Un Amico Mi ha chiesto: “tu, che tutto sai degli
animali, dimmi: qual è il re del deserto?”. “Il leone”, ho risposto. “No”, ha
detto, “è il silenzio che domina tutto: e anche della bellezza è il sovrano, e
del dolore è il religioso custode”. Mi ha suggerito di riflettere e così
faccio. Oggi ogni evento si veste di clamore, con poco rispetto della persona
coinvolta: pianti, grida, manifestazioni di dolore, di disperazione, diventano
spettacolo. La sfera intima della persona sembra dover diventare priva di ogni
difesa, la sacralità del sé privata di ogni senso. Applausi dove il dolore
chiama silenzio, e curiosità che, da veste dell’intelligenza, sconfina nella
possibile morbosità. Dove il silenzio da preziosità per la comprensione, lascia
spazio al denaro per la ricchezza di pochi, e la povertà allo sperdimento e
allo scomparire del pudore di molti. Che fare? Che dire?
Fuggiamo Dal Silenzio perché fuggiamo da noi stessi, allo
scopo di evitare l’incontro che più ci inquieta, il contatto con quello
sconosciuto che preferiamo non conoscere, anche se porta il nostro nome, i
tratti del nostro volto, i moti della nostra anima, la sua luce, le sue ombre.
Abbiamo paura che un attimo di silenzio ci costringa alla “ri-flessione” che,
come dice la parola, chiede ci si pieghi su di noi per sapere, almeno di
sfuggita, chi siamo, che volto abbiamo, che pensieri ci attraversano, che se’
troppo doloroso questo incontro, meglio perdersi nel rumore del mondo, dove non
si corre il rischio di trovare un posto silenzioso che non sia inondato da
immagini che rinviano ad altre immagini, o di voci che rimandano ad altre voci,
che non nascono da quello sfondo che è il silenzio, perché sono loro lo sfondo.
Il rumore del mondo è così pervasivo che più non abbiamo la possibilità di non
ascoltare e di non vedere, per cui i nostri organi di senso sono diventati gli
organi della nostra illibertà, perché ciascuno è massicciamente rifornito delle
stesse immagini e delle stesse parole, al punto che chi fosse tentato da un
piccolo accenno di introversione, troverebbe, in fondo alla propria anima,
null’altro che le immagini e le voci di cui è stato rifornito. Se gli antichi
Greci avevano individuato nella parola il tratto distintivo dell’uomo, da loro
definito: “L’animale che ha il linguaggio”, che ne è di questa sua specifica
natura se la parola che egli pronuncia non è che una variante della parola che
ha sentito. Per cui, come scrive Günther Anders, il risultato è: “Un mero recitare insieme ciò che insieme si ascolta senza posa”, in
quel monologo collettivo, che noi chiamiamo “comunicazione” o “partecipazione”,
dove chi ascolta finisce con l’ascoltare le stesse cose che potrebbe dire, e
chi parla dice le identiche cose che da chiunque può ascoltare. (..) Radio e
televisione hanno terrore del silenzio, al punto che le parole si rincorrono
con una velocità tale che molto spesso non si riesce nemmeno più a capirle.
Parole continuamente parlate ai telefonini, con le orecchie tappate da
dispositivi sempre pronti a sentir musica e parole. Discoteche dove il volume
della musica sembra fatto apposta per giustificare chi non ha niente da dire,
anche se si sforza. Imbarazzo nel “minuto di silenzio” dove non si sa dove
appoggiare lo sguardo e mettere le mani. Persino ai funerali, dove il nostro
silenzio potrebbe rispettosamente accompagnare il silenzio del defunto,
assistiamo a uno sbatacchiare di mani, quasi per esorcizzare lo spettacolo
della morte che è l’eterno silenzio. Naturalmente quando parliamo non
ascoltiamo l’altro senza sopprimere la sua irriducibile alterità. E la stessa
cosa facciamo con noi quando, invece di ascoltare l’altra parte di noi stessi
che si fa sentire solo nel silenzio, la sopprimiamo con tutte le parole con cui
ci descriviamo, nle tentativo mai dismesso di rappresentarci davanti agli altri
e a noi stessi, in quell’inconsapevole menzogna di chi si descrive in quel
certo modo, il più delle volte gratificante, perché non conosce e non vuol
conoscere se stesso.
umbertogalimberto@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 15 aprile 2917 -
Nessun commento:
Posta un commento