Basta Interrogare Un motore di ricerca per scoprire che, a
distanza di cinquanta anni, su siti e blog si parla ancora della pseudo cura
per il cancro a base di alcol, aceto di vino, tintura di genziana e di
colchicina del dottor Aldo Vieri. Oppure del siero del veterinario Alborio
Bonifacio, a base di feci e urina di capra, con lo stesso obiettivo
terapeutico. Descritti come metodi occultati e osteggiati, si tratta in realtà
di non-cure che nascondono rischi grossi almeno quanto lo sono i guadagni di
chi le promuove. Non mancano esempi più recenti. Negli anni ’90 in Italia
l’immunologo Bartorelli proponeva di curare il cancro con la proteina UK 101,
estratta dal fegato dei mammiferi. Il 1997 è stato l’anno del metodo Di Bella,
terapia “alternativa” per il trattamento dei tumori a base di vitamine,
somatostatina, bromocriptona, cielofosfamide e melatonina. Nel 2005, con il
libro Il cancro è un fungo, Tullio
Simoncini, poi radiato dall’Ordine dei medici, spiegava come curare i tumori
con il bicarbonato di sodio. Il 2007 è stato invece l’anno in cui Davide
Vannoni iniziò a trattare i malati con un preparato a base di presunte cellule
staminali di derivazione midollare. L’esperienza si concluse con una condanna
nel 2015 in cui lapretesa cura fu definita “un’enorme truffa scientifica”. I
progressi delle conoscenze scientifiche non sembrano sufficienti a tenere alla
larga trattamenti-miracolo, venduti a caro prezzo dal ciarlatano di turno, complici
anche cronache più attente a “fare” notizia che a darne. Gli oncologi
Gioacchino Robustelli Della Cuna e Gianni Bonadonna hanno contato 63 metodi
“alternativi” di terapie contro il cancro, prive di efficacia, tra il 1893 e il
1997. Ma se gli “intrugli” cambiano, le modalità con cui vengono proposti e
pubblicizzati sono pressoché identiche. È sufficiente ripercorrere le storie di
sedicenti guaritori per stilarne il profilo. Già l’ordinanza del giudice del
lavoro Vincenzo Ciocchetti del 2014 sul caso Stamina ne riassume le
caratteristiche ricorrenti. L’ascesa del ciarlatano si inserisce dove manca la
disponibilità di trattamenti della medicina, che si distingue dalle chiacchiere
per essere basata su prove di sicurezza ed efficacia. Il ciarlatano vende
l’illusione di saper vincere una malattia incurabile, di essere portatore di
una scoperta “rivoluzionaria”, quasi un martire che nonostante la gogna della
comunità scientifica e le congiure delle case farmaceutiche procede vero
l’unico scopo, all’apparenza altruistico, di aiutare chi soffre. Attrae e
illude, con lo specchietto di una cura in realtà inesistente, omettendo i
costi. Intorno alla “terapia rivoluzionaria”, avversata dai “poteri forti”,
rimane un alone di mistero. Il ciarlatano non mostra i suoi dati (perché non li
ha), né si sogna di sottoporli alla valutazione dei pari come si fa nella scienza.
Ciò imporrebbe un’ipotesi, studi reali, una raccolta dati e analisi
statistiche. Alle riviste scientifiche preferisce la piazza e il web, parla al
cuore delle persone, si mostra empatico, ha un linguaggio persuasivo ed emotivo
prima che scientifico, bypassa e prove di efficacia e ogni regola
universalmente condivisa per certificare la validità di un trattamento. La
ragione è semplice: trattandosi di un’illusione, non può fornire risultati
frutto di una verifica sperimentale. La tutela della salute è un fondamentale
diritto dell’individuo e interesse della collettività. È scritto nella
Costituzione. Ma chi ha il dovere di tutelare il paziente dai ciarlatani? Sono
le istituzioni, i media e i tribunali, ognuno con le proprie competenze, ognuno
con il dovere e il coraggio di guardare ai fatti e non alle emozioni. Per
consentire al Paese di scegliere su cosa investire, per il beneficio dei
malati.
Elena Cattaneo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 1 aprile
2017 -
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