Nell’ottobre del 1942, battendo a macchina una lettera
destinata a una coppia di amici, John Cheever esordiva così: “Scrivervi a mano
non ha molto senso perché nessuno ha mai decifrato la mia calligrafia”. Non
diceva per dire. La sua calligrafia non rendeva giustizia a ciò che scriveva:
Era l’esatto contrario della sua prosa limpida: un intrico di segni
illeggibili. E illeggibile parrà ai nostri discendenti anche la calligrafia di
tutti noi. Lo dicono gli esperti, la scrittura a mano è destinata alla completa
estinzione. Nel giro di cento anni, agli occhi dei comuni mortali, il nostro
corsivo risulterà più oscuro dei geroglifici. Ma andrà davvero così?
L’esperienza insegna che è sempre bene diffidare di certi vaticini. Negli anni
Sessanta, mentre russi e americani si sfidavano a suon di missili e missioni
spaziali, gli esperti annunciavano che nel 2000 avremmo trascorso le vacanze
sulla Luna. Il terzo millennio è già iniziato da un po’ e il tempo libero lo
passiamo invece su Facebook e navigando in internet. Chi avrebbe mai previsto
una simile digitalizzazione della vita quotidiana? Tastiere e schermi tattili
sono ormai più diffusi di quanto non lo fossero penne e quaderni in passato. Purtroppo
è proprio l’inaspettata rapidità della mutazione a rendere credibile
l’imminente scomparsa della scrittura a mano. Dobbiamo dunque rassegnarci?
David Foster Wallace, scrittore non meno grande di Cheever, ha sempre preferito
la penna alla tastiera: Ciò che scriveva a mano gli sembrava di gran lunga
migliore di ciò che scriveva al computer . La sua adorazione per le penne era
tale da considerarle alla stessa maniera in cui i giocatori di baseball
considerano le mazze. Non tutte le penne erano uguali, per lui. Ce n’erano di
speciali. Penne con le quali la scrittura pareva fluire da sé. “Penne da
orgasmo”, così le chiamava rendendo perfettamente l’idea. Un’idea per nulla
bislacca. Anche le neuroscienze ci dicono che, scrivendo a mano, memoria e
concentrazione aumentano. La perdita maggiore è tuttavia un’altra. Pensiamo ai
bambi sui banchi di scuola. Con penne e quaderni non imparano soltanto a
scrivere. Sviluppano una personalità digitale. E’ proprio in questo consiste il
lato più prezioso della calligrafia: possiamo mentire con le parole che
scriviamo, ma il modo in cui le scriviamo rivelerà sempre chi siamo. Un
dimenticato film di guerra degli anni Quaranta mostra alcuni soldati tedeschi
che si infiltrano nella campagna inglese spacciandosi per ingegneri di Sua
Maestà. Vengono scoperti da un contadino insospettito dal fatto che scrivano il
7 col trattino orizzontale, alla maniera dei continentali. La calligrafia ci
smaschera come mai nessuna tastiera sarà in rado di fare. Perché rinunciarvi
dunque? In fondo nemmeno Steve Jobs vi rinunciò del tutto. Ammise infatti che
mai avrebbe avuto l’idea di inserire nel Mac diversi tipi di caratteri se al
college non avesse frequentato un corso di calligrafia.
Tommaso Pincio –Il Venerdì di Repubblica – 21 novembre 2014 -
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