Il navigatore Gps nascosto nel nostro
cervello – scoperta che nel 2014 ha fruttato ai neuroscienziati Edward Moser e
John O’Keefe il Nobel per la medicina – non ci ha ancora rivelato tutti i suoi
segreti, ma si sta facendo luce su un aspetto che potrebbe avere implicazioni
importanti nella lotta alle malattie neurodegenerative: è un sistema innato, o
si forma con le esperienze? A rispondere è proprio lo scienziato norvegese
Edvard Moser, che oggi ne discuterà al Festival della Scienza medica a Bologna
(https://bolognamedicina.it) insieme ai colleghi Rocco Liguori e Piergiorgio
Strata. “Nel 2005 abbiamo scoperto un tipo di cellule che abbiamo chiamato
“neuroni griglia”: emettono impulsi solo quando passiamo su certi punti della
superficie su cui stiamo camminando. Questi punti, se uniti con un pennarello,
disegnano una griglia esagonale sul terreno. Una griglia che permette al
cervello di avere un quadro aggiornato della nostra posizione nello spazio”
spiega Moser. “Per capire come possa formarsi un sistema così raffinato,
costituito da tanti neuroni che si coordinano con grande regolarità, stiamo
studiando i topi subito dopo la nascita: a sole due settimane di vita, quando
lasciano per la prima volta la tana, i loro neuroni griglia sono già attivi e
“disegnano” gli esagoni. Questo ci suggerisce una forte componente innata e
quindi genetica. Il meccanismo poi diventa più preciso nella settimana
successiva: dovrebbe quindi esserci un ruolo, anche se minore,
dell’esperienza”. Laddove invece le esperienze giocano un ruolo chiave è nella
relazione tra il nostro sistema di posizionamento e la memoria, e questo getta
una nuova luce scientifica su tecniche di memorizzazione che si usano da
migliaia di anni. “I due tipi principali dii neuroni del sistema Gps che
condividiamo con i topi e gi altri animali sono i neuroni di posizione,
scoperti da John O’Keefe, e i neuroni griglia. La differenza più grande è che i
neuroni griglia creano la stessa rete esagonale ovunque ci troviamo – vale a
dire non dipendono dall’ambiente esterno – mentre i neuroni di posizione hanno
attività del tutto diverse a seconda del luogo specifico in cui siamo. Come se
“riconoscessero” luoghi già visitati. Questo ci fa capire che la loro attività
ha a che fare con la memoria. Anche perché si trovano proprio nell’ippocampo, organo
indispensabile per consolidare i ricordi” spiega Moser. “Così si spiega anche
perché le tecniche mnemoniche basate sui luoghi siano così efficaci”. Come il
sistema del “palazzo della memoria” usato da Cicerone, che per ricordare meglio
gli argomenti delle sue orazioni li immaginava associati alle diverse stanze di
un palazzo da visitare in un certo ordine. Ora invece chi è destinato a perdere
la memoria per via dell’Alzheimer potrebbe giovarsi degli studi che indagano
sul rapporto tra i ricordi e l’orientamento nello spazio: “Questa malattia, al
suo esordio, danneggia per prima la corteccia entorinale che ospita i
neuroni-griglia” spiega lo scienziato. “Capire in dettaglio come funziona la
“griglia” potrebbe aiutarci a individuare in fase precocissima i segni
dell’Alzheimer e rallentarne la progressione”.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il
Venerdì di La Repubblica – 21 Aprile 2017 -
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