Allevare il pesce in gabbie marine
intelligenti e ipertecnologiche: arriva dalla Puglia la risposta italiana
all’invito lanciato dall’Unione europea di aumentare il ricorso
all’acquacoltura per ridurre l’impatto ambientale della pesca sull’ecosistema
marino. Si chiama S.e.a. (Security for marine Environment and Acquaculture) il
progetto del Dipartimento di Ingegneria dell’innovazione dell’Università del
Salento che aderisce alla “Strategia di crescita blu” dell’Ue. In Europa il 20
per cento del pesce consumato proviene da allevamento, come certifica il Fondo
europeo per gli affari marittimi, e questo consumo è rimasto invariato dal
2000, mentre nel frattempo la produzione mondiale è cresciuta del 7 per cento.
Su tale strada l’Italia avanza a fatica: il 70 per cento del pesce allevato
arriva dall’estero, dice il ministro delle Politiche agricole, gli addetti alla
maricoltura da noi sono appena 6.889 a fronte degli 85 mila europei. E se altri
Paesi del Mediterraneo hanno capito l’importanza di questo mercato (in Marocco
è imminente il rilascio di oltre duemila concessioni), in Italia le imprese
attive nel settore sono appena un centinaio. Tra queste la Mareimpianti di
Mattinata (Foggia), che ha aderito al progetto S.e.a., con il sostegno della
società di ingegneria Apphia Srl del Cmcc (il Centro euromediterraneo sui
cambiamenti climatici) diEngineering Spa, che si occupa di softwere, e di Tecno
S.e.a.spin off dell’ateneo di Lecce. Le gabbie, in cui crescono orate, spigole
e saraghi, hanno un diametro di 22 metri e profondità variabili tra 6 e 18 e
sono dotate di telecamere e sensori in grado di monitorare le condizioni meteo
marine e lo stato di salute dei pesci. “L’obiettivo è aumentare la sicurezza
degli impianti, facilitare il lavoro degli addetti e migliorare la qualità del
pesce allevato” spiega il responsabile del progetto Alessandro Zizzari, che
lavora in stretta collaborazione con Angelo Corallo e Maria Elena Latino di
UniSalento e Giovanni Coppini di Cmcc. Per valutare il salto di qualità reso
possibile dalla tecnologia, basta pensare che negli allevamenti tradizionali
sono i sub a controllare le gabbie palmo a palmo, restando per ore in mezzo ai
banchi anche di 80 mila pesci, mentre l’uso di telecamere su verricelli,
consente di valutare “da remoto” l’impianto, analizzando i report inviati
tramite app sul cellulare degli addetti e disporre gli eventuali interventi di
manutenzione in punti geolocalizzati, riducendo al minimo la presenza umana.
Allo stesso tempo, i sensori permettono di monitorare le condizioni del mare,
la temperatura dell’acqua, le correnti, le onde e la presenza di predatori. “Un
ulteriore passo per ridurre l’impatto ambientale è raccogliere i residui e gli
escrementi dei pesci” aggiunge Zizzari. “Per farlo a Mattinata, dove si
producono 400 tonnellate di pesce all’anno e 500 chili di refluo al giorno, si
proverà una gabbia con un ombrello nella parte inferiore, in cui si depositerà
il percolato, che verrà poi utilizzato come concime.
Chiara Spagnolo – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica -31
marzo 2017-
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