Etichette

martedì 25 aprile 2017

Lo Sapevate Che: Per i figli il postino suona sempre una volta...



Sono Queste, In Due milioni e mezzo di case americane, le ore del cuore in gola e della corsa alla cassettina della posta, quando il furgone della US Mail si ferma. Nella sua sacca, quel postino può portare la lettera che in una paginetta cambierà la vita dei propri figli. È la risposta delle Università americane alla domanda di accettazione. Sono poche succinte righe, nelle quali si informa, “con rammarico” o “con gioia”, il rifiuto o l’accettazione che determinano il futuro come sentenze inappellabili. Ricordo l’urlo di incredula felicità di mio figlio quando al telefono mi gridò: “Mi hanno preso!” in un college di prestigio, e la più quieta soddisfazione di mia figlia di fronte alla raffica di “si” ricevuti, con il guizzo di delusione perché uno di loro l’aveva invece sospesa nel limbo della “lista d’attesa”. Sistema ingiusto, senza criteri precisi, senza parametri oggettivi, la roulette dell’ammissione alle università è lasciata interamente alla valutazione di colui o colei che sceglie e scarta. In una nazione nella quale il titolo di studio non ha valore legale, dunque tutte le lauree sono, almeno di fronte alla legge, ugualmente valide, il brand, il marchio apposto sul diploma, fa la differenza. Tutte le automobili sono in grado di trasportarci dal punto A al punto B, ma viaggiare a bordo di una Rolls Royce è diverso che viaggiare su una Panda. Per la grande maggioranza di quei due milioni e mezzo di giovani usciti dal liceo che tentano la fortuna alla roulette universitaria, le puntate sono modeste, distribuite su università più accoglienti – dove almeno la metà delle richieste sono accettate – e più schizzinose, come la più severa di tutte, L’Università di Stanford, in California, che sulle 43mila e 997 domande inviate nel 2016 ha accolto appena 2mila e 114 studenti, il 4,8 per cento. Ricordando che tutti gli applicant erano comunque giovani con eccellenti curricula e con i mezzi per pagarsi retta e sostentamento. E se per i figli quella busta recapitata dal postino che, nel caso delle accettazioni universitarie, suona sempre una colta sola, è la chiave per un possibile futuro di soddisfazioni e di prosperità, per i loro genitori  è la convalida dei 17 o 18 anni di sacrifici, di notti bianche, di pannolini, di corsi di flauto, di rimproveri, di attenzione, di rinunce, di ripetizioni, di colloqui con gli insegnanti, di palpitazioni, perché i primi a essere accettati o respinti sono loro, la madre, il padre, la famiglia. La lettera di accettazione è il diploma da genitori, il rifiuto è vissuto come le loro bocciatura e se questo è vero per tutti, lo è moltiplicato all’ennesima potenza per le famiglie degli ultimi arrivati, per i nuovi americani sbarcati di fresco da navi o aerei che hanno applicato la lezione di generazioni di immigrati prima di loro: che la strada maestra per il successo nella vita, anche se non la sola maestra per il successo nella vita, anche se non la sola, passa attraverso la scuola. Non è un caso se negli ultimi anni sono stati studenti con nomi molto poco “anglo” coloro davanti ai quali si sono spalancate le porte d’oro dei migliori college. Sui solo cinque studenti accettati da tutta la top ten delle università americane, da Harvard a Stanford, da Yale al Mit. Quattro anno nomi africani, Ekeh, Kwanzu, Ifeoma, Uwamanzu-Nna e, se qualcuno può ogni tanto pescare il numero fortunato, nessuno viene accettato da tutte le migliori se non ha qualità formidabili. Per milioni di genitori quella lettera, che colma di felicità anche chi deve iscriversi a università meno famose, ma non necessariamente peggiori, è la prova di avere fatto bene il proprio lavoro. Per quelle famiglie di immigrati è la conferma che l’America resta, nonostante tutto, la terra che sa guardare al contenuto del carattere e non al nome o al colore della pelle.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 22 aprile 2017 -

Nessun commento:

Posta un commento