Dopo aver visto il bellissimo film di Mario Martore su
Leopardi intitolato “Il giovane favoloso”, mi è venuta la voglia di leggere lo
Zibaldone. Sono 4500 pagine che parlano di tutto, di estetica, di filosofia, di
se stesso, del suo pensiero e del suo linguaggio, di Pascal, di Rousseau, della
natura matrigna e del nulla che ci pervade e ci circonda. Filosoficamente
Leopardi è un nichilista, molto più di Nietzsche che visse la sua vita quando
Leopardi era già morto. Sono nichilisti tutti e due ma con una differenza non
da poco: Leopardi è un nichilista totale, l’uomo è un animale infelice che
passa senza lasciare traccia alcuna; Nietzsche pensa invece che il nichilismo
sia una fase transitoria durante la quale il pensiero tocca il fondo per poi
tornare al relativismo, cioè in un mondo in cui l’assoluto non c’è ma la verità
relativa esiste ed è valida per ciascuno di noi. Leopardi morì pochi giorni
dopo aver scritto “La ginestra”; Nietzsche qualche giorno dopo aver scritto
“Ecce Homo” diventò pazzo. Leopardi fu lucidissimo fino all’ultimo. Furono due
persone molto infelici ma molto diverse tra loro. Lo “Zibaldone” finora non
l’avevo mai letto. Conosco bene, oltre ai “Canti”, l’altro grande libro del
“giovane favoloso”, “Le Operette morali” dalle quali il nichilismo leopardiano
emerge ancora più chiaramente. Per fortuna molti studiosi hanno analizzato a
fondo lo “Zibaldone” segnalandone le pagine più importanti, sicché è possibile
ora avvicinarsi a quel libro seguendo una selezione che ne facilita la lettura
ed è questo che sto facendo e sempre più mi convinco che quel “giovane
favoloso” conteneva in sé molte personalità: era terribilmente infelice ma
spesso diventava felicissimo. Questo alternarsi di sentimenti e di stati d’animo
era continuo, l’infelicità proveniva dal corpo ammalato e diventata una
filosofia nichilista, negava ogni futuro consolatorio. Ma quando creava, quando
il suo pensiero si esprimeva in parole, le parole in poesia, la natura matrigna
in bellezza di albe, di tramonti, di stelle e di luna, allora la felicità
subentrava al dolore specie se nel frattempo anche il dolore del corpo si
attenuava per effetto di medicamenti o di un riposo rilassato. Una situazione
si intrecciava con l’altra, dolore e gioia si alternavano e da questa pluralità
emergeva appunto la favolosità di quel personaggio che il fil di Martore ritrae
perfettamente. Avviene in tutti i viventi questa pluralità di stati d’animo, la
differenza tra ‘uno e l’altro dipende dal livello di sensibilità di cui
ciascuno dispone e dalla capacità di trasformarla in arte. Tutte le arti
nascono e si alimentano esprimendo questo processo di trasformazione della
sensibilità tanto che si potrebbe dire che l’estetica è la figlia
dell’intuizione e dello slancio creativo. Pensando e riflettendo su questi
fenomeni mi è venuti in mente un altro grandissimo artista che ha coltivato
un’arte del tutto diversa da quella di Leopardi parlo di Chopin e della sua
musica. Anche lui era un uomo malinconico e infelice, anche lui soffrì nel
corpo e nell’anima, anche lui ebbe una
personalità plurima e quindi un’arte che esprimeva il mutare degli stati
d’animo. Una parte della sua musica fu dominata dalla melodia: i notturni, i
valzer, le mazurche, esprimevano una malinconia strugente e marcata dall’uso
estremamente frequente del “bemolle” un semitono che sposta la melodia di mezzo
tono più basso della nota precedente. Chopin non scrisse mai una sinfonia e
compose u solo concerto per piano e orchestra. Il resto della sua musica è fatto
di composizioni brevi dove il “bemolle” della malinconia si alterna con
pulsioni di gioia, furore, impeto, slancio, sonorità, sempre nel quadro
melodico che domina l’intera composizione,
Ma C’è Un Importante eccezione alla melodicità di Chopin e
sono le sue Sonate. Sono cinque composizioni che differiscono profondamente da
tutte le altre perché prescindono da un quadro melodico. La melodia non è
dominante ma sussidiaria, a volte compare ma il suo ruolo è secondario di
fronte all’essenza di quelle cinque composizioni che si esprimono attraverso
una pura musicalità di arpeggi e di fughe. Se infatti si cerca un antecedente
alle Sonate di Chopin lo si trova soltanto in Bach, in particolare nell’”Arte
della fuga” e se si cerca invece un continuatore lo si trova in Debussy e poi
in Stravinskij. Da Leopardi a Chopin: due grandissimi dell’arte con la quale
hanno tessuto la loro vita.
Eugenio Scalfari – Il vetro soffiato – 27 novembre 2014 -
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