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lunedì 17 aprile 2017

Lo Sapevate Che: Rileggere le femministe anni '70 per scoprire la libertà...



La Moda È Un Territorio articolato che assorbe di tutto e lo fa esplodere. Così, da una parte si fa portavoce con stilisti come Maria Grazia Chiuri, prima donna direttore creativo di Dior – maison carismatica che per settant’anni ha continuato a ridefinire il concetto di femminilità attraverso il lavoro e lo sguardo di straordinari designer uomini – della necessità di una nuova stagione del femminismo. “We should all be feminist” è lo statement della femminista nigeriana Chimanda Ngozi Adichie che Maria Grazia ha scritto su una T-shirt bianca che attraversa la sua prima collezione per la griffe francese. Dall’altra, invece, è capace di produrre e diffondere, senza filtri, immagini patinate che sconfinano in quella pornografia violenta e oscura, evocativa di pratiche di sottomissione e possesso che il grido “Il corpo è mio e me lo gestisco io” esploso nelle battaglie femministe degli anni ’70 voleva lasciarsi alle spalle E, proprio a ridosso dello scorso 8 marzo, è rimbalzato su twitter, dopo la diffusione della campagna della collezione Yves Saint Laurent donna, l’hashtag #YSLRetire TaPubDegradante. La maison ha immediatamente ritirato (preferendo non commentare) le due immagini che avevano fatto scattare le proteste. Le fotografie incriminate che mostrano, in entrambi i casi, il corpo di una modella offerto passivamente, sono disturbanti perché danno un’allure a quel desiderio di potere e dominio sul corpo femminile che nei secoli ha preso molte forme. Viene voglia di rileggere quelle autrici che proprio nei Settanta hanno dato voce con lucidità e passione a tutte le donne che non solo volevano uscire dagli stereotipi di genere, ma anche essere protagoniste di un mondo che si stava cambiando velocemente. Il rifiuto della moda e della bellezza (vestiti informi, zoccoli, bandita la depilazione) era un gesto di ribellione, un modo di rivendicare la proprietà del proprio corpo, perché “il femminile non ha luogo se non all’interno di modelli e leggi emanati da soggetti maschili”, secondo la lacaniana Luce Irigaray. Scriveva Gianfranco Ferré nel libretto in forma epistolare A un giovane stilista “la mia donna è alta, sottile, slanciata, agile, sinuosa e dinamica”. Proponendo un preciso modello femminile. La moda immagina e progetta corpi. Ma non sempre insegue solamente la visione di un femminile idealizzato o costretto. Riesce anche a farsi interprete di cambiamenti e nuove sfide. Tra il grido e il silenzio scegliamo la parola”, dichiara il Tribunale 8 marzo costituitosi a Roma nel 1979 che si propone di due voce alle donne e di rivelare i condizionamenti che impediscono la libertà femminile. Negli anni ’80, l’immagine delle femministe radicali lascia spazio a nuove donne che si sono riconciliate con gli uomini e hanno raggiunto il successo professionale. Marisa Bellisario, prima in Italia a diventare amministratore delegato di una grande società (Italtel), ne diventa il santino: tailleur Giorgio Armani, pettinatura punk, sguardo diritto. Un look perfetto per i media. Nelle pieghe della moda contemporanea è la parola genderless quella che meglio racconta le nuove forme abitate dagli immaginari, dagli abiti e dagli oggetti progettati. A riconoscere che il desiderio e di costruirsi attraversa indistintamente maschile e femminile, on più due generi che identificano fisicità, mentalità e ruoli diversi, ma due attitudini al vestire, che non vedono più la divisione tra i sessi o le differenze, ma mescolano le caratteristiche di entrambi. Il riconoscimento di una cultura dell’apparire condivisa da donne e uomini rappresenta probabilmente una di quelle articolate consapevolezze che il femminismo recente ha metabolizzato e ci ha consegnato, e che possiamo considerare un territorio aperto, pieno di incognite, ma dal quale ripartire oggi.
Maria Luisa Frisa – Opinioni – La Donna di La Repubblica – 8 aprile 2017 -

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