L’ex campionato più bello e ricco del mondo produce squadroni
come Juve e Roma che diventano squadrette appena oltre il confine. Non si trova
un italiano nei 23 selezionati per il Pallone d’oro, e si capisce, visto che
siamo appena stati sbattuti fuori dal Mondiale al primo turno. Il giro d’affari
di Juve, Milan, Inter o Roma fa ridere se paragonato ai colossi europei come
Manchester United, Real o Barcellona ma ormai il volume generale della serie A
rischia di essere sorpassato perfino dal campionato francese. I nostri stadi
sono penosi, scomodi, vecchi e attirano sempre meno pubblico pagante, con
l’unica eccezione del bellissimo stadio nuovo della Juventus. Molti club sono
sull’orlo del fallimento e così via. Le cause di questo collasso sono le stesse
del declino generale del Paese. In breve, da anni non coltiviamo alcuna visione
del futuro. Venti o anche soltanto dieci anni fa, quando i club italiani erano
ancora fra i più forti e ricchi del mondo, avremmo dovuto investire nel
cambiamento. Ma le società dirette da personaggi mediocri e politicanti, gli
stessi che ritrovi in Confindustria, non hanno saputo prendere un treno che è
uno. Si sarebbe dovuto costruire nuovi stadi più piccoli e moderni, al posto
dei catafalchi miliardari varati per il Mondiale del ’90 al solo scopo di
rubarci sopra: niente. Si sarebbe potuto risanare i bilanci attirando capitali
dall’estero o puntando sull’azionario popolare, come hanno fatto gli spagnoli:
nulla. Una classe dirigente inetta, analfabeta e provinciale, ben incarnata del
resto dal nuovo presidente della Federazione, Carlo Tavecchio, ha preferito
farsi morire il giocattolo fra le mani. I governi, guidati a loro volta da
presidenti di calcio, hanno favorito la miopia allungando di tanto in tanto
qualche elemosina sotto banco. La corruzione e l’evasione fiscale sono
diventate come in tutto il resto del Paese, una regola. E ancora, i nuovi
padroni hanno distrutto i vivai, così come la politica ha devastato la scuola.
Le scuole calcio che erano un vanto, copiate in tutta Europa, sono state
smantellate per comprarsi qualche brocco dal nome esotico. E i settori
giovanili erano la chiave dei successi italiani di club e nazionale, com’è oggi
per il Bayern o la Germania. In compenso non esiste un mondo del pallone tanto
verboso e rissoso come quello italiano, retorico negli slogan e violento nei
fatti. E anche questo ci ricorda qualcosa.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 7
novembre 2014 -
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