Due bugie sulle riforme
Tra le più frequenti chiacchiere da bar (o da
Transatlantico), spiccano due pettegolezzi: primo, la Costituzione è “vecchia”,
perché identica dal 1948; secondo, la procedura per cambiarla è troppo lenta
per un Paese moderno. Ma la Costituzione ha già subito 38 modifiche (fino a quella
dell’art.81 nel 2012). Piccolo confronto: la Costituzione degli Stati Uniti dal
1789 a oggi è stata modificata solo 27 volte, anzi meno, dato che i primi 10
emendamenti furono approvati tutti insieme e il 21° cancella il 18° (sul
proibizionismo). In 225 anni, ben 11.539 emendamenti proposti, pochissimi
ratificati. Fra questi l’abolizione della schiavitù (1865), l’elezione dei
senatori con voto popolare (1913), il limite a otto anni per il Presidente
(1951). Il 27° emendamento, l’ultimo, è del 1992, e vieta a senatori e deputati
di aumentarsi lo stipendio. In America una modifica ogni 14 anni; in Italia,
una ogni 19 mesi.
Quanto alla procedura: in Italia è regolata dall’art 138
della Costituzione, secondo cui le modifiche “sono adottate da ciascuna Camera
con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi”.
Procedura lunga, si è detto, donde il tentativo di espugnare l’art.138 con
trucchi e sotterfugi. E in America? Ogni emendamento può essere proposto solo
dai due terzi di entrambe le Camere, o in alternativa dai due terzi dei
parlamenti dei cinquanta Stati. Approvare un emendamento è ancor più difficile:
occorre il voto favorevole dei tre quarti degli Stati. Questo dice l’art. 5
della Costituzione americana ma nemmeno in quella italiana, che le modifiche
costituzionali vengano proposte o imposte dai rispettivi governi. Domanda: se è
proprio necessario cambiare di corsa la Costituzione per uscire dalla crisi,
come mai gli Usa non se ne sono accorti?
Salvatore Settis – L’Espresso – 21 agosto 2014
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