L’elezione del nuovo capo dello Stato ci sta procurando il
mal di capo. La partita è cominciata già da tempo, ma intanto Napolitano è
ancora lì, e di questo passo ci troveremo con due presidenti, come la Chiesa
con due papi. Sicchè la situazione ha un po’ di quel surreale: pre-dimissioni
del bis-presidente, pre-competizione sulla scelta del post-presidente. Mentre a
sua volta la campagna elettorale s’intreccia con la legge elettorale. Prima
l’Italicum, poi il Colle, ordina Renzi. No, prima il Colle, contrordina
Berlusconi. Ma perché l’Italicum serve forse ad eleggere il capo dello Stato?
Dov’è il nesso, qual è il baratto? (..). Una volta perfino Moro si dichiarò
turbato per le “oscure modalità” con cui l’Italia elegge il proprio presidente.
Lo scrisse a Nenni nel 1962, quando non c’era ancora Internet, né i social
network, né le consultazioni online. (..). Da Qui La Proposta: partiamo dai requisiti, non dai
nomi. Dalla divisa, non dal viso. E procediamo per cerchi concentrici,
risolvendo i dubbi uno dopo l’altro. Serve un politico o un’espressione della
società civile? O serve un uomo delle istituzioni, come fu con Ciampi? E
l’anagrafe, quanto conta in questa scelta? La Costituzione prescrive un’età
minima (50 anni), non massima; significa che ci sta bene pure Matusalemme al
Quirinale? Ma soprattutto, il nuovo presidente dev’essere un riformatore o un
conservatore? Un presidenzialista o un parlamentarista? Un notaio come Luigi
Einaudi o un picconatore come l’ultimo Cossiga? Sono questi i nodi che
dovrebbero sciogliere i partiti; possibilmente in pubblico, e ascoltando la
voce del pubblico. Dopo di che decidano pure il candidato, ma sulla base
d’accordi trasparenti, di criteri convincenti. E in ogni caso il nome deriva
dal criterio, non il criterio dal nome. E a proposito di glasnost, di
trasparenza. C’è una regola non scritta – benché da tutti rispettata – nella
corsa al Quirinale: il candidato perfetto è il non candidato. Mai dichiararsi,
mai sottoporsi al giudizio preventivo delle folle. Anche perché, se qualcuno
espone in pubblico il tuo nome, lo fa solo per bruciarti. E infatti Berlusconi
ha già bruciato Amato, dopo il suo endorsement al veleno. Da qui il niet di
Prodi e degli altri prodi concorrenti. Da qui, a suo tempo, la risposta che
Gronchi appioppò a Fanfani. Nel 1955 quest’ultimo gli chiese di ritirarsi dalla
gara, per lasciare spazio a Cesare Merzagora. E lui: “Come faccio a candidarmi,
se non mi sono candidato?”. Perché la regola funziona così: voto segreto in
Parlamento, e dunque trame segrete, candidati segreti, programmi segreti. Per
Giustificare questi “arcana imperii”, s’avanza un duplice argomento. In primo
luogo la candidatura indebolirebbe il futuro presidente, esponendolo al fuoco
delle critiche; in secondo luogo il capo dello Stato non avrebbe un programma
da sottoporre ai suoi elettori, dato che per lui il programma coincide con la
Costituzione. (..). C’è allora un auspicio, una speranza, una preghiera da
rivolgere ai partiti, nonché ai loro candidati: diteci tutto, e poi fate ciò
che dite. Per una volta, questo ballo in maschera ballatelo senza maschera.
michele.ainis@uniroma3.it – Michele Ainis – Legge e libertà –
L’Espresso – 8 gennaio 2015 -
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