La sensazione del sapore è tra le più pervasive. Il che non
sorprende, legata com’è alla fondamentale attività del nutrirsi. Quando la fame
si fa sentire e una pietanza è a portata di mano, e di bocca,diventa difficile
ignorare il richiamo del palato. Ma tutto, o quasi, parte dal naso. Già, perché
la percezione dei sapori è prima di tutto una questione di olfatto. “Provate ad
assaporare una caramella con il naso tappato, non sentirete proprio nulla.
Aprite il naso e la vostra mente sarà invasa dal sapore” fa notare Gordon
Shephered, neuro scienziato dell’Università di Yale, autore di All’origine del gusto. La nuova scienza
della neurogastronomia (..). Il gusto è però anche questione di testa. “Al
solo pensiero del cibo, ancor prima di iniziare a mangiarlo, nel nostro
cervello si attiva una rete naturale non solo le vie sensoriali, ma anche le
aree legate alla motivazione, alla memoria e alle emozioni che esse suscitano”
spiega Shepherd. Infatti, continua “il sapore coinvolge il cervello molto più
di ogni altra esperienza sensoriale”.
E’una delle poche sensazioni, insieme al dolore, che può accedere
direttamente alle parti più antiche ed emotive del nostro cervello, l’ippocampo
e la corteccia orbito frontale. E questo spiega le emozioni forti e il
riaffiorare di ricordi perduti. Ma, d’altra parte, la percezione di un sapore
coinvolge anche la funzione superiore del linguaggio. “Quando siete a tavola,
davanti al vostro piatto preferito e tentate di spiegare a , a parità di
ricetta e di ingredienti, distingue quella pasta da quella che vi cucinava la
vostra nonna. Ed esso è così potente da intervenire addirittura nella stessa
percezione. Shepherd ridimensiona così definitivamente il ruolo delle papille
gustative, che sono certamente connesse al talamo, la nostra porta per tutte le
percezioni coscienti, ma da sole non sono in grado di farci percepire alcunché.
Il nostro rapporto con il cibo è frutto di una perfetta orchestrazione neurale
di delicati processi sensoriali e cognitivi. Ma c’è di più. Lo studio di come
il nostro cervello percepisce e analizza i sapori può darci una mano per
affrontare i disturbi alimentari. “Sono molte le somiglianze tra il cervello di
chi desidera ardentemente mangiare e quello di chi ha sviluppato una dipendenza
da sostanze psicoattive. Nora Volkow, direttrice del National Institute on Drug
Abuse americano, ha suggerito uno schema specifico secondo cui nei
tossicodipendenti le parti del cervello coinvolte nella motivazione, nel
controllo cognitivo, nella vividezza sensoriale e nella memoria sono le stesse
coinvolte nei disturbi di dipendenza alimentare” spiega Shepherd. “Capire
sempre meglio questi meccanismi aiuterà gli scienziati anche nel trattamento
dei disturbi alimentari e per la promozione di un’alimentazione sana,
nonostante i bombardamenti dell’industria alimentare e dei suoi messaggi
pubblicitari”.
Nicia Panciera – Il Venerdì di Repubblica – 2 gennaio 2015 -
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