Una politica in
malafede nasconde il suo fallimento
dando la colpa
all’Europa
“Ce lo chiede l’Europa”
è diventato ormai lo slogan del dibattito pubblico di questi anni. E’ non solo
lo slogan, ma l’alibi permanente di una classe dirigente penosa e penosamente
populista che dopo essersi assolta dalla colpa di non aver elaborato per un ventennio una politica
economica ora scarica tutte le responsabilità sugli altri, sull’occhiuta
eurocrazia di Bruxelles come sull’orrida Trojka. Intendiamoci, tutto questo è
anche vero. Ma anche, appunto. La parte di verità che manca riguarda
l’incapacità, la disonestà e la malafede dei governi della seconda repubblica
che hanno alla fine dovuto accettare una politica di austerità imposta da
fuori, la peggiore per gli interessi nazionali, per non averne saputo elaborare
una propria in tanti anni. E soprattutto hanno voluto accettarla, votando quasi
all’unanimità e in baleno il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in
Costituzione, l’austerità e tutte le amare e finora controproducenti ricette
economiche fabbricate dall’Europa a guida tedesca. (..). Da Anni l’Europa ci
chiede anche di smetterla di precarizzare i giovani e di tagliare i fondi
all’istruzione, alla cultura e alla ricerca come nessun altro paese dell’Unione.
Da anni ci chiede di mettere fine al sovraffollamento delle carceri e a
condizioni di vita nelle galere ai limiti della tortura. Da anni invocano un
sistema dell’informazione più libero e plurale e in generale una politica
antitrust in tutti i settori. Da una vita l’Europa ci chiede di varare leggi
contro la corruzione e di avviare finalmente una seria lotta all’evasione
fiscale dei grandi capitali. Da anni chiede al sistema politico di varare
sistemi elettorali in linea con il resto delle democrazie europee, invece di
arzigogolare sistemi sempre più bloccati e astrusi, ora addirittura con tre
sbarramenti che alla fine consegnano la composizione del parlamento a un pugno
di leader. Su tutte queste buone richieste dell’Europa i governi italiani, di
vario colore, hanno sempre opposto una resistenza strenua, hanno ottenuto una
flessibilità che dura da decenni. E allora com’è che quando invece si tratta di
fare altri tagli allo stato sociale, di imporre altre tasse a chi già ne paga
troppe, non riescono a ottenere neppure il rinvio di un semestre?
Curzio Maltese – Venerdì di Repubblica – 1 agosto 2014 –
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