In un’Europa normale Jean-Claude Juncker si dovrebbe
dimettere. Il notaio del rigore è inadatto a guidare la Commissione europea, il
principale organo di governo dei 28 paesi aderenti all’Unione. E’ quanto
sosteniamo, senza giraci intorno (..). E’ la conseguenza del disvelamento
dell’affare Lussemburgo di cui Junker è l’artefice magico: LuxLeaks, come è
stato ribattezzato dalla stampa internazionale. Per 18 anni primo ministro del
Granducato, è presidente della Commissione da pochi giorni appena,, sufficienti
per trarre le conseguenze: se davvero avesse a cuore la credibilità e la tenuta
delle traballanti istituzioni europee dovrebbe essere indotto a fare un passo
indietro. Pubblicati La Scorsa Settimana in esclusiva per l’Italia da
“l’Espresso”” in contemporanea con altre grandi testate europee come “Bbc”,
“Guardian”, “Le Monde”, “Suddeutsche Zeitung”, i documenti riservati dimostrano
come il Lussemburgo di Juncker sia stato un invidiabile paradiso fiscale per
tante imprese internazionali, comprese le italiane finora emerse. Vantaggi
legittimi in quanto la legislazione europea
consente la concorrenza fiscale tra un paese e l’altro. Mentre vieta gli
aiuti di Stato. E i “Tax ruling” lussemburghesi potrebbero configurarsi come
tali nei confronti di alcune aziende particolarmente beneficiate da una
fiscalità generosa. Ecco il punto: il rispetto delle regole. Se in questo caso
il controllore dei parametri che a fatica tengono unita una comunità di 500
milioni di abitanti si è rivelato un abile manipolatore dell’interesse di una
singola nazione, tutto rischia di saltare. Addio Maastricht; e forse non
sarebbe un grande guaio. Ma innanzitutto addio a quell’idea di Europa solidale
e giusta all’interno della quale il cittadino del Peloponneso e il cittadino
della Fiandre si sentano titolari di uguali doveri e uguali diritti. La realtà
ci dice il contrario: la difformità del regime fiscale tra i paesi con la
stessa moneta è una delle contraddizioni sempre più evidenti. Il caso del Lussemburgo,
uno dei sei paesi fondatori dell’originario nucleo europeo, mette in luce mali
vecchi e nuovi. (..). Posti di fronte all’evidenza del caso Lussemburgo i
popolari e i socialisti europei hanno assunto un atteggiamento attendista
lasciando alla neo-commissaria per la concorrenza, la danese Margrethe
Vestager, la responsabilità di verificare se di aiuti di Stato si può parlare.
Così l’Eurodestra estremista di Marine Le Pen ha avuto gioco facile nel
cavalcare il risentimento antieuropeo, diffuso in troppi paesi dell’Unione;
chiede le dimissioni dell’ex premier del Granducato ma pensa all’Eliseo. I
populisti – francesi o di casa nostra, fa poca differenza – hanno in odio
l’Europa, furbi amministratori delle paure dei ceti più deboli. Il padano
Matteo Salvini con sarcasmo l’ha ribattezzata Unione Sovietica. Ma impressiona
non meno la cecità delle classi dirigenti tra Bruxelles e Strasburgo. Hanno
sempre più le sembianze della “casta”, quella che noi italiani abbiamo imparato
a conoscere a nostre spese. Lontana dal sentimento del proprio elettorato,
dallo spirito del tempo. L’Europarlamento come sovrastruttura tanto ingigantita
quanto inconcludente del nostro più casalingo Montecitorio. Anatra Zoppa Juncker resterà probabilmente al suo posto per non turbare, per ora, gli
equilibri faticosamente raggiunti dalla spartizione del potere continentale.
Eppure la credibilità delle istituzioni, se lasciasse l’incarico, se ne
avvantaggerebbe. Convincendoci, almeno per una volta, che il rigore nordeuropeo
è superiore al lassismo mediterraneo.
Twitter@VicinanzaL - Luigi Vicinanza – Editoriale – L’Espresso – 20 novembre
2014 -
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