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domenica 16 novembre 2014

Lo Sapevate Che: Ciò che rimane dei poteri forti....

Mediaticamente efficace assai, la polemica sui “poteri forti” – indirettamente sollevata da Susanna Camusso con l’intervista a Roberto Mania di “Repubblica” – suonerebbe vecchia e stucchevole, risaputa e fuori luogo, se non rimandasse ad altre questioni ben più preoccupanti e complesse. Anche perché i poteri forti (..) non ci sono più. Lo era Mediobanca, centro nevralgico del capitalismo all’italiana, punto di intreccio delle tre banche di interesse nazionale, pubbliche e azionista di riferimento di Montedison, Bastogi, Generali, il “salotto buono”; lo era l’Iri, da cui dipendevano le Bin, che non a caso scatenò una guerra contro la Mediobanca di Cuccia; lo era la Banca d’Italia, che condizionava la politica economica dei governi; lo era la Fiat, colosso monopolista nazionale, perno di ogni sviluppo (il boom, le autostrade) e grande elettore della Confindustria, il sindacato degli imprenditori privati. Oggi, Quasi Inutile Dirlo, la Fiat si chiama Fca ed è alla Borsa di Wall Street; Mediobanca è una banca d’affari come tante; la banca d’Italia, che pure ha fornito truppe scelte alla Repubblica (Carli, Ciampi, Draghi, Saccomanni…) ha le unghie spuntate dalla moneta unica e dalla Bce; il salotto buono ha smobilitato e in quanto a Confindustria fa sorridere il povero Squinzi che strilla contro i pubblici sprechi e non riesce nemmeno ad averla vinta su quelli della sua organizzazione. Insomma, questi poteri sono talmente ex forti che Matteo Renzi si può permettere di non filarseli nemmeno e di ignorare Cernobbio, viale dell’Astronomia, via Nazionale, i sindacati (“Disintermediando che male ti fo”, “Espresso” n.43) contribuendo così a renderli sempre più deboli e isolati. Ma non c’è solo questo. Qui da noi si parla molto di riforme, e non  del fatto che non c’è più una classe dirigente con un’idea nobile e solida di paese come quella che maturò nella Resistenza e prese il comando alla fine della guerra. Mancano anche molte delle  guerra. Mancano anche molte delle grandi scuole dove negli anni successivi la nuova classe dirigente si è forgiata (Mediobanca, Iri, imprese pubbliche e private, appunto, che sono andate via via ossificandosi, mentre partiti e sindacati sembrano aver perso presa sulla società perché non riescono più a intercettarne i mutamenti. Non è un caso che i nuovi politici si siano formati nelle amministrazioni comunali, dal premier al ministro degli Esteri al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. C’E’ Stato Un Momento negli anni Novanta in cui sembrava che una riforma portasse un soffio vitale in un Paese che stava diventando vecchio e sempre più bloccato: le privatizzazioni. Poi però i privati hanno trovato comodo tenersi i servizi pubblici e piuttosto che favorire la concorrenza non hanno mollato i privilegi di comode rendite di posizione. Si riuscì in quegli anni anche a liberare la “foresta pietrificata del credito” (Giuliano Amato), ma sopravvissero le fondazioni bancarie di proprietà pubblica. Ed è davvero curioso che nei suoi primi atti di governo Renzi abbia sì raddoppiato il prelievo fiscale alle une, le fondazioni, ma anche firmato un decreto-regalo agli altri, i concessionari autostradali, che manco la Dc dei tempi d’oro. Poteri forti? Mah. In questo deserto di classe dirigente spiccano piuttosto la camarille, le lobby casarecce, le corporazioni annidate anche nella pubblica amministrazione e nella magistratura, Tar e Consiglio di Stato) che strillano, condizionano, si oppongono ogni vota che ne viene messo in discussione il primato o sfidato il potere di veto. La Germania – di Schroeder o di Merkel che sia – pratica da sempre la “cogestione” in economia e in politica, cioè la corresponsabilità nella guida dell’azienda o del governo. Il Bel Paese ha inventato la “concertazione” estendendola a ogni atto quotidiano: è finita che ciascuno suona il suo strumento senza che a nessuno, come nel film di Fellini, sia riconosciuto il potere di dirigere l’orchestra. Ora, se il problema riguardasse solo il Pd e sindacato, Renzi e Camusso, potremmo leggerlo come una delle tante scaramucce a sinistra; ma visto che la questione è nazionale e riguarda il paese e il suo futuro, sarebbe il momento di pensarci. E di cominciare a preoccuparsi.

Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – L’Espresso – 13 novembre 2014

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