Le ridicole, a volte purtroppo tragiche avventure di chi
cerca l’amore via Internet e intreccia relazioni virtuali a distanza, in
pigiama o in camicia da notte, sono ormai repertorio di cronache nere o rosa da
almeno un decennio. I casi della vezzosa e maliziosa fanciulla che all’incontro
reale si tramuta, al contrario della fiaba, in un baffuto rospone o del principe azzurro che cerca soltanto
prede sono state largamente documentate. Eppure la “trappola del miele virtuale”
pare che ancora funzioni e acchiappi proprio coloro che dovrebbero essere
immuni, secondo la regola dell’innaffiatore annaffiato. Da anni, l’Fbi e il
Servizio segreto americani avevano individuato un hacker romeno, Iulian Dolan.
Nel 2008 aveva penetrato la rete di pagamenti della Subway, grande azienda
paninara d’America, e si confezionava gustosi sandwich di dollari altrui. La
procedura normale sarebbe stata quella di denunciare il topo di Rete e chiedere
al governo di Bucarest la sua estradizione. Il ministero della Giustizia
americana ci aveva provato, scoprendo che tra domande, burocrazia, ricorsi,
lungaggini, impicci legali l’estradizione non sarebbe mai arrivata. Entrò
allora in scena Sarah, trentenne e attraente funzionaria del Servizio Segreto
ancora in prova. A lei fu affidata la trappola del miele. Sulla pagina di
Facebook del ladro rumeno apparve un “post”, un messaggio di Sarah accompagnato
da una foto di lei, elegante, garbatamente sexy ma non volgare. “Ti scrivo
dagli Stati Uniti”, spiegava la donna, “e ti ammiro molto per la tua abilità e
la tua astuzia”. Era l’ equivalente
della proverbiale bottiglia nell’oceano, ma la vanità è notoriamente il peccato
preferito del diavolo e Iulian raccolse la bottiglia. Fra lui e Sarah cominciò
uno scambio di messaggi che lei progressivamente riscaldava di promesse,
allusioni, prospettive intriganti. Iulian le confidò di essere un uomo solo,
non più amato dalla moglie (nuova, questa) totalmente assorbito dalle sue due
uniche e grandi passioni: l’hacking, l’intrusione nei siti in Rete e il gioco
d’azzardo, che però in Romania non riusciva a soddisfare. Bingo! Tombola. Sarh
preparò la trappola, ampiamente spalmata di miele. Gli concedeva sempre più dettagli sulla propria vita, senza mai
scadere nel pecoreccio, osservazioni innocenti come le preferenze
alimentari, la musica, il cinema,
persino la frutta: “Consumo moltissima uva, che adoro”, scriveva, giusto per
creare fra loro un senso di tranquilla quotidianità semifamigliare. Anch’io ho
la passione del gioco, gli aggiunse, ma sono soltanto una umile segretaria e
non ho soldi per divertirmi al casinò. Sarebbe bellissimo se un giorno tu
potessi raggiugermi a Las Vegas e passare con me giorni e notti a giocare. Dove
il concetto di “gioco” poteva essere interpretato estensivamente. All’inizio di
settembre, Iulian succhiò un altro gruzzolo di dollari da un sito bancario che
aveva scardinato. Domandò il visto, che il consolato americano al corrente
dell’operazione miele gli concesse rapidamente, acquistò il biglietto aereo per
Boston dove Sarah lo aspettava e partì per coronare il suo sogno. Fu soltanto
dopo il passaggio dei controlli all’aeroporto che Iulian scoprì chi fosse
Sarah. Non la succulenta bionda illustrata nelle foto solo per apparenza, ma un
nerboruto veterano di mezza età del Servizio Segreto, Matt O’Neill. Era stato
lui a scrivere i post fingendosi la ragazza, immaginando, spiegherà, di essere
il destinatario e cercando di capire che cosa lo avrebbe attirato. “Coe uomo mi
è stato facile intuirlo”. Finalmente sul suolo americano, dunque sotto la
giurisdizione del governo Usa, il rumeno fu arrestato e minuziosamente
perquisito. Gli furono trovati addosso 20mila dollari americani, undici carte
di credito e di banca clonate, poi una collana d’oro massiccio per
l’inesistente Sarah, ma anche tre
confezioni di profilattici speciali. Al sapore di uva. Si era ricordato,
Iulian, che pensiero carino.
Vittorio Zucconi – Donna di Repubblica – 8 novembre 2014 -
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