Ventiquattro anni fa, a Dalocha, in Etiopia, a Sebsebila
Nassir. Non aveva nemmeno un nome, perché
in Etiopia perdere un bambino era un evento tragico talmente diffuso che
c’era l’usanza di aspettare che i neonati superassero le prime (e più
pericolose) settimane di vita, prima di darglielo. A quell’epoca, più o meno un
bambino etiope su 5 moriva prima del quinto anno di età, una tragedia che aveva
colpito anche due dei fratelli di Sebsebila. Come mostra chiaramente il
rapporto annuale delle Nazioni Unite sulla mortalità infantile, (..) tutto
questo comincia finalmente a cambiare. Nel 1990, l’anno in cui è nata
Sebsebila, 12,7 milioni di bambini morivano prima del quinto anno di età.
L’anno scorso, secondo le stime degli statistici dell’Onu, questo numero è
sceso a 6,3 milioni. E anche se difficile provare qualcosa di diverso dal
dolore quando muore un bambino, io mi sento ottimista per il futuro, anche di
fronte a una cifra così spaventosa. E vi spiego perché. 6 milioni e 300 mila bambini che muoiono
prima dei 5 anni non sono certo pochi, ma non sono mai stati così pochi. Ogni
anno, da almeno 43 anni, il tasso di mortalità
infantile non fa che diminuire. La ragione sta in parte nei benefici
portati dalla tecnologia, dalla riduzione della povertà e dall’aumento della
qualità di vita in ogni parte del mondo. Ma i progressi più eclatanti non sono
avvenuti spontaneamente, bensì grazie a uno sforzo deliberato e concertato per
garantire la sopravvivenza dei più piccoli. Nel 2000 la comunità mondiale ha
stabilito che la riduzione della mortalità infantile rappresentava una
priorità, inserendola fra gli otto Obiettivi di sviluppo del millennio. E
insieme, il mondo si è impegnato per 14 anni per raggiungere questo traguardo.
Come comunità globale, abbiamo messo in campo uno sforzo imponente per
garantire a ogni bambino, in ogni Paese, cure mediche migliori, zanzariere
trattate con insetticida per proteggere dalla malaria e vaccini contro le
malattie più letali. C’è ancora parecchia strada da fare per raggiungere
l’ambizioso obbiettivo di una riduzione dei due terzi della mortalità
infantile, ma i progressi sono indiscutibili. Solo nell’arco della vita di
Sebsebila, questa piaga è stata quasi dimezzata. Il mondo ha salvato quasi 100
milioni di bambini, al ritmo di 17 mila vite ogni giorno. I numeri muovono in
una sola direzione, la direzione giusta. E la tendenza si sta accentuando
dall’inizio degli anni 90 a oggi, il tasso annuo di riduzione della mortalità infantile
è triplicato. Queste linee di tendenza dimostrano che quando si investe in
salute, i risultati arrivano. E sappiamo che con il calo della mortalità
infantile aumenta il numero di bambini che non si ammalano e la prosperità
delle comunità: un bambino che nasce oggi ha più opportunità di quante non ne
abbia mai avute di realizzare appieno il proprio potenziale. Le misure che
concorrono a salvare la vita ai bambini li fanno anche vivere meglio. Due anni
fa, Sebsebila ha avuto a sua volta una figlia. Lei era nata sul pavimento di
terra della casa dei suoi genitori: sua figlia invece è nata in una struttura
sanitaria, dove madre e bambina sono state assistite da personale
specializzato. Poco dopo la nascita, la bambina è stata sottoposta ai primi
vaccini. Ma ancora più straordinario è quello che è successo dopo: Sebsebila ha
dato un nome alla sua bambina lì, nell’spedale. Ha decisa di chiamarla Amira,
che in arabo significa “principessa”. I tassi di mortalità infantile in Etiopia
sono scesi così precipiosamente che Sebsebila può affrontare la maternità con
più fiducia nella salute di sua figlia, e più certezza nel suo futuro, di
quella che avevano i suoi genitori quando è nata lei. Storie come quella di
Sebsebila e Amira sono ragioni per mostrarsi ottimisti, ma anche per essere
impazienti. Servirà un’azione decisa per portare il tasso di mortalità
infantile il più vicino possibile allo zero entro il prossimo anno. Abbiamo
undici mesi prima della pubblicazione del prossimo rapporto dell’Onu. Che cosa
ci sarà scritto dipende da noi, a partire da oggi.
Melinda Gates – gatesfoundation.org – Donna di Repubblica –
15 novembre 2015 -
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