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martedì 25 novembre 2014

Lo Sapevate Che: Vivere meglio è il solo modo per accettare la fine...

Sono un’infermiera che lavora nel settore delle cure palliative e che ha scelto questa professione dopo un’iniziale e promettente carriera come ingegnere con un lauto stipendio, per assistere a casa i malati terminali che affrontano sofferenze, paure, angosce legate a malattie che non lasciano scampo. La morte è ormai il mio quotidiano: quante storie, quanti abbandoni, quanti dialoghi sulla morte che ogni malato elabora in modo differente, quasi sempre però rifiutando e negando la realtà. Non c’è medicina che possa alleviare la sofferenza di una vita che lentamente si spegne, se non il dialogo costante con chi sta per prepararsi al grande viaggio. Le parole sono più potenti di qualsiasi medicina che la scienza possa offrire. Oggi si muore per lo più disperati. Ma come siamo arrivati a questa non accettazione della vita? Quanti desideri inespressi e sogni mancati ci trattengono in questa vita? E quanto l’egoismo di chi dice di amarci ci costringe a cambiare il nostro destino? Ho tante domande e poche risposte. Vago ogni giorno di casa in casa sperando di trovare qualche risposta alle angosce che mi porto dentro. Un’epoca che nega la morte, e che nega quindi anche la vita.
Anna Mandelli – anna.mandelli@fastwebnet.it

Per chi si sta avviando verso la fine dei suoi giorni, lei dice, “le parole sono più potenti di qualsiasi medicina che la scienza possa offrire”. Ma le conosciamo ancora queste parole? Una volta sì, le conoscevamo, perché avevamo esperienza della morte. I figli vedevano morre i padri e i padri non di rado vedevano morire i figli, nelle guerre cadenzate per ogni generazione. Inoltre c’erano epidemie, pestilenze, frequenti morti infantili e puerperali. Insomma, la morte era di casa e la nostra psiche aveva le parole giuste da dire a chi se ne stava andando. Oggi non è più così. Quando uno si ammala viene affidato a quegli istituti di cura che sono gli ospedali, dove il linguaggio che si apprende è quello della malattia, mentre le parole che si perdono sono quelle dell’amore, della comprensione, dell’ascolto. Che tante volte vale di più delle parole, soprattutto di quelle che tentano di confortare e che non sono credute né da chi le dice né da chi le sente. Non conosciamo più le parole che l’imminenza della morte  suggerisce al cuore, senza mentire, ma accanto al letto di un morente le diciamo lo stesso. La sua esperienza le dice che “oggi si muore per lo più da disperati”. Le ragioni possono essere diverse. La prima è che ognuno, vivendo, si innamora di sé, e congedarsi da se stessi per sempre significa perdere quell’amore per sé che, a presindere dal narcisismo, è la ragione per cui siamo riusciti a vivere e abbiamo costruito il nostro mondo a cui ora dobbiamo dire addio. Ma la disperazione può anche riguardare il fatto che ciò per cui ci siamo affannati nella vita, gli obiettivi che volevamo raggiungere e che magari abbiamo anche raggiunto forse non erano così importanti come abbiamo creduto o non volevano i sacrifici che hanno richiesto, perciò abbiamo l’impressione di aver sbagliato tutto. Di fronte alla morte, infatti, la gerarchia dei valori che hanno regolato la nostra vita subisce molto spesso un capovolgimento. Forse nulla era così importante come credevamo che fosse quando abbiamo intrapreso a perseguire i nostri ideali che forse erano solo abbagli, e per loro abbiamo trascurato quei percorsi di dedizione, di affetto, di comprensione, di amore che forse sono l’unica ragione per cui siamo nati. La vita di oggi così affaccendata, così affrettata, così vissuta sempre di corsa, non si ha dato spazio per assaporarla. E come diceva Max Weber: “Mentre i nostri vecchi morivano sazi della vita, noi moriamo stanchi della vita”. Stanchi e insoddisfatti semplicemente perché la vita non l’abbiamo vissuta secondo le nostre aspirazioni, ma ci siamo messi sul primo binario che abbiamo trovato che ci garantiva uno stipendio per sopravvivere. E su quel binario siamo vissuti. E oggi dobbiamo persino ritenere fortunati quelli che hanno trovato un binario. Se questo è il tasso di felicità che la nostra società avanzata ci offre, cerchiamo altri modi di vivere per non disperarci troppo sul letto di morte. Ma soprattutto anticipiamo l’evento della morte che comunque ci attende, non per deprimerci, ma per avere la giusta misura e il giusto criterio per distinguere, tra le offerte della vita, quelle che valgono e quelle per le quali non val la pena di spendere un giorno.

umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 22 novembre 2014 -

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