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giovedì 27 aprile 2017

Lo Sapevate Che: La nostalgia du quegli scintillanti anni '90..



Qualche Tempo Fa ho rivisto la serie televisiva degli anni Novanta Amo la mia famiglia, divorandomi la bellezza di 120 episodi in due settimane, e quando sono arrivata all’ultimo stavo per mettermi a piangere. Sembra impossibile che siano già passati oltre vent’anni dal 1993: quando lo sceneggiato fu tramesso per la prima volta frequentavo la scuola media e abitavo con i miei genitori in un piccolo appartamento dentro un vecchio edificio. Là ogni settimana aspettavamo il nuovo episodio in tv e ce lo guardavamo insieme dal divano. Ridendo di cuore. Ci si aspetterebbe che nell’arco di vent’anni e più fossero apparse serie televisive migliori di questa, ma così non è stato, e a tutt’oggi quel primo sceneggiato cinese rimane sempre il migliore. Anzi, l’unico ben fatto. E’ difficile sintetizzare in poche parole come fosse la Cina fra gli anni ’80 e ’90: strade tranquille, begli spazi verdi, niente metropolitana e mezzi pubblici affollatissimi, il primo KFC nell’hotel Dongfeng sul Bund di Shanghai. Era l’epoca della politica di riforma, del primo sviluppo economico, il periodo in cui la struttura sociale era totalmente inarticolata. Non essendosi ancora formate classi sociali, i giovani erano pervasi da un assoluto idealismo e la gente comune non nutriva alcun risentimento nei confronti dello Stato. C’era un’atmosfera di libertà, trasgressione e vitalità. Amo la mia famiglia uscì in quel periodo, quando artisti e intellettuali potevano affrontare questioni nazionali e globali di opere di intrattenimento. Non c’erano né delusione né scoraggiamento, ma fiducia che pian piano si sarebbero realizzati tutti i cambiamenti attesi. Lo sceneggiato è ambientato nella vecchia Pechino, in casa, in casa della normalissima famiglia Jia. Il vecchio capofamiglia Fu Ming è un ex funzionario e veterano della Rivoluzione, che neppure dopo essere andato in pensione ha abbandonato le sue maniere da burocrate. C’è poi il figlio maggiore, che lavora nell’amministrazione, con la moglie, un’attrice di teatro folk, e la loro figlioletta. Il figlio minore passa il tempo ad escogitare un modo per fare soldi in fretta. Ogni personaggio è tratteggiato nei dettagli, i dialoghi sono brillanti, il contesto storico è rappresentato con ironia, il tono umoristico. C’è una frase detta da Fu Ming in un episodio che suona così: “Io sono vecchio ormai, non conto più nulla…”. Simili parole furono proferite da Zhao Zhan Ziyag, allora segretario generale del Partito, recatosi a incontrare gli studenti che dimostravano in piazza Tienanmen, ed ebbero una larga eco negli ambienti intellettuali. A metà degli anni ’90 questi temi erano tabù, eppure gli sceneggiatori riuscivano argutamente a chiamare in causa personaggi intoccabili della politica cinese. Allo sceneggiato prendevano parte, per piccoli cameo, registi e scrittori di fama. A quel tempo non si era ancora prodotta la frattura fra il mercato da un lato e l’arte e la letteratura impegnativa dall’altro. Visto con gli occhi di allora, tutto ciò non aveva niente di eccezionale, ma se ci si volta indietro a guardare, dopo vent’anni, viene davvero voglia di piangere. Oggi Wen Xingyu che interpretava il vecchio Fu Ming, non c’è più. Anche lo sceneggiatore, Liang Zuo è morto. L’attrice protagonista Song Dandan e il regista Ying Da sono divorziati da anni. Lo scrittore Wang Shuo, presente in alcuni episodi, non scrive più romanzi. Nel paese e nel mondo sono avvenuti cambiamenti radicali. La gente è diventata più ricca, ha viaggiato, eppure ci soni anche molto più malanimo, molta più crudeltà. Sia i giovani che gli adulti si sentono disorientati e la delusione è diventata il sentimento prevalente. Di fronte a tutto questo, il contrasto con gli anni ’90 risulta ancora più abbagliante. (Traduzione di lucia Regola)
Jianing Zhou – Opinioni – Donna di La Repubblica – 22 aprile 2017-

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