Sostiene er cecato
Fra le prime notizie degli arresti disposti dalla Procura di
Roma a seguito dell’inchiesta contro gli affari politico-criminali romani c’è
stato il nome dell’inchiesta stessa e i soprannomi degli imputati.
Rispettivamente: “Mafia capitale” e “er Cecato”, “er Pirata, “er Cicorione”,
“er Cane”, “er Miliardario”, “er“Forfora”, “il Tanca”, “Diabolik”, “Rommel”, “Garibaldi”,
“er Negro”. Non so se sia mai stato tentato uno studio delle denominazioni
delle inchieste, che spesso rivelano qualcosa della mentalità degli inquirenti
(basti pensare a Mani Pulite). Magia capitale fa molta impressione, e grave.
Echeggia “Romanzo criminale” e accosta due termini, uno dei quali è ambiguo,
tra aggettivo e sostantivo. Dire “Capitale corrotta” non basta più, e non
parliamo del “Roma ladrona” dei tempi in cui Borghezio non avrebbe certo
pensato di potervisi mai candidare. Qui la Mafia, mafia mortale, assoluta,
mafia della Capitale. In quanto ai soprannomi, su quelli della Camorra Roberto
Saviano ha pubblicato pochi mesi fa un lungo articolo, in cui spiegava come a
renderli necessari non è l’esigenza di clandestinità (che è invece tipica della
lotta partigiana). Il soprannome è un’identità ulteriore: si attacca alla
persona quando il carattere le si è già formato, che sia gradito o sgradito,
terribile o ridicolo (un killer camorrista gas tritico aveva sempre dei
biscotti con sé, e perciò veniva chiamato Pavesino, racconta Saviano). Nei
soprannomi camorristici Saviano rileva una funzione di prestigio, non solo per
Sandokan, ma anche per il capo ultras “Genny ‘a carogna” (“fosse stato soltanto
Gennaro De Tommaso, quanti titoli avrebbero fatto i giornali su di lui?”). In
quelli romani parrebbe invece essere sempre presente l’inclinazione alla beffa
(Er Cicorione) o comunque a una brusca e non attenuata presa d’atto della
realtà (Er Cecato) Per la Mafia (della) Capitale le motivazioni sembrano però
mescolarsi con la folkloristica propensione romana al sarcasmo, rappresentata a
un buon livello dal cinematografico
“er Monnezza”.
Stefano Bartezzaghi – Come dire – L’Espresso – 25 dicembre
2014 -
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