Per fortuna in Italia il precettore privato non è ancora
arrivato, e speriamo che non arrivi mai, sarebbe davvero un gesto di sfiducia
definitiva verso la condivisione del sapere
e la bellezza di crescere insieme ai propri coetanei. Sarebbe assurdo atto di
separazione e di egoismo che nulla ha a che fare con la cultura.
Certo, i ricchi di nuovo hanno preso il largo, iscrivono i
loro rampolli nelle scuole americane o tedesche, con i prati ben rasati e lo
stemma dell’istituto ricamato sulle giacche blu. Si tengono lontani dalla
scuola pubblica perché, in qualche modo, rappresenta e rispecchia il paese: è
un qui e ora che li spaventa e al quale sperano di contrapporre un altrove
privilegiato, dove non può e non deve entrare alcun disordine, alcun malessere.
Il ricco nostrano considera decisive le relazioni che si stringono in una
scuola che costa soldoni, perché è convinto che più della conoscenza contano le
conoscenze. Passare cinque anni in classe con piccoli benestanti aiuterà suo
figlio, più avanti si ritroverà nell’agenda una serie di numeri assai utili per
sistemarsi al meglio su qualche panfilo vacanziero o in quche banca londinese.
Isolare per anni il ragazzino in casa, faccia a faccia con un
esigentissimo insegnante personale, sarebbe un errore madornale. Al somarello
serve ben altro, serve un clan di prima classe che lo sostenga nella fortuna.
Imparerà un po’ d’inglese, farà sport insieme agli altri, frequenterà le giuste
festicciole e stabilirà proficue complicità. L’importante è evitare la scuola
pubblica, dove s’agita la vita vera, dove ci sono anche miserie,
extracomunitari, tensioni, difficoltà, dove si studia per capire se stessi e il
mondo. Né a casa da solo, né con tutti gli altri: meglio stare con pochi danarosi,
pagare oggi una retta salata per ottenere domani una vita dolciastra.
Marco Lodoli – R2 Il caso – La Repubblica – 14 agosto 2014 -
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