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domenica 9 aprile 2017

Lo Sapevate Che: Perchè la scienza non si fa in piazza...



Basta Interrogare Un motore di ricerca per scoprire che, a distanza di cinquanta anni, su siti e blog si parla ancora della pseudo cura per il cancro a base di alcol, aceto di vino, tintura di genziana e di colchicina del dottor Aldo Vieri. Oppure del siero del veterinario Alborio Bonifacio, a base di feci e urina di capra, con lo stesso obiettivo terapeutico. Descritti come metodi occultati e osteggiati, si tratta in realtà di non-cure che nascondono rischi grossi almeno quanto lo sono i guadagni di chi le promuove. Non mancano esempi più recenti. Negli anni ’90 in Italia l’immunologo Bartorelli proponeva di curare il cancro con la proteina UK 101, estratta dal fegato dei mammiferi. Il 1997 è stato l’anno del metodo Di Bella, terapia “alternativa” per il trattamento dei tumori a base di vitamine, somatostatina, bromocriptona, cielofosfamide e melatonina. Nel 2005, con il libro Il cancro è un fungo, Tullio Simoncini, poi radiato dall’Ordine dei medici, spiegava come curare i tumori con il bicarbonato di sodio. Il 2007 è stato invece l’anno in cui Davide Vannoni iniziò a trattare i malati con un preparato a base di presunte cellule staminali di derivazione midollare. L’esperienza si concluse con una condanna nel 2015 in cui lapretesa cura fu definita “un’enorme truffa scientifica”. I progressi delle conoscenze scientifiche non sembrano sufficienti a tenere alla larga trattamenti-miracolo, venduti a caro prezzo dal ciarlatano di turno, complici anche cronache più attente a “fare” notizia che a darne. Gli oncologi Gioacchino Robustelli Della Cuna e Gianni Bonadonna hanno contato 63 metodi “alternativi” di terapie contro il cancro, prive di efficacia, tra il 1893 e il 1997. Ma se gli “intrugli” cambiano, le modalità con cui vengono proposti e pubblicizzati sono pressoché identiche. È sufficiente ripercorrere le storie di sedicenti guaritori per stilarne il profilo. Già l’ordinanza del giudice del lavoro Vincenzo Ciocchetti del 2014 sul caso Stamina ne riassume le caratteristiche ricorrenti. L’ascesa del ciarlatano si inserisce dove manca la disponibilità di trattamenti della medicina, che si distingue dalle chiacchiere per essere basata su prove di sicurezza ed efficacia. Il ciarlatano vende l’illusione di saper vincere una malattia incurabile, di essere portatore di una scoperta “rivoluzionaria”, quasi un martire che nonostante la gogna della comunità scientifica e le congiure delle case farmaceutiche procede vero l’unico scopo, all’apparenza altruistico, di aiutare chi soffre. Attrae e illude, con lo specchietto di una cura in realtà inesistente, omettendo i costi. Intorno alla “terapia rivoluzionaria”, avversata dai “poteri forti”, rimane un alone di mistero. Il ciarlatano non mostra i suoi dati (perché non li ha), né si sogna di sottoporli alla valutazione dei pari come si fa nella scienza. Ciò imporrebbe un’ipotesi, studi reali, una raccolta dati e analisi statistiche. Alle riviste scientifiche preferisce la piazza e il web, parla al cuore delle persone, si mostra empatico, ha un linguaggio persuasivo ed emotivo prima che scientifico, bypassa e prove di efficacia e ogni regola universalmente condivisa per certificare la validità di un trattamento. La ragione è semplice: trattandosi di un’illusione, non può fornire risultati frutto di una verifica sperimentale. La tutela della salute è un fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. È scritto nella Costituzione. Ma chi ha il dovere di tutelare il paziente dai ciarlatani? Sono le istituzioni, i media e i tribunali, ognuno con le proprie competenze, ognuno con il dovere e il coraggio di guardare ai fatti e non alle emozioni. Per consentire al Paese di scegliere su cosa investire, per il beneficio dei malati.
Elena Cattaneo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 1 aprile 2017 -

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