Al Primo Posto Mette La
Preghiera. Ma non
disdegna le arti della diplomazia. E adesso neppure esita a invocare gli
eserciti. La geopolitica di papa Francesco opera su questi tre registri, di cui
il terzo è il più sorprendente. Tutto l’opposto di quel pacifismo assoluto che
sembrava caratterizzarare l’avvio di questo pontificato. In effetti, un anno
fa, la giornata di preghiera e digiuno contro un intervento militare
dell’Occidente in Siria fu l’atto con cui Francesco parve annunciare al mondo
come lui, il papa, intendeva muoversi da lì in avanti sui teatri di guerra. A
mani nude, disarmate, elevate al cielo. Mesi dopo, Francesco ricorse ancora
alla preghiera per la pace tra Israele e gli arabi. Ottenne che invocassero Dio
accanto a lui, in Vaticano, i due presidenti nemici Shimon Peres e Abu Mazen.
(..). Ma Non E’ Così, perché Francesco, ha fin da principio affiancato alla
preghiera anche la pazienza della Realpolitik. Licenziato l’inetto cardinale
Bertone, ha messo alla testa della segreteria di Stato un diplomatico d’alta
scuola, il cardinale Pietro Parolin, dei cui consigli fa tesoro al punto da
sopportare in silenzio anche gli schiaffi, nella speranza di successi futuri.
Con la Cina, il Vaticano vanta all’attivo che Pechino abbia per la prima volta
consentito a un papa il sorvolo del proprio territorio, durante il suo viaggio
in Corea, con relativo invio di messaggi di cortesia. Ma al passivo c’è molto
di più. Le autorità di Pechino non hanno dato alcun segno di allentare la
repressione del cattolicesimo in Cina, dove (..) il vescovo di Shanghai
Thaddeus Ma Daquin, è dal giorno della sua nomina agli arresti domiciliari e
tanti altri vescovi e preti sono in prigione o scomparsi. (..). Quando l’8
giugno cadde Mosul, le autorità vaticane reagirono con estrema cautela. Ma dopo
che ai primi di agosto anche la piana di Ninive cadde nelle mani del califfato
e per i cristiani e le altre minoranze religiose fu il disastro, con migliaia
di uccisi per puro odio della fede, le richieste d’aiuto sono salite così forti
da quelle terre che un rappresentante ufficiale della diplomazia vaticana,
l’osservatore permanente presso le Nazioni Unite a Ginevra Silvano Tommasi, ha
rotto il silenzio e ha invocato un intervento della comunità internazionale
“per disarmare l’aggressore”. L’Ultimo
Precedente del genere risale al 1992, quando Giovanni Paolo II reclamò un
“intervento umanitario” armato per fermare i massacri nella ex Jugoslavia. Papa
Francesco non si è subito esposto personalmente su questo terreno. Ha lasciato
che prima si esprimessero i vescovi iracheni, unanimi nell’invocare un
intervento militare massiccio. Ha lasciato che in Vaticano fosse il pontificio
consiglio per il dialogo interreligioso, presieduto dal cardinale Jean-Louis
Tauran, a pubblicare un temendo e circostanziato atto d’accusa contro il
califfato islamico, esigendo dal mondo musulmano altrettanta nettezza di
giudizio. Ha inviato in Iraq come suo “alter ego” il cardinale Fernando Filoni
(..). E finalmente lui stesso, Francesco, in una lettera del 13 Agosto al
segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, ha chiesto alla comunità
internazionale di “fare tutto ciò che le è possibile per fermare e prevenire
ulteriori violenze sistematiche contro le minoranze etniche e religiose”. Di
ritorno dalla Corea si è persino detto pronto ad andare anche lui in Iraq, in
questa “terza guerra mondiale” che egli vede combattuta qua e là “a pezzi” e
con “livelli di crudeltà da spavento”, perché “fermare l’aggressore ingiusto” è
non solo lecito ma doveroso.(..).
Sandro Magister – L’Espresso – 28 agosto 2014 -
Nessun commento:
Posta un commento