Da Sito Della Cassa depositi e prestiti (Cdp) si apprende
che con un” rebranding” è stata lanciata una “Corporate Identity” del gruppo.
Dice che strategie e comportamenti sono privatistici, che la natura pubblica
della proprietà (il controllo è del ministero dell’Economia) non li influenza,
che la mission è investire nella competitività del Paese, che sbaglia chi parla
di somiglianze con l’Iri di un tempo (si fa dal 2003). Il quale Iri attuava
l’interventismo dei partiti maggiori, sommava ricche reti in monopolio
(telefonia, autostrade) a industrie cosiddette strategiche che perdevano a
rotta di collo (siderurgia), a cose raccogliticce abbandonate da privati
rinunciatari (alimentare). Ma così era un po' tutta l’industria di Stato: per
esempio l’Eni godeva della rendita del gas in monopolio, sopportava perdite
ciclopiche della chimica definita strategica, aveva comprato il tessile da
privati. Nell’Iri, i capi azienda al loro primo anno svalutavano, facevano
emergere perdite e le imputavano ai predecessori, così da vantare un
risanamento miracoloso già al secondo anno e sperare in una conferma del loro
mandato. Anche all’epoca di Romano Prodi, il vertice dell’Iri era nominato
dalle segreterie di partito. Io stesso ne ricoprii la vicepresidenza che era
stata del repubblicano Bruno Visentini. La Cdp si dice oggi del tutto diversa
dall’Iri, grazie a una mission focalizzata. Fatto sta, però, che anch’essa ha
in pancia un po' di tutto, dall’attività assicurativa e finanziaria di
esportazioni e investimenti esteri, a grassi monopoli (rete gas di Snam ed
elettrica di Terna), a cose scriteriate (biofarmaceutica, macchinari per
energia, turistico-alberghiero, alimentare, immobiliare). Cdp dice che non può
accollarsi industrie perdita ma, se sono di “rilevante interesse nazionale”
(equivalente a strategico) e se hanno “adeguate prospettive di redditività”,
allora sì. Quindi, basta ci sia un piano di risanamento, magari pure
ottimistico tipi Alitalia o Ilva, società queste che bruciano cassa come quando
erano dell’Iri. Nel 2015, primo anno in carica, l’odierno vertice di Cdp
designato dal segretario del Pd, ha fatto emergere perdite (859 milioni)
imputabili ai predecessori, ma per il secondo anno ha già annunciato il
risanamento (1,1 miliardi di utile netto nel 2016). Mentre le 1848 società
industriali italiane censite dall’Area studi di Mediobanca ed esposte alla
concorrenza soffrono un impoverimento del valore aggiunto sceso da anni sotto
il 20 per cento del fatturato, le reti gas ed elettricità di Cdp, chissà se
grazie a una autority compiacente, vantano un valore aggiunto pari all’88 per
cento, pazzesco. Il dislivello non è casuale, perché il valore aggiunto
dell’industria è eroso dal costo eccessivo delle reti di Cdp. Se l’Iri pompava
finanza pubblica facendo lievitare il debito dello Stato, Cdp pompa risparmio
postale. Non basta un rebranding, per la competitività resta molto da fare.
Riccardo Gallo – Il caso Cdp Analisi – L’Espresso – 16 aprile
2017 -
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