Dice l’art. 70 della Costituzione: La funzione legislativa è
esercitata collettivamente dalle due Camere. No, viene gestita in solitudine
dal presidente del Consiglio, con la saltuaria collaborazione dei ministri. Sta
di fatto che le leggi battezzate in Parlamento ormai si contano sulle dita
d’una mano. In compenso trabocca il fiume dei decreti: 20 n otto mesi, per
l’esecutivo Renzi I. Certo, Quest’Andazzo dura da gran tempo, 22 decreti legge
sotto il governo Leta, 25 con Monti, 30 durante il Berlusconi quarter. Lo ha
ricordato proprio Renzi, per difendersi dai rimbrotti della Boldrini, trasmessi
a palazzo Chigi il 14 ottobre con lettera ufficiale. Tuttavia i suoi
predecessori governarono più a lungo (Berlusconi per 3 anni e mezzo). Sicchè la
media mensile di Leta fa 2,2; quella di Monti 1,5; Berlusconi scende a 0,7.
Invece Renzi sale a 2,5: tombola! E Tombola sui decreti legislativi: 34. Infine
supertombola rispetto ai voti di fiducia: 2,5. Anche in questo caso un record:
la media dei voti di fiducia era d’una volta al mese co Letta, Prodi II,
Berlusconi IV; con Monti s’è impennata a 3 fiducie al mese; la media di Renzi
tocca 3,2. Insomma, questo governo straccia ogni primato: sui decreti legge,
sui decreti legislativi, sui voti di fiducia. Che sequestrano la libertà dei
parlamentari, perché alla fiducia s’accompagna un doppio effetto: cadono tutti
gli emendamenti, sostituiti da un maxiemendamento dettato dal governo; si vota
a scrutinio palese, dunque non c’è spazio per i franchi tiratori. Viceversa
s’apre uno spazio sconfinato per le materie trattate con decreti. Dovrebbero
essere omogenee, puntuali, circoscritte; ma ormai ogni decreto legge è un
autobus o per meglio dire un omnibus, dove s’accalcano troppi passeggeri. E
dove s’introducono riforme di sistema, anziché misure straordinarie per
fronteggiare un’emergenza, come pensavano quelle buonanime dei costituenti.
Così, il decreto Madia (n.)0 del2014) incide in profondità sulla pubblica
amministrazione, sugli appalti, sul processo civile. Mentre lo Sblocca Italia
(n.133 del 2014) rimbalza dalle frane al web, dal dissesto idrogeologico alla
digitalizzazione. Risultato? Una museruola in bocca al Parlamento. Gli è
concesso applaudire, non correggere: gli emendamenti accolti durante l’era
Renzi non superano il 5 per cento. Per dirne una, la riforma costituzionale ha
incassato 12 mila emendamenti; ne sono stati approvati meno di 50. Nel
frattempo l’esecutivo ottiene deleghe in bianco, come quella sul jobs Act: in
luogo dei “principi e criteri direttivi” (prescritti dall’art. 76 della
Costituzione), c’è scritto “abracadabra”. Ma se è per questo, la nostra Carta
(art.77) impone che i decreti legge vengano immediatamente sottoposti al
Quirinale, e da lì alle Camere. Invece il decreto Madia è rimasto in naftalina
per 11 giorni, e per 15 giorni i due decreti licenziati a fine agosto. Mentre
la legge di stabilità si è materializzata una settimana dopo l’approvazione del
Consiglio dei ministri, oltretutto senza la bollinatura della Ragioneria generale. Reazioni, Moniti, Proteste? Macché. Napolitano aveva alzato la
voce a dicembre, quando ancora governava Enrico Letta: ma contro la decretite
del governo Renzi ha preso parola unicamente la presidente della Camera. Poi,
certo, Renzi va capito; in Italia, il decisionista è sempre un decretista. Però
c’è un che di diseducativo quando la prassi divorzia dalla legalità formale. E
c’è un motivo d’allarme, perché il disprezzo delle regole è la Bibbia delle
dittature non delle democrazie. Si dirà che contano i risultati, ben più degli
strumenti. Lo diceva anche Deng Xiaoping, non proprio un campione democratico:
“Non importa di che colore è il gatto, l’importante è che acciuffi il topo”.
Purché il topo non sia la Costituzione.
michele.aini@uniroma3.it
– Michele Ainis – L’Espresso – 6 novembre 2014
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