Sarebbe utile una volta aprire una
discussione seria, onesta e laica sull’euro. È davvero possibile uscirne e in
quale modo? Sarebbe un vantaggio per l’Italia (o altri Paesi)? Si potrebbe
rinegoziare? Sono le domande che circolano fra i cittadini europei e alle quali
non si offrono autentiche risposte ma opposte visioni ideologiche. È stato così
fin dal principio. Vent’anni fa, alla vigilia dell’ingresso dell’Itala
nell’euro, le poche isolette critiche o soltanto dubbiose, a sinistra e a
destra, furono sommerse da uno tsunami di retorica sulle magnifiche sorti e
progressive della moneta unica. Il fronte “no euro” in realtà era nato molti
anni prima, guidato da Giorgio Napolitano come nessuno ricorda, forse neppure
lui. Alla fine dei Settanta l’allora responsabile delle politiche economiche
del Pci convinse il partito a opporsi con forza all’adesione allo Sme (Sistema
Monetario Europeo), primo e decisivo passo verso l’euro, con una serie di
argomenti divenuti oggi assai attuali: il sistema avrebbe favorito la Germania
a danno del Sud Europa, in particolare dell’Italia che sarebbe caduta in una
fase di stagnazione economica, e in generale l’euro avrebbe privilegiato i
ricchi sui poveri e sui lavoratori, destinati a perdere diritti, salari tutele
e pezzi di welfare. A distanza di quarant’anni la profezia si è avverata su
tutta la linea. Nel frattempo Napolitano è diventato un paladino dell’euro.
Lucrezia Reichlin ha ricordato sul Corriere come l’euro sia stato concepito da
tre nazioni, Germania, Italia e Francia, per decenni accomunate in una crescita
parallela e che dopo l’euro hanno preso strade opposte, con il boom tedesco, la
frenata francese e il crollo italiano. L’euro ha avuto insomma l’effetto di una
guerra persa per il Sud Europa. Ma altro è non entrare in guerra, come hanno
fatto Danimarca e Svezia, altro è firmare ora una resa catastrofica, come
sarebbe l’uscita unilaterale. I paladini del “no euro” oggi prendono in giro i
popoli esattamente come i paladini dell’euro vent’anni fa, raccontando il
ritorno alla liretta come l’avvento di Bengodi. Bisogna studiare un piano
elaborato, come aveva provato a fare con la moneta parallela il caro e grande
Luciano Gallino, che l’aspirante Di Maio confonde con un certo “psicologo
Gallini”. Ma anche in quel complicato caso, al principio sarebbero lacrime e
sangue per i più poveri. Assai più utile sarebbe poter rinegoziare i trattati e
i debiti pubblici. Vogliamo allora provare a uscire dalle curve da stadio pro o
contro l’euro e cominciare a discutere i fatti storici, i risultati, le
soluzioni realistiche?
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di La Repubblica 14
aprile 2017 -
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