Certo I Tempi Sono
Stretti e in
Parlamento - incognita legge elettorale a parte – già si pensa a una
delicatissima sessione di bilancio. Ma il fantasma della commissione
d’inchiesta sulle banche aleggia ancora. La legge che la istituisce, approvata
al Senato, è ora all’esame della Camera, poi bisognerà designare deputati e
senatori e poi e poi, ma certo non si può escludere che cominci a lavorare dopo
l’estate, e con un carico di dossier, veleni e ricatti che a paragonare il caso
babbo Renzi-Consip è roba da educande. Insomma, la bicamerale del credito
rischia di diventare polvere da sparo per sanguinosi regolamenti di conto,
visto che potrebbe partire in piena campagna elettorale, e in più a cavallo
della scadenza di Ignazio Visco, il governatore della Banca d’Italia il cui
mandato, dopo la stagione dei furbetti del quartierino, non è più a vita ma di
sei anni (finiscono a ottobre), rinnovabile a discrezione del governo e per una
volta sola. Altissima tensione. Un finale di legislatura con un’altra tempesta
perfetta, un’indagine che invece di essere occasione per fare chiarezza e
distinguere ruoli, missioni e responsabilità, potrebbe tradursi per Visco in
una via crucis, per molti politici in un processo e per Grillo in una
benedizione celeste. (..). In Via Nazionale ci si prepara a tutti mentre si
raccolgono numeri e grafici che faranno da sfondo alle Considerazioni fiani che
Visco leggerà, forse per l’ultima volta, il 31 maggio prossimo. Intendiamoci,
la Banca d’Italia non è più quella di Carli, Baffi, Ciampi, e non solo per
l’epopea Fiorani, mai del tutto archiviata. La moneta unica, spuntando l’arma
della svalutazione fatta in casa, ha spostato il baricentro finanziario verso
il cuore dell’Europa. Molte funzioni di vigilanza, architrave del potere di
controllo della banca centrale sono oggi passate alla Bce o con essa condivise.
(..). La Nomina Di Visco, nel 2011, fu frutto di un compromesso Mario Draghi,
il governatore che lasciava Roma per Francoforte, spingeva per Fabrizio
Saccomanni, suo numero due; il ministro Tremonti insisteva per Vittorio Grilli,
ex direttore generale del Tesoro che in questi giorni vediamo, vestito Jp
Morgan, al capezzale di Mps per conto di Matteo Renzi. Alla fine si scelse un
terzo nome, l’allora vicedirettore generale della Banca. A dispetto del suo
carattere tranquillo, il suo mandato ha attraversato per buona parte la bufera
del bail-in, del default delle quattro banche e della sua proposta, osteggiata
da Palazzo Chigi, di una bad bank che raccogliesse i crediti deteriorati
alleggerendo così l’intero sistema. Finito a fare da parafulmine in una vicenda
che ha segnato il destino del governo Renzi, e di fatto sfiduciato dal premier,
Visco è arrivato nel dicembre 2015 a presentare le sue dimissioni a Mattarella
che però lo ha fermato e da allora sempre sostenuto. E adesso? Gentiloni dovrà sceglier tra la
tranquillità di una riconferma e la condivisione di un cambio della guardia
chiesto da Renzi da più di un anno. Inutile dire che già è partita la giostra
delle candidature, sia interne alla Banca (i nomi non mancano), che esterne
(qualcuno ha azzardato la soluzione-strappo Padoan: sarebbe la prima volta di
un ex ministro del Tesoro). Ma è presto, gli equilibri politici sono in
fermento. Se proprio cambio ha da essere, si raccomanda almeno di leggere bene
le istruzioni per l’uso e imporre nomi di qualità: gli uomini passano e le
istituzioni restano ma se gli uomini che le guidano sono all’altezza, è tutta
un’altra cosa.
Bruno Manfellotto – Questa Settimana – L’Espresso – 16 giugno
2017 -
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