Ma che Europa è? Quella prigioniera di parametri intoccabili
e di percentuali dello zero-virgola. Quella che ci condanna alla deflazione e a
tutto ciò che ne consegue: stagnazione, calo dei consumi, crisi industriale, disoccupazione,
vita agra. E ancora quella dei più furbi e scaltri. Dove un Paese fondatore
dell’Unione, il Lussemburgo, attira imprese e capitali grazie a un regime
fiscale decisamente favorevole sottraendo – sia pure in modo del tutto
legittimo – risorse ai partner. Un paradiso fiscale nel cuore del Vecchio
Continente, a dispetto del rigore. Strana Europa. Dalla doppiezza insopportabile.
Incomprensibile ai più. (…). Esiste un buco nero nell'Europa dei vincoli e
delle prescrizioni, capace di ingoiare affari milionari, compensando banche,
aziende e affaristi con una fiscalità inimmaginabile per chi è costretto a
pagare le tasse sul suolo nazionale. Una contraddizione stridente rispetto al
regime di regole comuni, pervasive, dettate dall’adozione della moneta unica.
Se ne avvantaggiano multinazionali straniere e grandi aziende italiane, da
Amazon a Finmeccanica. Il Granducato del Lussemburgo è uno dei sei Stati
promotori dei primi accordi commerciali e poi politici, ormai oltre 60 anni fa,
alla base dell’odierna Unione Europea. Dal Lussemburgo – di cui è stato primo
ministro per 18 anni – proviene l’attuale presidente della Commissione, Jean
Claude Juncker, espressione del gruppo maggioritario nell’Europarlamento, il
Partito popolare europeo: a capo di una struttura sovranazionale composta da 28
Stati e 300 milioni di abitanti. Il sogno di una generazione. L’utopia di un
continente pacificato dopo i massacri e gli orrori del Novecento. Una speranza.
Il traguardo dell’euro, la valuta comune capace di rappresentare un’unità di
valori ben oltre le persistenti diversità di culture e comportamenti sociali.
Con i Paesi mediterranei additati come portatori di un lassismo nei conti
pubblici tale da richiedere sempre e comunque vigilanza e rigore. Giusto,
giustissimo. Se le regole sono davvero comuni per tutti… Invece il Lussemburgo
si manifesta come un buco nero del sistema fiscale. Chi ha capacità di
contrattazione – e l’adeguato sostegno tecnico –finanziario – riesce a spuntare vantaggi strabilianti: 1.400
miliardi di euro all’anno, è stato calcolato, svaniscono dai conti dell’Unione.
Tutto regolare. Ma non sempre ciò che non è illecito, è opportuno. Eticamente e
politicamente. “Non Sono Il Capo di una banda di burocrati; l’Unione
europea merita più rispetto, è legittimata non meno dei governi”, ha detto
Juncker in polemica con il premier italiano Matteo Renzi. Si parlava di debito
pubblico, Pil e striminzite percentuali di crescita economica. Questioni
essenziali prospettate in questi anni con una rigidità che cozza con la realtà
accomodante che raccontiamo. E’ il corto circuito di una politica europea
incomprensibile a larghe fasce dei suoi destinatari. Come in Italia i privilegi
e gli sprechi di un ceto politico srdo e cieco hanno alimentato l’onda
dell’antipolitica, così in Europa gli egoismi locali e gli opportunismi dei
singoli governi stanno facendo montare un risentimento nazional-populista
anti-unitario. Forse si può ancora correre ai ripari. Se l’Europa sa ripensare
se stessa. La ricerca da seguire ha sempre il colore dei soldi. Conduce nel
piccolo e ordinato Lussemburgo, preziosa cassaforte del nostro scontento.
Twitter@VicinanzaL – Luigi Vicinanza – Editoriale –
L’Espresso – 13 novembre 2014 -
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