questa settimana –
L’Espresso -30 dicembre 2014
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