Affari privati e cosa pubblica
(14 maggio 1998 ) Scrive il politologo Angelo Panebianco, che
certamente è più competente di me, che metà degli italiani pensano che Silvio
Berlusconi è “un arrogante affarista, autore di tante malefatte, entrato in
politica con l’unico scopo di sottrarsi ai rigori di una legge di per sé
imparziale”, oppure “è un perseguitato politico, braccato da magistrati
iperpoliticizzati che hanno consacrato se stessi alla missione di
distruggerlo”.
Non so se la percentuale degli innocentisti e degli
inesorabili sia quella dichiarata dal professore Panebianco, che sa leggere
anche nelle statistiche della morale, ma sono sicuro che l’onorevole Berlusconi
decise di entrare in politica perché, mi disse, “vogliono farmi fallire e
andare in galera”.
Lo scrissi a suo tempo, perché non era una confidenza, ma un
programma: che nasceva da rispettabili motivi umani, da una legittima difesa.
La “persecuzione” dei pubblici ministeri è cominciata, per
me, non dopo la fondazione di Forza Italia. L’”accanimento giudiziario”
potrebbe essere un seguito: cominciò contro un imprenditore che poi è diventato
leader del partito che ha fondato. Un altro prodigio dell’iniziativa privata.
Io mi auguro che Berlusconi esca presto dalle angosce che gli
procurano i tribunali: anche se aggiungo un voto a quella metà di italiani che,
dati di Panebianco, sono convinti che guardando dentro agli enti pubblici si
riscontrerebbero i vizi di quelli privati.
Eventualmente, malefatte comuni mezzo gaudio. (…).
Enzo Biagi – da Cose loro & fatti nostri –
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