La resistibile ascesa
di Mr. Tavecchio
Stadi in mano agli
ultras. Bilanci delle società in rosso. Scontri e incidenti. Però non di questo
si parla, ma delle frasi sconnesse (e inaccettabili del candidato alla
Federcalcio. Perché non si vuole cambiare niente. Anche in politica…
Confesso, e sinceramente me ne scuso con i cultori della
materia, che fino a pochi giorni fa di Carlo Tavecchio, designato alla guida
del calcio nazionale, sapevo poco o nulla. Più nulla che poco. Poi il
personaggio è, per così dire, esploso e la sua vicenda si è svolta in Europa.
Prima locale, con interpellanze e ordini del giorno, manco si trattasse della
striscia di Gaza (..), poi addirittura internazionale, con tanto di indignate
proteste della Uefa. Ha detto la sua persino la Fifa, e subire lezioni di
moralità da Mr. Blatter fa un certo effetto: peccato che si una cosa seria,
perché siamo già sprofondati nel ridicolo (..). Ipocrisia, perché non ci voleva
certo lo squallido eloquio del Tavecchio per scoprire che stadi e piazze
d’Italia grondano da anni di razzismo e banane e insulti ai Balotelli & C.:
c’è bisogno di ricordare il contributo in materia di Bossi, Borghezio,
Gentilini, Calderoli? Ipocrisia, perché come capisce anche un bambino in questa
storia il razzismo c’entra fino a un certo punto: senza quella frasaccia ce lo tenevamo, il Tavecchio, e amici come
prima?
Ipocrisia, Ancora,
Perché si parla
d’altro indignandosi per frasi incivili e censurabili, ma dimenticando scontri
e incidenti, che gli stadi sono terra di nessuno, che i Gerry’ a carogna
contano più di sindaci e prefetti, che i “tornelli” per i quali ce l’anno
menata per mesi non riescono a fermare bastoni, petardi, bombe carta. (..). La
verità è che pochi vogliono davvero cambiarli questo calcio e questi stadi,
altrimenti a nessuno sarebbe venuto in mente di sostenere il Tavecchio – con la
solitaria eccezione di Roma e Juve -, se non per la necessità che il sistema
continui così com’è all’infinito, che nessun estraneo ci metta il becco, che
ogni elezione sia il frutto di un equilibrio tra i diversi poteri: comando alle
grandi squadre, compensi alle piccole, poltrone agli uni e agli altri, mercato
in poche mani e affari senza controllo, vivai dimenticati. (..).
Forse non è un caso che nessuno si indigni per la Casta del
calcio, che pure è potente, perché si dice che il pallone è fatto per sognare e
in nome di questo sogno di massa si chiudono tutti e due gli occhi su ingaggi
di miliardi, vezzi da star, affarucci e calcio scommesse. (..). Ma alla fine vale
la regola aurea: spesso chi non vuole cambiare niente difende qualcos’altro,
privilegi o giochetti, status o consolidati equilibri di comodo. E la cattiva
abitudine è talmente intrecciata al carattere italico che perfino quando si
parla di questioni fondamentali come le riforme non riesci più a distinguere
tra innovatori sinceri, conservatori ipocriti e fondamentalisti del nichilismo.
Si perde l’oggetto della discussione, si bada ad altro, il linguaggio fa
impallidire perfino i Tavecchio. E il rischio è che alla fine, pur di arrivare
al risultato, ci si accontenti di soluzioni raffazzonate, cervellotiche,
improvvisate. Nel calcio e in politica.
Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – L’Espresso – 7
agosto 2014
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