Facile accularli di razzismo, populismo, intolleranza. Gli
abitanti delle periferie delle metropoli italiane sono una bomba sociale.
Emersi sulla scena pubblica da un buco nero di accidia, inconcludenza e
trascuratezza profondo anni e anni. Tor Sapienza a Roma e il Giambellino a
Milano sono lì da sempre, città invisibili all’ombra delle città vetrina. Grumi
di cemento, fastidiose fonti di problemi, ma anche serbatoi elettorali; da
frequentare al massimo durante una frettolosa campagna elettorale. Quanti sono
i quartieri disperati pronti a esplodere? E innanzitutto chi oggi conosce
realmente la vita che si consuma nelle periferie? Chi ci abita. Come. Le
dinamiche tra residenti storici e nuovi immigrati. Le paure. I luoghi dello spaccio.
L’insorgenza di bande criminali. La mortificazione delle persone oneste. L’Italia Del Potere romano si era illusa di aver confinato nel Sud maledetto i mali di uno
sviluppo senza progresso. Da sempre una informazione televisiva più incline
allo spettacolo che alla conoscenza ha indugiato sul quartiere Zen di Palermo
oppure su Scampia a Napoli come teatri della rappresentazione di degrado
urbano. Visione rassicurante; laggiù l’arretratezza, altrove l’operosa e umile
modernità. Improvvisamente invece ci troviamo tutti più brutti sporchi e
cattivi. Perché la crisi economica fa male. Perché il welfare è saltato, anche
quello familiare sconosciuto alle statistiche e agli uffici studi. Perché l’immigrazione – gestita con abnegazione tra
le onde del mar Mediterraneo e con approssimazione, per non dire peggio, sulla
terraferma – ha creato conflitti sociali tra le fasce più deboli della
popolazione. Perché il potere – se non è esercitato in maniera responsabile da
chi ne ha la titolarità – viene abusato da chi se ne appropria in forme
illegali. Così luoghi simbolo del buon vivere – Bologna, Rimini, Piacenza per
esempio – si sono scoperti all’improvviso circondati da una terra di nessuno.
Un tempo c’erano partiti di massa e le organizzazioni sociali capaci di connettere
le periferie con il centro. Politici di borgata procacciatori di preferenze in
cambio di piccoli interventi di manutenzione, di assistenza, di socialità.
Clientelari, forse, ma comunque utili. Oggi neppure questo. Intere aree urbane
dimenticate, grandi come una città media di provincia. Scaricare sul
governo in carica, sull’ottimismo consolatorio di Renzi, le responsabilità
dello sfascio metropolitano serve solo ad alimentare le pulsioni demagogiche.
Però la questione esiste, non può essere elusa. Da troppo tempo non ci sono
progetti di riqualificazione delle nostre città se non per quelle aree ad alto
valore commerciale; Renzi se ne potrebbe fare promotore incalzando le
burocrazie paralizzanti delle Regioni e dei Comuni: una sorta di “new deal” urbano
in grado di dare speranza a cittadini spaesati e prospettiva al recupero
edilizio. No non nuove costruzioni, sono già troppe, ma bonifica di quelle
esistenti. Un piano simile avrebbe un duplice scopo: migliore qualità della
vita e impulso all’economia. Un vero programma di lotta all’emarginazione
sociale e alle nuove povertà: Il razzismo, il populismo, l’intolleranza non si
contrastano con le parole o con le buone intenzioni, ma con politiche serie.
Dalla parte dei più deboli. Prima che scoppi la guerra tra poveri (..). “E’
inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra
quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città ma
in altre due” scrive Italo Calvino in “Le città invisibili”. “Quelle che
continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri
e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono
cancellati”. Sembra quasi una profezia. Ecco, chi saprà dar forma ai desideri
dei cittadini più sfortunati? Una politica lungimirante, si spera, libera dalle
vigliaccherie di fronte ai problemi strutturali. Il desiderio insomma di città
migliori. E’ chiedere troppo?
twitter@VivinanzaL – Editoriale – Luigi Vicinanza – 27
novembre 2014 -
Nessun commento:
Posta un commento