Gentile Serra, additato
come baby pensionato parassita, spintonato dai rottamatori, disprezzato dai
“connessi” perché uso ancora i contanti,
sono stufo! Generazione 1945, fortunati! Con vagonate di dollari per un pelo
siamo diventati un paese democratico. Con paghe da fame e senza diritti abbiamo creduto di
essere un paese di industriali e artigiani. A 12-14 anni in officina di giorno,
poi dopo otto nove ore di lavoro in bicicletta o corriera dal paese alla scuola
serale: saldatori, disegnatori meccanici, dattilografe e tornitori, conoscenza
di materiali, utensili e tecnica, tutti attestati non riconosciuti dal
burocrate ma efficaci per produrre il boom.
Poi arrivarono gli “imprenditori”, diversi dall’industriale. L’industriale
aveva un’idea da trasformare in oggetto vendibile, gli imprenditori investono
capitali altrui, finanza bip bip, niente più prodotto, e siamo ad oggi. La mia
generazione e quella dopo hanno contribuito alle pensioni dei nonni e bisnonni
e anche a quelle dei rottamatori, lavorando secondo le leggi solo 35-37 anni.
Un delitto? Alcuni di noi addirittura, non cambiando smartphone ogni due mesi,
non gustando spritz e con le scarpe risuolate, sono riusciti a risparmiare un gruzzolo
per integrare la retta del ricovero. Noi, i veri malfattori che non spendono e
nemmeno si suicidano.
Giovanni Quinzanini (Brescia)
Caro Giovanni, complimenti per la sua biografia, in poche
righe. E’ anche la biografia di milioni di italiani. Mi colpisce, in
particolare, la sua folgorante sintesi del passaggio dall’età industriale
all’età industriale all’età finanziaria, con il prodotto (e il lavoro, in tutte
le sue forme) al centro della prima, il denaro al centro della seconda.
Economisti molto più esperti di lei e di me ci spiegherebbero per filo e per
segno i perché e i percome di questa rivoluzione. Sta di fatto che il capitale
non sembra più in grado di produrre lavoro, o per lo meno lo fa molto meno di
prima. Ne consegue la riduzione progressiva, in paesi come il nostro, del ceto
medio. Fenomeno che minaccia di spaccare in due la società, pochi ricchissimi
da una parte, molti poveri o semipoveri dall’altra. Una delle conseguenze di
questo patologico stallo del lavoro è la “guerra” tra giovani e anziani, con i
primi che accusano i secondi di essersi maniata tutta la torta, e i secondi che
replicano, come fa lei con vitale spirito polemico, di avere lavorato duramene
e di aver messo fieno in cascina anche per mantenere i ragazzi, il loro
smartphone e il loro spritz. Ma la crisi non è una questione (solo)
anagrafica.(..)
Michele Serra – Per Posta – Il Venerdì di Repubblica - 14 novembre 2014 -
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