Una “Corona” Di
Tragedie abbraccia
la vecchia Europa, sconvolgimenti tellurici dal Maghreb al Medio Oriente
all’Europa Orientale. E’ vero – come potremmo efficacemente affrontarli? Mai
più avremo un peso geopolitico. Celebriamo l’anniversario della Grande Guerra
per ricordarcelo. E allora realismo e disincanto vogliono che la nostra
attenzione si concentri sulle priorità di casa nostra, sviluppo e occupazione,
e magari sulla competizione tra le leadership per qualche posto nella
Commissione, e magari ancora su nuovi Senati e leggi elettorali in Italia.
Tutto bene. (..) Ma come fingere di non vedere che in noi, in tutti noi, e
forse soprattutto proprio qui, in questo Paese, di fronte alle tragedie che si
consumano ai nostri stessi confini, qualcosa è culturalmente, forse
antropologicamente, mutato?. Lo ripeto, nessun protagonista di quelle tragedie
se ne accorgerebbe, se per un giorno fosse al centro del dibattito parlamentare
il conflitto tra Israele e palestinesi, o se si discutesse, per un altro, del
problema dello scontro tra nazionalità all’interno del fu-impero – sovietico.
Ma il farlo, forse, sarebbe espressione di una nostra mente, di una nostra
cultura, di un cervello e di un cuore nostri diversi. (..). Se, per un giorno,
i sedicenti partiti si dividessero – invece che su quote proporzionali,
elezione del Senato e immunità varie – sul destino di Gerusalemme, ciò non
significherebbe nulla per la Città santa, ma direbbe molto sulle condizioni della loro anima. Il
pathos per la grande politica non abita più qui. (..). Ma temo non sarà
tramonto indolore. Elite afone sulla dimensione tragica della politica, ceti
dirigenti incapaci di commisurare il raggio della propria azione ai conflitti
che decideranno i destini del mondo, non sono élite né culturali né politiche,
ma amministratori, quando funzionano, di province e d’imperi altrui. Dai quali
è patetico attendersi “grandi riforme”. Realismo riconoscere che nulla contiamo
né a Damasco, né a Kiev, né a Gerusalemme. Ma altrettanto realisticamente
cessiamo allora di sperare che possano mai aver luogo “grandi politiche”
europee di integrazione e accoglienza. E continuiamo a raccogliere gli annegati
nel canale di Sicilia.
Massimo Cacciari – L’Espresso – 7 agosto – 2014
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