Non è forse l’amore di coppia l’amore più insano? La forma
più egoistica d’amore perché cerchiamo forse solo l’amore per noi stessi,
quello che non riusciamo a darci o quello che espande e conferma ciò che amiamo
già di noi stessi? E se l’altro si innamorasse di ciò noi non amiamo, di ciò
che noi occultiamo co efferata determinazione e ce lo rivelasse? Se lo
rivelasse a noi che nell’amore di coppia cerchiamo solo conferme e non
consentiamo all’altro (né a noi stessi) di deragliare in una spiaggia vergine,
quella che nessuno calpesta, per fatica di asciugare il sudore di un cammino
dove si affondano i piedi e ci sono spine inaspettate, ma si gode di
sconosciuti anfratti? Glielo consentiremmo, allora, o lo tacceremmo di non
amore? Nell’amore di coppia non si esclude forse per “mentito amore” l’amore?
E’ amore che tutto include per tutto escludere in un esclusività totalizzante
che si nutre di sé ed espande un sé imprigionato, che invece vorrebbe
disarcionarsi e librarsi rumoroso in esplorazione dento l’altro che, da
specchio, gli rivela celate verità e occultati piaceri incastonati in prigioni
di rigidi principi. L’amore dentro una coppia dovrebbe avere il nome della
scoperta, dove, nella protezione dell’amore, si è liberi di scoprirsi fragili
dell’assoluta forza che ci investe, brutti nella perfezione che ci ha
confezionati, belli nella imprevedibilità dell’esserci comunque per l’altro.
Nell’amore di coppia non dovremmo farci amare di un amore a noi sconosciuto,
forse?
Anna la rosa mordicat@libero.it
L’amore è il luogo eminente dove si evidenzia la lacerazione
caratteristica della natura umana, che da un lato desidera sicurezza,
stabilità, continuità, e dall’altro l’avventura, la voglia di scoprire, il
gusto del rischio di cui si alimenta la passione. Il bisogno di sicurezza lo
impariamo da bambini ed è una condizione essenziale per poter crescere senza
troppi traumi. Questa condizione infantile non ci abbandona mai e l’andiamo cercando
in ogni relazione amorosa, che però il tempo, la quotidianità, la familiarità,
logorano. E allora nasce il desiderio dell’avventura, che vive la relazione di
coppia come prigione, ma nello stesso tempo teme di avventurarsi nel mondo,
dove ogni novità non è mai disgiunta dal rischio di perdere la stabilità, che è
comunque un tratto rassicurante. “Guai a chi non ha casa!”, diceva Nietzsche,
anche se il richiamo di Kerouac on the
road ci invita a rimetterci di nuovo sulla strada. Sulla strada incontriamo
Freud che ci consegna un suo scritto, Contributi
alla psicologia della vita amorosa, in cui si legge: “Dove amiamo non
proviamo desiderio, e dove lo proviamo non possiamo amare”. Perché Ce lo spiega
nel secondo incontro che facciamo Roland Barthes, che ci mette fra le mani i
suoi Frammenti di un discorso amoroso,
dove leggiamo: “Io desidero il mio desiderio, e l’essere amato non è altro che
il suo accessorio”. Troppo cinico? No, sulla strada non si è mai fedeli, perché
a ogni incontro segue un addio. Di per sé la fedeltà non è u valore. Un valore
semmai è l’amore. E quando in una coppia si dice “io non ti amo più”, chi
parla? Il nostro Io o il nostro desiderio di avventura che ne ha preso
possesso, portandoci su altre spiagge e altri lidi? E’ però vero che appartiene
alla natura umana il desiderio di oltrepassare il dato, a differenza
dell’animale – che per il fatto di non conoscere l’amore, non ha storia, ma
solo ripetizione come vuole il ciclo della natura – l’uomo non si rassegna alla
natura, è sospinto oltre se stesso e oltre la sua storia raggiunta, da quella
tensione in cui consiste amore. Che non è solo comprensione, condivisione,
rispetto, suggello di fede eterna, ma anche tradimento di promesse fatte,
naufragio di sogni svegliati, curiosità corrosiva e ideativa che fa nascere la
storia (e le storie). Ma quando diciamo, addio alla vita di coppia, siamo
sicuri di aver visto l’altro fino al fondo della sua anima, al punto che più
non ci stupisce, o siamo semplicemente attratti dalla gratificazione narcisista
di corpi e anche di anime che ci se-ducono (ci conducono a sé) per ritrovare
alla fine di nuovo quella sicurezza da cui ci siamo congedati? Non
dimentichiamo che aore è sì un’avventura del desiderio, ma anche un richiamo
della casa. E qui sta la lacerazione che caratterizza la condizione umana di
cui si fa interprete amore.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 1 novembre 2014 -
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